Curzio Malaparte: differenze tra le versioni

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*Mi si biasimi pure, ma io sono un uomo e amo la [[guerra]]. Non ho l'ipocrisia di dire: "Non amo la guerra". Io l'amo, come ogni uomo ben nato, sano, coraggioso, forte, ama la guerra, come ogni uomo che non è contento degli uomini, né dei loro misfatti. (da ''Diario di uno straniero a Parigi'', Vallecchi, Firenze, 1947, p. 103)
*Muore tutto ciò che l'Europa ha di nobile, di gentile, di puro. La nostra patria è il cavallo. Voi capite quel che voglio dire. La nostra patria muore, la nostra antica patria. (da ''Kaputt'' in ''Opere scelte'', Mondadori, Milano, 1997, p. 499)
*Non sarà mai ripetuto abbastanza che una cosa è l'Italia, altra cosa è lo Stato italiano, e che tanto è cosa meravigliosa l'Italia, quanto è misera cosa lo Stato italiano.<ref>Citato in "''Il Tempo"'', 4 ottobre 1956.</ref>
*Penso che se fossi vissuto in una società più virile e in mezzo a un popolo più virile sarei forse potut
*Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore: di una cosa sono certo, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, il Mulino, 2004, p. 119. ISBN 88-15-09727-9.</ref>
*Penso che se fossi vissuto in una società più virile e in mezzo a un popolo più virile sarei forse potuto diventare un uomo nel vero senso della parola. Ma se dovessi definirmi con una sola parola direi che, nonostante tutto, sono un uomo.<ref name=iltempo55/>
*Per molto tempo almeno, vedremo continuarsi nell'antifascismo, adattandosi alle circostanze nuove, molti dei metodi e della mentalità fascista. Si farà dell'antifascismo di natura fascista. (da ''Malaparte: 1950-1951'', a cura di Edda Ronchi Suckert, Ponte alla Grazie, Milano, 1994, p. 422)
* {{NDR|Mussolini}} Stringeva nella mano una rosa color carne. Mussolini ha sempre una rosa stretta con delicatezza nel pugno. ([...)] Quel gesto all'[[Oscar Wilde]], quel gesto, in un certo senso, [[George Gordon Byron|byroniano]], quel gesto decadente, mi mise a disagio. Egli non sa il valore, il senso di quel suo gesto, di quella sua rosa. Il giorno in cui egli sarà fucilato, io vorrei esser presente per mettergli una rosa nella mano rattrappita. Non per insultarlo, per mancargli di rispetto: no. Non mi piace mancar di rispetto ai morti. (da ''Diario di uno straniero a Parigi'')
*Tutti gli scrittori sono stati fascisti, nella qual cosa non vi è nulla di male. Ma perché oggi pretendono di farsi passare antifascisti, per martiri della libertà, per vittime della tirannia? Nessuno di loro, dico nessuno, ha mai avuto un solo gesto di ribellione contro il fascismo, mai. Tutti hanno piegato la schiena, con infinita ipocrisia, leccando le scarpe a Mussolini e al fascismo. E i loro romanzi erano pure esercitazioni retoriche, senza l'ombra di coraggio e di indipendenza morale e intellettuale. Oggi […] scrivono romanzi antifascisti come ieri scrivevano romanzi fascisti; tutti, compreso Alberto Moravia, che gli stessi comunisti (quando Moravia non filtrava ancora col comunismo) definivano uno scrittore borghese, e perciò fascista. L'attuale romanzo italiano rispecchia l'attuale conformismo anti-fascista del popolo italiano, come ieri rispecchiava il conformismo fascista e […] rivela lo sforzo degli scrittori di conquistarsi una libertà formale e contenutistica in contrasto col loro inguaribile conformismo personale morale e intellettuale. (Citato in [http://www.loccidentale.it/node/76147 ''Non è con l'omertà intellettuale che riscopriremo Curzio Malaparte. Intervista a Luigi Martellini di Luca Meneghel''], in ''l'Occidentale'', 2 agosto 2009)
 
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==== ''Il vento nero'' ====
*Trattenni il cavallo, tesi l'orecchio. Udii veramente parlare sul mio capo, voci umane passar nell'aria nera, alte sulla mia testa. "Wer da?" gridai "chi va là?" ([...)] Le voci passavano alte sulla mia testa, erano proprio parole umane, parole tedesche, russe, ebraiche. Le voci erano forti, che si parlavan tra loro, ma un po' stridule: talvolta dure, talvolta fredde e fragili come il vento, e spesso si rompevano in fondo alle parole con quel tintinnio del vetro che urta in una pietra. Allora gridai di nuovo: "Wer da? chi va là?". "Chi sei? che vuoi? chi è? chi è?" risposero alcune voci, correndo alte sulla mia testa. ([...)] "Sono un uomo, sono un cristiano" dissi. Un riso stridulo corse nel cielo nero, si perdé lontano nella notte. E una voce, più delle altre forte, gridò: "Ah, sei un cristiano, tu?". Io risposi: "Sì, sono un cristiano". Una risata di scherno accolse le mie parole, e alto correndo sulla mia testa si allontanò, andò a spegnersi a poco a poco laggiù nella notte. "E non ti vergogni d'esser cristiano?" gridò la voce.([...)] Un grido di orrore mi si ruppe nella gola. Erano uomini crocifissi. Erano uomini inchiodati ai tronchi degli alberi, le braccia aperte in croce, i piedi congiunti, fissati al tronco da lunghi chiodi, o da fili di ferro attorti intorno alle caviglie.
