Giuseppe Tomasi di Lampedusa: differenze tra le versioni

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*Per il Principe, però, il giardino profumato fu causa di cupe associazioni di idee. "Adesso qui c'è buon odore, ma un mese fa..." Ricordava il ribrezzo che le zaffate dolciastre avevano diffuso in tutta la villa prima che ne venisse rimossa la causa: il cadavere di un giovane soldato del 5° Battaglione Cacciatori che, ferito nella zuffa di S. Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone. [...] Quando i commilitoni imbambolati lo ebbero poi portato via un De Profundis per l'anima dello sconosciuto venne aggiunto al Rosario serale; e non se ne parlò più. [...] L'immagine di quel corpo sbudellato riappariva però spesso nei ricordi come per chiedere che gli si desse pace nel solo modo possibile al Principe: superando e giustificando il suo estremo patire in una necessità generale. Perché morire per qualche d'uno o per qualche cosa, va bene, è nell'ordine; occorre però sapere o, per lo meno, esser certi che qualcuno sappia per chi o per che si è morti; questo chiedeva quella faccia deturpata; e appunto qui cominciava la nebbia.
*"[...] In [[Sicilia]] non importa far male o far bene: il peccato che noi [[siciliani]] non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso." (pp. 161-162)
*Aprì una delle finestre della torretta. Il paesaggio ostentava tutte le proprie bellezze. Sotto il lievito del forte sole ogni cosa sembrava priva di peso: il mare, in fondo, era una macchia di puro colore, le montagne che la notte erano apparse temibilmente piene di agguati, sembravano ammassi di vapori sul punto di dissolversi, e la torva Palermo stessa si stendeva acquetata attorno ai conventi come un gregge al piede dei pastori. Nella rada le navi straniere all’ancoraall'ancora, inviate in previsione di torbidi, non riuscivano ad immettere un senso di timore nella calma maestosa. Il sole, che tuttavia era ben lontano dalla massima sua foga in quella mattina del 13 maggio, si rivelava come l’autenticol'autentico sovrano della Sicilia: il sole violento e sfacciato, il sole narcotizzante anche, che annullava le volontà singole e manteneva ogni cosa in una immobilità servile, cullata in sogni violenti, in violenze che partecipavano all’arbitrarietàall'arbitrarietà dei sogni. «Ce ne vorranno di Vittori Emanueli per mutare questa posizione magica che sempre ci viene versata!».
*"Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae soltanto perché è morto." (p. 162)
*Il suo disgusto cedeva posto alla compassione per questi effimeri esseri che cercavano di godere dell'esiguo raggio di luce accordato loro fra le due tenebre prima della culla, dopo gli ultimi strattoni. Come era possibile infierire contro chi, se ne è sicuri, dovrà morire? [...] Non era lecito odiare altro che l'[[eternità]].
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==Citazioni su Giuseppe Tomasi di Lampedusa==
*C'era fra di noi una sorta di gara, a chi fosse più abile scopritore di interessanti novità. Ricordo che fu così a proposito del grande poeta Yeats, il grande poeta d’Irlandad'Irlanda che fui io il primo a leggerlo prima ancora di Lampedusa […] E così ci siamo accaparrati tutta la letteratura contemporanea europea, tedesca, francese. Ricordo anzi che fu proprio Lampedusa a introdurre a Palermo, nella Palermo colta, Rilke [...] Poi passarono Joyce, Proust. Di Proust mi ricordo che una volta mi disse «Sai, c’èc'è uno scrittore francese il quale per fare due passi da lì a qui ci impiega dieci pagine». La prima immagine che io ho avuto di Proust è stata questa. ([[Lucio Piccolo]])
*Mi dispiace che Lampedusa sia ricordato soprattutto per la famosa frase secondo cui se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Abitavo in via Mariano Stabile e andavo spesso al bar Mazzara. Lo ricordo in un angolo, intento a scrivere. Era molto gentile, attento, non molto loquace. Ma la conversazione letteraria lo prendeva. Certo, la frase del Principe Salina è emblematica, ma non la amo. È una condanna. Penso invece che bisogna rimboccarsi le maniche, partire dalle piccole cose, fare il proprio dovere. ([[Dacia Maraini]])