Charles Van Lerberghe: differenze tra le versioni

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==Citazioni su Charles Van Lerberghe==
*Molti artisti contemporanei, – compreso l'autore di questo articolo – hanno subito crisi simili e confuso l<nowiki>'</nowiki>''énorme'' con il ''grande'', la violenza con l'energia. Ma è generalmente una follia romantica della gioventù e quella d'un tempo in cui il cuore si esalta a caso prima che il gusto abbia scelto. Il fatto strano è che essa si sia verificata in Van Lerberghe all'età di quarant'anni, come un improvviso richiamo delle forze dell'adolescenza in un'anima poco a poco rinnovata. Questo ribollire disordinato non è certo inutile ed il genio di [[Emile Verhaeren]] ha potuto trarne soprendentisorprendenti capolavori. In Van Lerberghe esso si è presto contenuto e si è risolto in lirismo.<br/>No, certo, questo nuovo stato non si è riflesso ''direttamente'' nella sua opera, ma senza dubbio è servito a darle una più viva ampiezza. Lui, Charles Van Lerberghe non somigliava più al poeta. Aveva da poco iniziato l'ammirevole ''Chanson d'Eve'', e mi mostrò anche l'abbozzo di una commedia leggendaria in tre atti che nulla doveva allo stoicismo. Era una sorta di satira, di spirito pagano, insieme ironica e veemente. Io terminavo le ultime pagine di ''Clartés'' e lavoravo ancora ad alcune ''Banalités indiscrètes'' impertinenti e talvolta sbrigliate. Essendoci scambiati i nostri scritti, restammo stupefatti; poiché singolare era il contrasto fra il profondo accordo di tutte le nostre tendenze di artisti e la divergenza del nostro spirito.<br /> Ma la trasformazione proseguiva in Charles Van Lerberghe e a sua insaputa. A Firenze, dove vivemmo insieme per molti mesi era improvvisamente ridivenuto il sognatore di un tempo. Non lo stesso, tuttavia; era gioioso, più appassionato di ciò che la vita contiene, più lirico. E, in verità, il lirismo trionfa lungo tutti questi poemi della ''Chanson d'Eve'', molti dei quali furono scritti in un giardino di oleandri, all'ombra della vecchia torre che corona la collina di Arcetri, mentre un immenso paesaggio mostrava in lontananza l'Arno che bagnava i palazzi fiorentini. ([[Albert Mockel]])
 
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