Proverbi toscani: differenze tra le versioni

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*Il primo tentativo di offrire all'Italia unita un corpo di proverbi nasce proprio a Firenze, e dalla stessa casa editrice che oggi ha pubblicato il mio Dizionario: è la raccolta di Giuseppe Giusti curata dal Capponi nel 1853. Una raccolta di proverbi in gran parte toscani, ma siccome nell'Ottocento il toscano equivaleva all'italiano, il suo repertorio è stato usato a lungo come un repertorio dei proverbi italiani.
*I proverbi italiani, in definitiva, sono i proverbi toscani accolti e condivisi dai parlanti.
*In Toscana il proverbio era usato di continuo. Pensi a quel verso della "''[[Divina Commedia|Commedia]]''" che dice "''poca favilla gran fiamma seconda''": [[Dante Alighieri|Dante]] trova un proverbio all'interno della sua lingua, lo formalizza e alla fine soppianta quello che c'era prima. Anche [[Francesco Petrarca|Petrarca]] è un grande utilizzatore di proverbi, e la cosa non sorprende. Entrambi vivevano ancora a diretto contatto con la cultura popolare, prima che l'Umanesimo e il Rinascimento chiudessero la cultura dentro le stanze del principe
*La prima caratteristica del mondo toscano è un realismo crudo, legato al quotidiano, che non risparmia neanche la sfera del sacro e del sublime. Tra gli innumerevoli proverbi sulle suocere, tutti ugualmente feroci, ce n' è uno che dice: "''anche la Madonna, che non la volle, se lo prese vecchio''", cioè il marito. E poi l'ironia, non cattiva eppure inesorabile: "''il sé è patrimonio dei coglioni''", oppure "''Quattrini e santità, la metà della metà''". Questo atteggiamento verso la vita si esprime, oltre che nei contenuti, nell'utilizzo del proverbio, piazzato spesso, nel corso di una discussione, in un punto e in un modo che fanno ammutolire l'interlocutore.