Serapeo di Alessandria: differenze tra le versioni

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* «''Serapeum, quod licet minuatur exilitate verborum, atriis tamen columnariis amplissimis et spirantibus signorum figmentis et reliqua operum multitudine ita est exornatum, ut post Capitolium, quo se venerabilis Roma in aeternum attollit, nihil orbis terrarum ambitiosius cernat.''»
: «Il Serapeo, il cui splendore è tale che le semplici parole possono solamente sminuirlo, è talmente ornato di grandi sale colonnate, di statue che sembrano vive e tanta moltitudine di altre opere, che niente altro, eccetto il Campidoglio, simbolo dell'eternità della venerabile [[Roma]], può essere considerato più fastoso al mondo.» ([[Ammiano Marcellino]], ''Res Gestae'', XXII, 16)
 
* «Io credo che tutti abbiano sentito parlare del tempio di Serapide ad [[Alessandria d'Egitto|Alessandria]], e che in molti lo conoscano. Il suo sito si elevava a un'altezza di cento gradini e anche più — non si trattava di un'altura naturale, ma integralmente costruita dall'uomo — e si estendeva da ogni lato in immense spianate che formavano quadrilateri. Fino al livello delle terrazze, gli edifici erano tutti a volta; provvisti di aperture che facevano entrare la luce dall'alto, essi erano composti di santuari segreti separati gli uni dagli altri, che servivano ai bisogni dei diversi riti e delle funzioni misteriose. Inoltre, nella parte superiore, tutto il perimetro esterno era scandito da esedre e da alloggi molto elevati in cui avevano l'abitudine di vivere insieme i guardiani delle porte o quelli che si chiamavano "puri", cioè coloro che si purificavano. Dopo questi edifici c'erano portici dagli ordini regolarmente disposti a quadrilatero, che circondavano tutto il perimetro interno. Al centro del complesso s'innalzava il tempio, elevato su colonne preziose, il cui esterno era sontuosamente e magnificamente costruito in marmo. In questo tempio, la statua di Serapide era così grande che il suo lato destro sfiorava un muro, il suo lato sinistro l'altro; questa statua straordinaria era fatta, si diceva, di ogni genere di legno e metallo.» (Rufino, ''Storia ecclesiastica'', 2, 23)