Fabrizio De André: differenze tra le versioni

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==''Amico fragile. {{small|Fabrizio De André}}''==
*[[Genova]]. Che cosa significa, per me? Ho avuto la fortuna di nascere in questa etnia, in questo piccolo mondo dove si parla una lingua diversa, che faceva parte di uno stato molto più grande ma con un idioma, una cucina, una cultura autonomi. Questo ti fa sentire così vicino a queste persone che condividono la tua diversità, ti senti a tua volta differente dal resto del mondo, sei membro di una grande famiglia di settecentomila persone che ha usi e costumi tutti suoi. E se arrivi a Milano, ci arrivi come un immigrato dal Sud. (pp. 8-9)
*Da dove viene la nostalgia che tuffitutti noi abbiamo di Genova? Tu dici, e hai ragione, che la nostra tradizione musicale è piena di emigranti che rimpiangono la loro città e sognano di tornarvi, il che si ritrova anche nella canzone napoletana e in quelle di altre città di mare, mentre non succede a Milano o a Torino. Ma forse questo dipende dal fatto che i milanesi sono nati ricchi, e i loro affari li hanno sulla terraferma, mentre i genovesi sono nati poveri, e i loro commerci hanno dovuto farli via mare, lontano da casa. (p. 9)
*[...] Genova è anche il profumo e il sapore della [[Cucina genovese|sua cucina]]. Come quelli del [[pesto]], che facciamo a Milano o in Gallura, io e Dori, mettendoci dentro tante noci perché non sappia di menta: come capita quando il pesto lo fai lontano da Genova. Perché solo il [[basilico]] di Genova "non ne sa". (p. 10)
*Mi ricordo che un giorno presi mia madre e le diedi uno spintone mandandola contro una finestra, tanto che si tagliò dappertutto, e mio padre decise di darmi una lezione. Mi diede tante cinghiate da farmi lievitare il culo come un pandolce, poi mi chiese: «Hai niente da dire alla mamma?» Io risposi di no. Lui, per rappresaglia, prese i miei album di figurine – ne avevo cinque o sei – e me li bruciò tutti in mezzo alla stanza. Io rimasi impassibile. Lui afferrò una scarpa e mi picchiò in testa col tacco. Poi ripeté: «Hai niente da dire alla mamma?» «No», risposi. Se ne andò, avevo vinto io. (p. 20)