Robert Katz: differenze tra le versioni
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→Citazioni: nota su Mafalda di Savoia |
→Citazioni: John Pierpont Morgan (ricchissimo banchiere statunitense) |
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*Lei {{NDR|[[Elena del Montenegro]]}} aveva ventitré anni, la pelle scura e il corpo colmo di quelle grazie che [[Francisco Goya|Goya]] amava ritrarre, e sebbene avesse imparato a nascondere la propria vitalità dietro quel rigido controllo che viene chiamato «maestà», attraverso i pori della sua pelle filtrava ancora l'aria fresca e vivificante delle sue cupe montagne. Non era proprio bellissima, forse per il suo naso un po' troppo volitivo e una soda floridezza che suscitava immagini di lavori campestri, ma aveva avuto la fortuna di venire affidata, fin dai primi anni di vita, alla tutela di Maria Fedorovna, imperatrice di Russia e moglie dello zar Alessandro III; la zarina aveva compiuto prodigi degni di [[Pigmalione]] sulla principessa di origine montanara. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), pp. 202-203)
* Incolore, amorfo, banale, {{NDR|[[Giovanni Giolitti]]}} era passato attraverso la vita levandosi solo di tanto in tanto verso l'alto come fa il passero. Impiegato civile fino all'età di quarant'anni, poi funzionario amministrativo e quindi parlamentare, non amava né la retorica di [[Francesco Crispi|Crispi]] né la magniloquenza di [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]]; gli piacevano l'aritmetica e la contabilità, il che lo rendeva particolarmente sensibile alle sottili sfumature della cupidigia umana e alle debolezze degli altri nella misura in cui esse gli potevano essere addebitate oppure accreditate. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 215)
*Il più nobile dei romani era adesso [[John Pierpont Morgan|J. P. Morgan]]. Veniva a Roma di tanto in tanto occupando parecchie stanze dell'appena costruito «Grand Hotel», tra i novelli splendori del giardino di palme e dell'orchestra tzigana. Talvolta arrivava invece al porto di Civitavecchia col suo panfilo di dieci metri, il «Corsair», la cui bandiera recava una mezzaluna e una stella d'argento, e, quando di lì faceva la sua grandiosa entrata a Roma, sembrava che nelle vesti del Nuovo Mondo ricomparissero gli Enrichi dell'era feudale e gli idoli dei ghibellini. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 230)
*[..] nell'ottobre del 1917, [[Battaglia di Caporetto|Caporetto]]: l'improvviso collasso del fronte italiano e il peggior disastro militare nella storia della nazione. Ottocentomila soldati furono travolti, feriti o uccisi da quindici divisioni tedesche ed austriache. Trecentomila italiani furono presi prigionieri ed altri trecentomila fuggirono, alcuni per non fare mai più ritorno. Milano e Venezia erano in pericolo. Il fronte fu ristabilito sul Piave, circa centosessanta chilometri più ad ovest, ma il ricordo ancestrale delle invasioni barbariche terrificò la nazione. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 260)
*Caporetto fu anche l'ultima vittoria dell'esercito austro-ungarico e dell'Impero. La minaccia dell'invasione galvanizzò il popolo come non era mai accaduto in passato e perfino alcuni socialisti si dichiararono pronti a combattere all'ultimo sangue. Un piccolo gruppo di essi si recò perfino in Russia, dopo la resa del Palazzo d'inverno a Pietrogrado, per cercare di persuadere [[Lenin]] a non ritirarsi dal conflitto. Ma il leader rivoluzionario li ingiuriò chiamandoli «idioti» e agenti dell'imperialismo e della borghesia. (''Parte terza'' Il piccolo re (1900-1922), p. 262)
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