* Molti eran vestiti del nero kaftano ebraico, molti erano nudi, e la loro carne splendeva castamente nel tepore freddo della Luna. Simile all'uovo turgido di vita, che nei sepolcreti etruschi di Tarquinia i morti sollevano fra due dita, simbolo di fecondità e di eternità, la luna usciva di sotterra, si librava nel cielo, bianca e fredda come un uovo: illuminando i visi barbuti, le nere occhiaie, le bocche spalancate, le membra contorte degli uomini crocifissi. Mi sollevai sulle staffe, tesi le mani verso uno di loro, tentai con le unghie di strappare i chiodi che gli trafiggevano i piedi. Ma voci di sdegno si levarono intorno, e l'uomo crocifisso urlò: "Non mi toccare, maledetto". "Non voglio farvi del male" gridai "per l'amor di Dio, lasciate che vi venga in aiuto!" Una risata orribile corse d'albero in albero, di croce in croce, e vidi le teste muoversi qua e là, le barbe agitarsi e le bocche aprirsi e chiudersi: e udii lo stridore dei denti. "Venirci in aiuto?" gridò la voce dall'alto "e perché? forse perché hai pietà di noi? perché sei un cristiano? ([...)] Coloro che ci hanno messi in croce, non sono forse cristiani come te? Son forse cani, cavalli, o topi, coloro che ci hanno inchiodati a questi alberi? ([...)] "Non sono stato io" gridai "non sono stato io a inchiodarvi agli alberi! Non sono stato io!". "Lo so" disse la voce con un inesprimibile accento di dolcezza e di odio "lo so, sono stati gli altri, sono stati tutti gli altri come te".
*"Ah! ah! ah!" gridò l'uomo crocifisso "avete udito? Vuol toglierci dalla croce! E non se ne vergogna! Razza immonda di cristiani, ci torturate, ci inchiodate agli alberi, e poi venite a offrirci la vostra pietà! Vorreste salvarvi l'anima, eh? Avete paura dell'inferno! Ah! ah! ah! ([...)] Vuoi toglierci dalla croce?" disse l'uomo crocifisso con voce grave e triste "e poi? I tedeschi ci ammazzeranno come cani. E anche te, ti ammazzeranno come un cane arrabbiato." ([...)] Non sapete far altro, vigliacchi? Ci inchiodate agli alberi e poi ci ammazzate con un colpo nella testa? E' questa la vostra pietà, vigliacchi?".
* La notte mi assalì la febbre, e fino all'alba delirai, vegliato dal giovane ufficiale.([...)] Il terzo giorno mi alzai dal letto e presi congedo dal giovane ufficiale ([...)] quando imboccammo il viale fiancheggiato d'alberi, chiusi gli occhi, e dato di sprone al cavallo m'inoltrai di galoppo fra le due terribili schiere d'uomini crocifissi. ([...)] A un tratto frenai il cavallo: "Che è questo silenzio?" gridai "perché questo silenzio?". Avevo riconosciuto quel silenzio. Aprii gli occhi, e guardai. Quegli orribili Cristi pendevano inerti dalle loro croci: gli occhi sbarrati, la bocca spalancata, e mi guardavano fisso.
