Cesare Cases: differenze tra le versioni

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*Ma se ''[[Il barone rampante|Il barone]]'' non è un ''Entwicklungsroman'' {{NDR|"romanzo di evoluzione"}}, è dubbio anche che si tratti puramente e semplicemente di un romanzo, poiché non c'è un nodo fondamentale, un avvenimento o una serie di avvenimenti decisivi che mettano alla prova il carattere dei personaggi.<ref name=calvinopathos>Da ''Calvino e il «pathos» della distanza'', in ''Città aperta'' n. 7-8, luglio-agosto 1958, pp. 33-35; ristampato come postfazione a Italo Calvino, ''Il barone rampante'', Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002. ISBN 978-88-04-37085-7</ref>
*Mentre lo [[scrittore]] di romanzi accetta sempre come dato certo problematico, ma ineliminabile, la disarmonia tra individuo e società, tra uomo e mondo, [[Italo Calvino|Calvino]], poeta epico sperdutosi in tempi avversi all'epos, non vi si rassegna, e aspira a priori (e non, caso mai, come risultato di un lungo processo) a un'integrazione totale.<ref name=calvinopathos/>
*Ora, il difetto costitutivo delle ''Cronache di poveri amanti'' consiste a mio parere nel fatto che l’avvento del fascismo vi funziona un po’ da cartina di tornasole che misura la buona o cattiva spontaneità dei personaggi e rivela in essi gli “italiani” e “italieschi” che coesistevano sonnecchiando e lavorando e fornicando tra i vecchi umidi muri di Via del Corno fin dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini. Che queste reazioni individuali al fascismo siano veracemente ed efficacemente caratterizzate è indubbio, e ciò fa delle ''Cronache'' un libro pur sempre notevole: tuttavia ciò non cancella l’impressione di un episodio storico che investe Via del Corno senza poterne scuotere la sostanziale atemporalità. Tale impressione è confortata dalla ripresa della tecnica corale, a scene girevoli, del ''Quartiere'', con la stessa ariosità ma anche con la stessa apertura che tende a dissolvere la forma del romanzo e che corrisponde all’atmosfera senza tempo tinta del “‘popolo minuto’ sempre, fatto ignaro ormai, ciompi da se stessi traditi”, come si dice appunto nel ''Quartiere''. (Cesare Cases, ''Opinioni su ''Metello'' e il neorealismo'', “Società”, Roma, XI (1955), n. 6; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
*Già restando all’interno della decadenza era riuscito a Moravia, ne ''Gli indifferenti'', di rappresentare il disfacimento morale come prodotto di una situazione di fermo, di un ingorgo storico, e con ciò egli aveva genialmente anticipato molto “essere-nel-mondo” del posteriore esistenzialismo. Qui la decadenza italiana, scrutando se stessa, si elevava al livello europeo. (Cesare Cases, ''Opinioni su ''Metello'' e il neorealismo'', “Società”, Roma, XI (1955), n. 6; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
*Il limite fondamentale di uno scrittore così dotato come Brancati sta nel fatto che egli tende a esemplificare la sua interessante problematica, che investe profondamente proprio la diseducazione italiana, su casi dati per natura, e quindi ne vanifica la necessità, riducendola alla casuale fisiologia del Bell’Antonio o di Paolo il Caldo. Questi limiti sono anche limiti artistici: Brancati non riesce a concludere un romanzo perché la natura non conclude mai, se non con la morte, e gli impotenti restano impotenti, e i caldi, caldi. (Cesare Cases, ''Opinioni su ''Metello'' e il neorealismo'', “Società”, Roma, XI (1955), n. 6; poi in ''Patrie lettere'', Einaudi 1987)
 
==Note==