Franco Bandini: differenze tra le versioni

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→‎Citazioni: nota sul Trattato di Londra
→‎Citazioni: Cadorna: la linea del Piave
 
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*{{NDR|I soldati italiani a [[Battaglia di Caporetto|Caporetto]]}} Si batterono meglio che poterono, inchiodati all'insuccesso da una situazione tattica e strategica che non erano essi ad aver voluto: si consumarono come cera al fuoco tentando l'impossibile, compagnia per compagnia, battaglione per battaglione, batteria per batteria. Furono travolti da un tipo di attacco al quale nessuno li aveva addestrati, semplicemente perché nessuno lo riteneva possibile: e quando si accorsero di questa assoluta carenza di comando, quando la realtà bruscamente balzata dalle nebbie di Caporetto fece loro di comprendere in un lampo che abissale distanza correva tra le parole rimbombanti dei bollettini e la verità del nemico, allora caddero in preda di uno «choc» dal quale non era per nulla facile risollevarsi. (Capo VII, p. 106)
*Tra gli ufficiali dell'«Alpenkorps» tedesco all'attacco {{NDR|nella battaglia di Caporetto}}, c'era un giovane Oberleutnant<ref>Grado militare dell'esercito tedesco, corrispondente a quello di tenente.</ref> dagli occhi azzurri e dallo sguardo intento: si chiamava [[Erwin Rommel]]. La futura «volpe del deserto» imparò in quei giorni tre cose fondamentali, che gli dovevano servire prodigiosamente bene ventitré anni dopo. Il cospicuo dividendo pagato dall'audacia e dalla velocità in campo strategico, il valore del soldato italiano fino al Comando di reggimento, e la completa disistima per i Comandi superiori. Era una diagnosi assolutamente esatta: la guerra del 1940 l'avrebbe provata ad usura. (Capo VII, pp. 106-107)
*[...] [[Luigi Cadorna|Cadorna]], pur nel mezzo della bufera politica che gli si stava addensando sulla testa {{NDR|dopo la [[Battaglia di Caporetto|disfatta di Caporetto]]}}, ebbe il grande merito di studiare e disporre la linea del Piave in modo perfetto, con una conoscenza da grande maestro di ogni particolarità della regione, ed una oculatissima disposizione delle truppe. (Capo VIII, pp. 123-124)
*A noi che lo riguardiamo da tanta distanza, il 1918 pare l'anno della vittoria per l'[[Triplice intesa|Intesa]]. Un anno senza grandi problemi, messo al riparo da sgradevoli sorprese per mezzo del sempre più frequente afflusso alle linee delle forze americane, per cui la rotta nemica venne come naturale conseguenza. Ma non fu affatto così: ad osservarlo bene, il 1918 fu l'anno veramente tragico degli Alleati, ed i fatti che si verificarono in esso dal 21 marzo alla fine di luglio ebbero una pesante influenza sul «tipo» di vittoria che si conseguì, e sul genere di pace che le fece seguito. (Capo XI, p. 159)
*Quando eravamo entrati in guerra, il bilancio dello Stato oscillava intorno ai due miliardi, nel 1915 era salito a 5,2, nel 1916 a 10,5, per balzare a 30 miliardi l'ultimo anno di guerra. La moneta, contemporaneamente, si era svalutata di circa sei volte ed il debito che lo Stato aveva contratto o con l'estero, o con le banche o con i suoi stessi cittadini, era salito alla vertiginosa cifra di oltre 95 miliardi, che nessuno sapeva come si sarebbero potuti pagare. Il costo complessivo di quella guerra, che era stato valutato, all'atto della firma del Trattato di Londra<ref> Il Trattato (o Patto) di Londra fu un accordo segreto firmato il 26 aprile 1915, stipulato tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, con il quale l'Italia si impegnava a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali.</ref>, in due miliardi, non fu reso noto che nel 1930, quando il Tesoro comunicò che, stando ai suoi conti, esso era salito a 148 miliardi di lire, cioè 74 volte di più. In sostanza, la Nazione aveva potuto condurre una guerra così lunga e distruttiva soltanto ipotecando largamente i suoi redditi futuri. (Capo XIII, pp. 189-190)