Jeffrey Alexander: differenze tra le versioni

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*Non furono né la repressione delle emozioni né il buon senso morale a dar vita alle prime reazioni allo sterminio degli ebrei. Fu, piuttosto, un sistema di rappresentazioni collettive che focalizzò il suo fascio di luce narrativa sulla trionfante espulsione del [[male]]. (cap. I, p. 51)
*Come sottolineava Dilthey, i significati sono sicuramente governati da strutture così come i processi economici e politici; solo sono governati in modi diversi. Ogni tentativo di sviluppare una scienza sociale interpretativa deve iniziare con la ricostruzione di questa struttura culturale. (cap. I, p. 62)
*Invece della [[redenzione]] attraverso il progresso, la narrazione tragica offre ciò che Nietzsche ha chiamato il dramma dell'[[eterno ritorno]]. Come si è ormai capito, non esisteva alcun modo per «andare oltre» la storia dell'[[Olocausto]]. Esisteva solo la possibilità di ritornarvi: non trascendenza ma [[catarsi]]. (cap. I, p. 68)
*Nella misura in cui l'Olocausto è giunto a definire la disumanità nel nostro tempo, esso ha dunque svolto una funzione fondamentalmente morale. La «moralità post-Olocausto» ha potuto svolgere questo ruolo, tuttavia, solo attraverso una forma sociologica: è diventata una metafora di collegamento che gruppi sociali di diverso potere e legittimità hanno utilizzato per definire logicamente come bene o come male gli eventi storici in corso. Ciò che l'Olocausto ha identificato come il male più profondo è l'impiego sistematico ed organizzato della violenza contro i membri di un gruppo collettivo stigmatizzato, sia esso definito secondo criteri primordiali o ideologici. Questa rappresentazione non solo ha identificato come male radicale i colpevoli e le loro azioni, ma ha interpretato come male anche i non-attori. Secondo i criteri della moralità post-Olocausto ad ogni individuo è ora richiesto, normativamente, lo sforzo di intervenire contro qualsiasi Olocausto, al di là di ogni considerazione di costi e conseguenze personali. (cap. I, p. 91)
*[...] i paesi o le civiltà che non riconoscono l'Olocausto possono sviluppare moralità politiche universalistiche? Ovviamente, le nazioni non-occidentali non possono «ricordare» l'Olocausto, ma nel contesto della globalizzazione culturale sono certamente diventate gradualmente consapevoli del suo significato simbolico e della sua importanza sociale. Potrebbe anche verificarsi che le nazioni non-occidentali sviluppino drammi del trauma che siano funzionalmente equivalenti all'Olocausto. (cap. I, p. 118)