*Un giorno Febo uscì, e non tornò più. Lo aspettai fino a sera, e scesa la notte corsi per le strade, chiamandolo per nome. Tornai a casa a notte alta, mi buttai sul letto, col viso verso la porta socchiusa. Ogni tanto mi affacciavo alla finestra, e lo chiamavo a lungo, gridando. ([...)] Non appena si fece giorno, corsi alla prigione municipale dei cani. Entrai in una stanza grigia, dove, chiusi in fetide gabbie, gemevano cani dalla gola ancora segnata dalla stretta del laccio del chiappino. Il guardiano mi disse che forse il mio cane era rimasto sotto una macchina o era stato rubato, o buttato a fiume da qualche banda di giovinastri. ([...)] Tutta la mattina corsi di canaio in canaio, e finalmente un tosacani, in una botteguccia di Piazza dei Cavalieri, mi domandò se ero stato alla Clinica Veterinaria dell'Università, alla quale i ladri di cani vendono per pochi soldi gli animali destinati alle [[vivisezione|esperienze cliniche]]. Corsi all'Università, ma era già passato mezzogiorno, la Clinica Veterinaria era chiusa. Tornai a casa, mi sentivo nel cavo degli occhi un che di freddo, di liscio, mi pareva di aver gli occhi di vetro. Nel pomeriggio tornai all'Università, entrai nella Clinica Veterinaria. ([...)] Lungo le pareti erano allineate l'una a fianco dell'altra, come i letti di una clinica per bambini, strane culle in forma di violoncello: in ognuna di quelle culle era disteso sul dorso un cane dal ventre aperto, o dal cranio spaccato, o dal petto spalancato.
* Sottili fili di acciaio, avvolti intorno a quella stessa sorta di viti di legno che negli strumenti musicali servono a tender le corde, tenevano aperte le labbra di quelle orrende ferite: si vedeva il cuore nudo pulsare, i polmoni dalle venature dei bronchi simili a rami d'albero, gonfiarsi proprio come fa la chioma di un albero nel respiro del vento, il rosso, lucido fegato contrarsi adagio adagio, lievi fremiti correre sulla polpa bianca e rosea del cervello come in uno specchio appannato, il groviglio degli intestini districarsi pigro come un nodo di serpi all'uscir dal letargo. E non un gemito usciva dalle bocche socchiuse dei cani crocifissi. ([...)] A un tratto, vidi Febo. Era disteso sul dorso, il ventre aperto, una sonda immersa nel fegato. Mi guardava fisso, e gli occhi aveva pieno di lacrime. Aveva nello sguardo una meravigliosa dolcezza. Non mandava un gemito, respirava lievemente, con la bocca socchiusa, scosso da un tremito orribile. Mi guardava fisso, e un dolore atroce mi scavava il petto. "Febo" dissi a voce bassa. E Febo mi guardava con una meravigliosa dolcezza negli occhi. Io vidi Cristo in lui, vidi Cristo in lui crocifisso, vidi Cristo che mi guardava con gli occhi pieni di una dolcezza meravigliosa. "Febo" dissi a voce bassa, curvandomi su di lui, accarezzandogli la fronte. Febo mi baciò la mano, e non emise un gemito. Il medico mi si avvicinò, mi toccò il braccio: "Non potrei interrompere l'esperienza", disse, "è proibito. Ma per voi... Gli farò una puntura. Non soffrirà". ([...)] Anche gli altri cani, distesi sul dorso nelle loro culle, mi guardavano fisso, tutti avevano negli occhi una dolcezza meravigliosa, e non il più lieve gemito usciva delle loro bocche. A un tratto un grido di spavento mi ruppe il petto: "Perché questo silenzio?", gridai, "che è questo silenzio?". Era un silenzio orribile. Un silenzio immenso, gelido, morto, un silenzio di neve. Il medico mi si avvicinò con una siringa in mano: "Prima di operarli", disse, "gli tagliamo le corde vocali".
* Mangerei la terra, masticherei i sassi, ingoierei lo sterco, tradirei mia madre, pur di aiutare un uomo, o un [[animale]], a non soffrire.