Anna Maria Ortese: differenze tra le versioni

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inizio ''Le piccole persone''
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==''Le piccole persone''==
===[[Incipit]]===
Quando sono nata l'[[universo]] era ancora visibile. In questo senso, la mia generazione, quella della prima guerra mondiale, fu davvero privilegiata rispetto a quelle che seguirono. Oggi si sa di più sull'universo, ma esso è nascosto dal proliferare delle opere e le azioni umane. Per universo, intendo gli innumeri cortei di stelle, i pianeti, il nostro pianeta, e tutta la incomparabile energia che organizza le proprie forme, le completa, e poi le disperde, così si direbbe, in un solo soffio. Intendo le montagne, i mari, le terre fiorite, gli alberi, gli animali, e in qualche modo anche l'uomo. Tutto ciò, insomma, che si apre a ventaglio, continuamente, nel nulla, inventa ad ogni attimo forme straordinarie, squisite, e poi le cancella o riassorbe. <!--(p. 15)-->
 
===Citazioni===
*Ci sono momenti in cui un [[albero]] ci si mostra improvvisamente ''umano'', ''stanco''. Altri momenti che un'umile [[animale|bestia]] (o ciò che crediamo tale) ci guarda in modo tanto quieto, benevolo, profondo, tanto puro, consapevole, amoroso, «divino», da farci balenare l'idea di una comune Casa, un comune Padre, un comune Paese, un Reale tanto felice e beato, dal quale partimmo ''insieme'', per naufragare in questo. (p. 16)
*Non si dice degli animali: queste anime viventi – tale è il loro nome nei testi sacri – occupano il grado più basso, ormai, di tutta la vita vivente, e dove in tempi precedenti la loro sfortuna, asservimento, dolore era cosa casuale ora è cosa altamente programmata, tramite l'industria, e li vediamo in ogni punto della loro muta vita soggetti alla infame programmazione del vivere – una minima parte – umano, alla programmazione del potente umano. Allevamenti, macelli, laboratori, giochi infami, sacrifici solo apparentemente religiosi – in realtà sadici –, maltrattamenti, divertimenti e alla fine ritiro totale, da essi, di ogni pur apparente protezione della legge: ridotti a cose, essi anime viventi, e il loro vivere pari in tutto all'inferno che l'uomo temeva ed ora ha pienamente realizzato. Lo ha realizzato per i più deboli. (p. 34)
*L'[[uomo]] è, generalmente, inumano, egli è l'amorale per eccellenza, e i suoi bisogni – che afferma essere sacri – sacri non riconosce ai più deboli di lui. Così l'uomo è l'oggetto più sordo e cieco dell'Universo, e si spiega a questo punto la sua necessità di considerare il luogo dove vive, la Terra, un oggetto meccanico, a lui pienamente soggetto, di cui egli conosce tutti i segreti e dispone di tutti i comandi. Ed egli s'illude quindi di controllare terremoti, maree, inondazioni, epidemie, disastri celesti, e ogni altro orrore: e forse pensa – anzi pensa senza dubbio – almeno io, il più forte tra gli uomini, [[Henry Ford|Ford]] o qualsiasi altro, mi salverò, a causa dei miei soldi. Tutti gli altri si perderanno, ma io che posseggo potere sugli altri, mi salverò. Così piccolo e miope è il più grande e il più forte dei terrestri. (pp. 34-35)
*Oh i buoni [[cane|cani]]! Esprimeva un tal sentimento quell'occhio grande, umile e fiero a un tempo; scintillante, in presenza del padrone, di pazza allegria, ma stranamente triste nei solitari riposi, seminascosto tra l'orecchio e la zampa. (p. 77)
*Caro Ciolì, caro Tull, voi tutti, nobili animali che racchiudeste nello sguardo tanta bontà e dolore, a volte tanta schietta allegria di bimbi ed altre tanta cupa malinconia di schiavi: ho l'impressione che non proprio la terra nera vi ospiti, la terra dei luoghi sconsolati ove vi posero, indugiando, le nostre mani; ma non so quale strada aperta verso l'orizzonte accompagni il vostro cammino, che mai non avrà termine: come non ne ha quello del dolore senza peccato, della passione senza parole, della generosità senza speranza. (p. 79)
*L'uomo vive avulso dalla Natura, in questa grande casa passa come un servo o un padrone, quasi mai come un figlio o un fratello. E, invece, tutto ciò che tocchiamo è meravigliosamente vivo e permeato della sensibilità e dolcezza dello Spirito che ha generato l'Uomo: un cavallo, un uccello, una farfalla, e persino la vipera e l'orrido rospo, non sono, in diversa maniera, meno rispettabili dell'uomo. Essi palpitano. Chi è che palpita in essi, se non lo stesso Dio che ci rende coscienti? Alcuni non vogliono chiamarlo Dio. Lo chiamino come vogliono: è evidente che tutto ciò che vive è espresso da quest'Uno, che nei momenti più alti della vita si chiama Intelligenza, ma più spesso non è che sensibilità, e non bisogna offenderlo e tormentarlo, ma dedicargli rispetto e tenerezza infinita. (pp. 83-84)
 
==Citazioni su Anna Maria Ortese==