Albert Einstein: differenze tra le versioni

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{{Int|''Relatività ristretta''|''[[s:en:Relativity: The Special and General Theory/Part I|Part I - The Special Theory of Relativity]]''}}
*Il nostro lettore ha certamente imparato a conoscere, sui banchi di scuola, il superbo edificio della [[geometria euclidea|geometria di Euclide]], e ricorderà – più con reverenza che con amore, forse – quella grandiosa costruzione, di cui ha passo passo salito la maestosa scalinata, pungolato per innumerevoli ore da coscienziosi insegnanti. (sez. 1, p. 45)
*Non possiamo chiedere se sia vero che per due punti passa soltanto un'unica retta. Possiamo solamente dire che la geometria euclidea tratta di oggetti da essa chiamati «rette», attribuendo a ciascuna di queste rette la proprietà di essere univocamente determinata da due suoi punti. Il concetto di «vero» non si addice alle asserzioni della geometria pura, perché con la parola «vero» noi abbiamo in definitiva l'abitudine di designare sempre la corrispondenza con un oggetto «reale»; la geometria, invece, non si occupa della relazione fra i concetti da essa presi in esame e gli oggetti dell'esperienza, ma soltanto dalla connessione logica di tali concetti l'uno con l'altro. (sez. 1, p. 46)
*Di fronte a tale dilemma pare che non vi sia modo di uscirne se non abbandonando o il principio di relatività o la semplice legge di propagazione della luce nel vuoto. Quanti fra i lettori hanno attentamente seguito la precedente discussione si attenderanno certamente che debba venir conservato il principio di relatività, il quale, per la sua semplicità e naturalezza, si raccomanda alla mente come pressoché irrefutabile, e che invece la legge di propagazione della luce nel vuoto debba venir sostituita da una legge più complicata che si conformi al principio di relatività. Lo sviluppo della fisica teorica ha dimostrato però che non possiamo seguire questa strada. (sez. 7, p. 57)
*Un misterioso brivido coglie il non matematico quando sente parlare di entità "[[quarta dimensione|quadridimensionali]]": una sensazione non dissimile da quella risvegliata dall'apparizione di uno spettro sul palcoscenico. Tuttavia non esiste affermazione più banale di quella che il mondo in cui viviamo è un continuo spazio-temporale a quattro dimensioni. (sez. 17, p. 86)
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{{Int|''Considerazioni sull'universo inteso come un tutto''|''[[s:en:Relativity: The Special and General Theory/Part III|Part III - Considerations on the Universe as a Whole]]''}}
*Se ci domandiamo come debba venir considerato l'[[universo]], inteso quale un tutto, la prima risposta che si presenta da sé è certamente questa: l'universo è infinito per quanto riguarda lo spazio (e il tempo). Esistono dovunque delle stelle, per cui la densità della materia, sebbene sia molto variabile nei particolari, è nondimeno in media dovunque la stessa. In altre parole: viaggiando attraverso lo spazio in zone comunque lontane, troveremmo dappertutto uno sciame diradato di stelle fisse all'incirca dello stesso genere e della stessa densità. Questa concezione è incompatibile con la teoria di Newton. Secondo quest'ultima l'universo deve invece avere una specie di centro in cui la densità delle stelle è massima, e man mano che ci allontaniamo da questo centro la densità delle stelle deve diminuire, finché in ultimo, a distanze immense, le succede una zona infinito di vuoto. L'universo sidereo dovrebbe costituire un'isola finita nell'oceano infinito dello spazio. (sez. 30, p. 123)
 
{{Int|''Appendice: Conferma della teoria della relatività generale da parte dell'esperienza''|''[[s:en:Relativity: The Special and General Theory/Appendix#Appendix III - The Experimental Confirmation of the General Theory of Relativity|Appendix III - The Experimental Confirmation of the General Theory of Relativity]]''}}
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{{Int|''La relatività e il problema dello spazio''|Aggiunta nell'edizione del 1952}}
*L'origine psicologica del concetto di [[spazio (fisica)|spazio]], o della necessità di esso, è lungi dall'essere così ovvia come potrebbe apparire in base al nostro abituale modo di pensare. Gli antichi geometri trattano di oggetti mentali (retta, punto, superficie), ma non propriamente dello spazio in quanto tale, come più tardi è stato fatto dalla geometria analitica. Il concetto di spazio, tuttavia, è suggerito da certe esperienze primitive. Supponiamo che si sia costruita una scatola. Vi si possono disporre in un certo ordine degli oggetti, in modo che essa risulti piena. La possibilità di queste disposizioni è una proprietà dell'oggetto materiale "scatola", qualcosa che è dato con la scatola, lo "spazio racchiuso" dalla scatola. Questo è qualcosa di differente per le varie scatole, qualcosa che in modo del tutto naturale viene pensato come indipendente dal fatto che vi siano o no, in generale, degli oggetti nella scatola, Quando non vi sono oggetti nella scatola, il suo spazio appare "vuoto". Fin qui, il nostro concetto di spazio è stato associato alla scatola. Ci si accorge però che le possibilità di disposizione che formano lo spazio-scatola sono indipendenti dallo spessore delle pareti della scatola. Non sarebbe possibile ridurre a zero tale spessore, senza che si abbia per risultato la perdita dello "spazio"? La naturalezza di tale passaggio al limite è ovvia, e ora rimane al nostro pensiero lo spazio senza scatola, una cosa autonoma, che tuttavia appare così irreale se dimentichiamo l'origine di tale concetto. Si può capire che ripugnasse a [[Cartesio|Descartes]] il considerare lo spazio come indipendente da oggetti corporei, capace di esistere senza materia.<ref>{{cfr}} [[Cartesio]], ''Principia philosophiae'', II, 16: «[...] se dal solo fatto che un corpo è esteso in lunghezza, larghezza e profondità concludiamo giustamente che esso è una sostanza, perché ripugna del tutto che il nulla abbia un'estensione, lo stesso si deve concludere anche per lo spazio supposto vuoto; infatti, poiché in esso vi è estensione, necessariamente vi è anche sostanza.»</ref> (pp. 295-296)
*[...] occorre tener presente che esiste un numero infinito di spazi, i quali sono in moto gli uni rispetto agli altri. Il concetto di spazio come qualcosa che esiste oggettivamente ed è indipendente dalle cose appartiene già al pensiero prescientifico, non così però l'idea dell'esistenza di un numero infinito di spazi in moto gli uni rispetto agli altri. Quest'ultima idea è senza dubbio inevitabile da un punto di vista logico, ma per lungo tempo non svolse una parte importante nemmeno nel pensiero scientifico. (p. 297)