Paolo Volponi: differenze tra le versioni

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==Citazioni su Paolo Volponi==
*{{NDR|Su ''Il pianeta irritabile''}} Capovolgendo totalmente il messaggio “storico” della fantascienza, Volponi non vuole ammonire o mettere in guardia i suoi lettori contro le conseguenze della dissipazione ecologica e il fatale approssimarsi della catastrofe; al contrario, sembra assaporarne in anticipo le delizie, abbandonandosi con i sensi e la fantasia a una sorta di dilagante, contagiosa ilarità. (Giovanni Raboni, "La Stampa - Tuttolibri", 27 maggio 1978)
*{{NDR|Su ''Il lanciatore di giavellotto''}} Certamente il fascismo è una chiave di lettura fondamentale del libro, certamente l'adolescenza ne è l'altra, ma è come se dal connubio di queste due coincidenze "temporali" – l'età del fascismo e l'età dell'adolescenza – scaturisse una terza componente, o che sia la terza a far scattare il cortocircuito tragico delle altre due: una terza non completamente definibile ma la cui aura è infine quella di una nevrosi estrema, che in quanto estrema rende estreme le sue violenze "storiche". Essa ha origine su un terreno più lontano e più antico dell'epoca del romanzo e forse della stessa storia. Su un terreno di tragedia, e di mito, nell'angoscia del nato di donna di fronte alla donna, al sesso, al rapporto con la donna. ([[Goffredo Fofi]])
*{{NDR|Su ''Le mosche del capitale''}} Dopo ''Aracoeli'' della Morante (1982) non leggevo pagine narrative italiane con tanta partecipazione e ammirazione. Le due opere sono diversissime per modo di vedere il mondo e per uso del linguaggio. Quello è ultimativo e tragico; questo è drammatico, quindi non ultimativo. Hanno però in comune la certezza che il centro della realtà e verità abiti le buie viscere, dov'è il nodo tra fantasmi della mente e materia biologica. Nella Morante per una capitolazione catastrofica ed estatica, in Volponi per una aggressiva rivendicazione della corporeità di oppressi e di entità non umane diretta contro il delirio verbale del potere, inteso come laido ronzio di mosche. L'uno e l'altro raccontano una sconfitta e rovina, prima collettive e storiche che personali: il decennio settanta. ([[Franco Fortini]])