Ferruccio Masini: differenze tra le versioni

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*Nel «fanciullo» della «terza metamorfosi» non si ha una semplice ripresentazione di quello eracliteo, nel quale Nietzsche vedeva l'istinto del gioco assimilato a quello dell'artista: non si tratta più di una giustificazione estetica del divenire, bensì di una tensione estatica strutturante l'anima dionisiaca. Lo ''Übermut'' è appunto quel ''höchste Zustand'' («stato supremo») in cui tutte le cose hanno il loro flusso e riflusso e diventano danza al di sopra del caso e della necessità: qui si celebra il segreto anticristiano e metacristiano − al di là del bene e del male − della «virtù che dona», del sacrificio e della resurrezione di Dioniso. (da ''Parte seconda'', cap. II, ''Übermut: una costellazione semantica'', p. 134)
*L'autodistruzione è l'ultimo atto del nichilismo attivo che si autodistrugge in quanto la volontà di distruzione, enormemente potenziata, si abbatte su se stessa: è di qui che Nietzsche si presenta come Zarathustra, «colui che va oltre»: «Ich liebe die – dirà nello ''Zarathustras Vorrede'' – welche nicht zu leben wissen, es sei denn als Untergehende, denn es sind die Hinübergehenden»<ref>«Io amo coloro che non riecono a vivere se non come tramontanti, poiché sono essi quelli che vanno oltre». Da [[Friedrich Nietzsche]], ''Also sprach Zarathustra'', ''Schlechta, Werke in drei Bänden'', II, p. 282 (4) in ''Werke in drei Bänden'', a cura di K. Schlechta, München, Hanser, ovv. Darmstadt (Wiss. Buchges.), s.d. (1954 ss.) (Index-Band). {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota di Ferruccio Masini a p. 157.</ref> (da ''Parte seconda, Cap. terzo, il ''Freigeist'' e la volontà del nulla'', p. 157)
*Proprio l'atteggiamento anti-classico, con cui gli opposti diventano i termini diadici di una tensione esistenziale fino ad una tragica identificazione («Dioniso contro il Crocifisso» diventerà 'Dioniso crocifisso'), costituisce lo stigma profondo di una filosofia in cui la «magia degli estremi» si risolve nella magia di una lotta a cui non è risparmiato l'orrore d'un sanguinoso campo di battaglia, di una atroce autodafé. [...] Sia in [[Jean Paul]]<ref>Il riferimento è a Jean Paul, ''Discorso di Cristo morto dall'alto dello universo, in cui si afferma che Dio non è'', in app. a F. Masini, ''Nichilismo e religione in Jean Paul'', Bari, 1974, pp. 107 ss. [Jean Paul, ''Rede des toten Christus'', in ''Werke'', a cura di N. Miller e G. Lohmann, 6 voll., München, 1959-1963, II, pp. 266-271]. {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota a p. 172.</ref> che in Nietzsche, la follia centrifuga in cui si disgrega l'edificio cosmico, la polverizzazione ontologica, la rottura di tutte le coordinate discendono dall'assenza di un centro di gravità costituito appunto da un ''Summum Ens''. (da ''Parte seconda, cap. quinto, L'autodafèautodafé del nichilismo'', p. 171)
*In questo istante di estatica sospensione («Affocato meriggio dorme sui campi. Non cantare! Taci!»), sacro al sonno del dio [[Pan]] che si riposa dalla caccia, la natura stessa sembra sepolta in un misterioso, impenetrabile sopore: i venti sono caduti e il sole, a perpendicolo sull'orizzonte, è come un'alta fiamma pietrificata. A questo punto si tronca repentinamente lo scorrere del tempo («Non se n'è volato via il tempo?») e Zarathustra sprofonda nel pozzo dell'eternità («Fiel ich nicht – horch! in den Brunnen der Ewigkeit?») ed ecco che emerge silenziosamente il mondo dalla sua perfezione, o meglio quella eternità, calata nella profondità del mondo, che costituisce la sua perfezione («Die Welt ist vollkommen»)<ref>Da [[Friedrich Nietzsche]], ''Also sprach Zarathustra''; ''Schlechta, Werke in drei Bänden'', II, p. 514 (''Mittags'') {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota a p. 200. </ref>. Gli stessi attributi di questa perfezione, «maturo» e «rotondo» («Non era infatti il mondo perfetto, rotondo e maturo?», rimandano alla perfezione del circolo, in cui il movimento è conchiuso in se stesso e non si dispiega più in una progressione indefinita. L'anima e il mondo sono ora immersi in una trasognata mescolanza che ha lo stupore del possesso. (da ''Parte seconda, cap. settimo, Il "mezzodì" come metafora cosmico-estatica della eternità'', pp. 200-201)
*E tuttavia è nella disciplina ritmico-musicale della danza – questo incatenamento del demone – che sembra riflettersi l'immagine stessa del «ritorno» come quella di un fluido dominio del movimento che incatena il divenire senza distruggerlo. La danza come armonia sensibile, in cui il mondo ritorna a sé con tutti i suoi esseri viventi gioiosamente restituiti al labirinto del caso, diventa in Nietzsche la prefigurazione di una esistenza nuovamente divinizzata, di una φύσις ancora piena di dèi [...] (da ''Parte terza, cap. primo, L'uomo che diviene'', p. 246)