Massimo d'Azeglio: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*[...] ad un governo ingiusto nuoce più il martire che non il ribelle. (cap. XVI; vol. I, p. 317)
*[...] gl'Italiani hanno voluto far un'Italia nuova, e loro rimanere gl'Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ''ab antico'' il loro retaggio; perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che riformare sé stesso; [...]. (''Origine e scopo dell'opera''; vol. I, pp. 6-7)
*[...] il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani.<ref>Sarebbe quest'ultima frase all'origine dei motti "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani", "Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani" e simili, genericamente attribuiti a Massimo d'Azeglio. Tuttavia, secondo gli storici [[Simonetta Soldani]] e [[Gabriele Turi]], nell'introduzione a ''Fare gli italiani. Scuola e cultura nell'Italia contemporanea'', il Mulino, il motto "Fatta l'Italia bisogna fare gli Italiani" non apparterrebbe a d'Azeglio, ma sarebbe stato coniato nel 1886 da [[Ferdinando Martini]] «nel tentativo di "tradurre" il senso politico» (Carlo Fomenti, ''Siamo una nazione, ma chi ha fatto l'Italia?'', ''Corriere della sera'', 17 luglio 1993) di tale frase ne ''I miei ricordi''. Si veda peraltro [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 208. Ma vd. ora C. Gigante, "'Fatta l'Italia, facciamo gli Italiani'. Appunti su una massima da restituire a d'Azeglio", in "Incontri. Rivista europea di studi italiani", anno 26, fasc. 2/2011, pp. 5-15 http://www.rivista-incontri.nl/index.php/incontri/article/view/18/18.</ref> (''Origine e scopo dell'opera''; vol. I, p. 7)
*In ogni genere ed in ogni caso, il [[governo]] debole è il peggiore di tutti. (cap. V; vol. I, p. 101)
*[...] l'[[ozio]] avvilisce ed il lavoro nobilita: perché l'ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti ed indipendenti: questi buoni effetti non sono già i soli. L'abitudine al lavoro modera ogni [[eccesso]], induce il bisogno, il gusto dell'ordine; dall'ordine materiale si risale al morale: quindi può considerarsi il [[lavoro]] come uno dei migliori ausiliari dell'[[educazione]]. (cap. XXX; vol. II, p. 336)
*L'[[abitudine]] è mezza padrona del [[mondo]]: ''così faceva mio padre'' – anche in quest'era di rivoluzioni – è sempre una delle grandi forze che guidano il mondo. (cap. XVIII; vol. I, p. 395)
*L'affetto vero, leale, incondizionato, è un gran tesoro; è il più grande che esista. (cap. XV; vol. I, p. 298)
*L'Italia è l'antica terra del ''[[dubbio]]''. [...] Il dubbio è un gran scappafatica; lo direi quasi il vero padre del ''dolce far niente'' italiano. (cap. I; vol. I, pp. 30 e 33)
*Le [[rivoluzione|rivoluzioni]] non le facciam noi: le fa [[Dio|Iddio]]; e per persuadersene basta riflettere con quali istrumenti riescono. (cap. XVI; vol. I, p. 319)
*[...] non è l'ingegno sottile (''l'esprit'') quello che forma le nazioni; bensì sono gli austeri e fermi caratteri: [...]. (cap. I; vol. I, p. 33)
*Se il fil di [[canapa (tessile)|canapa]] è marcio, non s'avrà mai corda buona. Se l'oro è di saggio scadente, non s'avrà mai moneta buona. E se l'individuo è dappoco, ignorante e tristo, non s'avrà nazione buona, e non si riuscirà mai a nulla di solido, d'ordinato e di grande. (cap. XXIV; vol. II, p. 167)
*[...] se le navi vanno generalmente meglio degli Stati, ciò accade per la sola ragione che in esse ognuno accetta la parte che gli compete, mentre negli Stati generalmente, meno se ne sa, più s'ha la smania di comandare. (cap. II; vol. I, p. 55)
*Senza cuor contento non c'è bene che valga, come col cuor contento non c'è male che nuoca in questo mondo. (cap. XIV; vol. II, p. 150)
*[...] si deve dire la [[verità]] e mantenere la parola data, a tutti... persino alle donne! (cap. XV; vol. I, p. 301)
*[...] tutti siamo d'una stoffa nella quale la prima piega non scompare mai più. (cap. V; vol. I, p. 97)
*[...] vi sono momenti nella vita che basterebbero a pagare, a compensare i tormenti d'un'eternità. (cap. II; vol. I, p. 59)
*[...] tutti siamo d'una stoffa nella quale la prima piega non scompare mai più. (cap. V; vol. I, p. 97)
*In ogni genere ed in ogni caso, il [[governo]] debole è il peggiore di tutti. (cap. V; vol. I, p. 101)
*L'affetto vero, leale, incondizionato, è un gran tesoro; è il più grande che esista. (cap. XV; vol. I, p. 298)
*[...] si deve dire la [[verità]] e mantenere la parola data, a tutti... persino alle donne! (cap. XV; vol. I, p. 301)
*[...] ad un governo ingiusto nuoce più il martire che non il ribelle. (cap. XVI; vol. I, p. 317)
*Le [[rivoluzione|rivoluzioni]] non le facciam noi: le fa [[Dio|Iddio]]; e per persuadersene basta riflettere con quali istrumenti riescono. (cap. XVI; vol. I, p. 319)
*L'[[abitudine]] è mezza padrona del [[mondo]]: ''così faceva mio padre'' – anche in quest'era di rivoluzioni – è sempre una delle grandi forze che guidano il mondo. (cap. XVIII; vol. I, p. 395)
*Senza cuor contento non c'è bene che valga, come col cuor contento non c'è male che nuoca in questo mondo. (cap. XIVXXIV; vol. II, p. 150)
*Se il fil di [[canapa (tessile)|canapa]] è marcio, non s'avrà mai corda buona. Se l'oro è di saggio scadente, non s'avrà mai moneta buona. E se l'individuo è dappoco, ignorante e tristo, non s'avrà nazione buona, e non si riuscirà mai a nulla di solido, d'ordinato e di grande. (cap. XXIV; vol. II, p. 167)
*[...] l'[[ozio]] avvilisce ed il lavoro nobilita: perché l'ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti ed indipendenti: questi buoni effetti non sono già i soli. L'abitudine al lavoro modera ogni [[eccesso]], induce il bisogno, il gusto dell'ordine; dall'ordine materiale si risale al morale: quindi può considerarsi il [[lavoro]] come uno dei migliori ausiliari dell'[[educazione]]. (cap. XXX; vol. II, p. 336)
 
==[[Incipit]] di ''Racconti, leggende e ricordi della vita italiana''==