Alfonso Berardinelli: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Alfonso Berardinelli==
*Utile contro le strumentalizzazioni ideologiche, scientifiche e scolastiche della letteratura, l'estetica di Nabokov, quando si manifesta in affermazioni generali, fa un'impressione abbastanza misera. Dimostra tra l'altro la sua natura puramente reattiva. [...] La letteratura è un imbroglio, il romanzo è una fiaba, dice Nabokov. Ma che bisogno c'è di fare generalizzazioni così discutibili dopo essersi dichiarati irriducibili avversari di ogni idea generalizzante? [...] Nell'intento di trasformarci in lettori del tutto privi di pregiudizi, Nabokov ci regala i suoi pregiudizi, quelli di cui è più fiero. (Alfonso Berardinelli, ''Il critico senza mestiere'', "Pagina", giugno 1982; poi in ''Il critico senza mestiere. Scritti sulla letteratura oggi'', Il Saggiatore 1983, pagg. 134-135).
*[Emile Cioran] Il suo modo di pensare si nutre appunto di infatuazioni, di piccoli dogmi personali e di quelle continue alzate di spalle con cui il ''parvenu'' dello Spirito deve sempre dimostrare di essere "il più fine". (Alfonso Berardinelli, ''Il più pessimista'', "Diario" n. 2, dicembre 1985, anno I; poi in ''Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione'', Quodlibet 2007, pag. 226)
*Ci deve pur essere qualcosa negli ex nazisti non pentiti che oggi affascina tanto gli intellettuali di sinistra italiani. Questo qualcosa è lo Stile: la stilizzazione altamente parodistica dell’intelligenza, l’esibizione coerente, apatica, senza flessioni e senza ripensamenti del proprio pensiero come prodotto di un’intelligenza superiore. Il ''kitsch'' della potenza teoretica condensata in formule inestricabili e tautologiche. È un fatto che uomini come Ernst Junger, Carl Schmitt e Martin Heidegger offrono questo. E sembrano sempre un poco (o molto) superiori ai fatti. Non si sono mai pentiti, loro. Non ci hanno mai fornito nessun utile, trasparente resoconto delle loro convinzioni e vicende politiche. Nel ’33, il nazismo come “fatto dominante” li ha tremendamente affascinati, attratti e mobilitati. Ma poi, dopo il ’45, come “fatto perdente”, li ha annoiati ed è parso indegno di considerazioni ulteriori. Provare vergogna era qualcosa che superava nettamente le possibilità espressive del loro stile. [...] In quel linguaggio, non si capisce più la differenza fra leggere un libro e sparare contro qualcuno, fra un progetto di ricerca e una dichiarazione di guerra. Rispetto alla propaganda e alla pubblicità, siamo senza dubbio al polo opposto. Ripetitività ipnotica e vuotaggine, però, sono curiosamente analoghe. (Alfonso Berardinelli, ''I rumori dell’Essere'', “Diario” n. 6, giugno 1988, anno IV; poi in ''Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione'', Quodlibet 2007, pag. 169-171)
*{{NDR|[[Simone Weil]]}} Accusata di tradimento dalla sinistra, fraintesa dalla destra, dimenticata dai manuali di filosofia. Eppure è uno dei maggiori pensatori del secolo.<ref>Da ''[https://web.archive.org/web/20160101000000/http://archiviostorico.corriere.it/1998/gennaio/04/SIMONE_WEIL_rivoluzione_solitaria_co_0_9801043261.shtml Simone Weil: La rivoluzione solitaria]'', ''Corriere della Sera'', 4 gennaio 1998, p. 25.</ref>
*In difesa dell'individuo e del nesso fra verità e felicità (la verità, tradendo la felicità, tradisce sé stessa), Adorno è il filosofo della "vita offesa". La sua specifica tradizione di pensiero non poteva essere che quella esistenzialistica e moralistica. Molto più di Heidegger, ossessionato in astratto dal problema dell'essere e dell'ente, molto più di Gadamer, che teorizza l'ermeneutica come metodo senza praticarla come ha fatto Adorno nei suoi saggi critici, più ancora di Popper, che fa della democrazia e della società aperta un feticcio teorico, Adorno è stato un pensatore dell'esistenza, un critico della cultura e dell'arte moderna, un difensore dei prerequisiti della democrazia, uno straordinario ermeneuta nei suoi scritti su Kafka, Beckett, la poesia e la musica moderna da Wagner a Schonberg, la vita quotidiana e il linguaggio. Un filosofo, ahimè, che oggi i filosofi neoaccademici trascurano o ignorano: si occupano di problemi che non li toccano come individui e come specialisti, parlano di essere e divenire, di alfa e omega, di inizio e di cosa ultima, di Dio e degli dei, saccheggiando scolasticamente l'intera tradizione della filosofia per riproporla "in vacuum". [...] Questo Adorno non lo voleva. Anche perché sapeva che il filosofo che si occupa di pensieri e problemi filosofici professionalmente pre-selezionati e filtrati tradisce il primo imperativo del pensare: affrontare e pensare il non ancora pensato, pensare quello che gli è avvenuto ieri e oggi, poiché non esistono oggetti e temi di pensiero che siano più filosofici di altri. (Alfonso Berardinelli, ''Adorno, filosofo e scrittore'', "Il Foglio", 23 novembre 2004; poi in ''Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione'', Quodlibet 2007, pagg. 145-146)
*Con [[Alberto Arbasino|Arbasino]], come lettore, non so convivere. È troppo veloce: io amo la lentezza. Dà troppo: ho bisogno di meno. Lui enumera: io cerco una sintassi. Lui registra, provoca, mette in fila interrogazioni retoriche: io mi aspetto ragionamenti. Lui deborda: io vorrei pause e confini. Le sue energie sono infinite: io vorrei una sosta. Preferisco gli scrittori che cambiano ritmo e tono: lui (come peraltro Pasolini e Calvino) ha sempre un ritmo e un tono. Mi sento a mio agio con gli scrittori che hanno un io di media grandezza: l'io di Arbasino è invece un io minimo prossimo allo zero, sparisce di fronte all'oggetto su cui lavora. Oppure è un io che si dilata fino a coincidere con il fiume del divenire, con il mare dell'essere e con ognuna delle loro increspature: è un io sconfinato, veloce, perpetuamente mobile, che non sopporta né lo spazio né il tempo. Un io virtuosamente estroverso, perché l'interiorità è madre di tutti i vizi. La vitalità di Arbasino sfiora il sovrumano, anzi lo scavalca. Io amo tipi che disperano di poter raggiungere semplicemente l'umano.<ref>Da ''Come convivere con Arbasino'', ''Il Foglio'', 22 gennaio 2010; poi in ''Non incoraggiate il romanzo. Sulla narrativa italiana'', Marsilio, 2011.</ref>