Jonathan Safran Foer: differenze tra le versioni
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'''Jonathan Safran Foer''' (1977 – vivente), scrittore e saggista statunitense.
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*L'[[allevamento intensivo|allevamento industriale]] di animali è il primo responsabile del [[riscaldamento globale|riscaldamento terrestre]] (significativamente più distruttivo dei trasporti), e una delle due o tre principali cause di tutti i problemi ambientali più seri: inquinamento dell'aria e dell'acqua, deforestazione, perdita di biodiversità... Mangiare animali allevati industrialmente – cioè tutto ciò che compriamo al supermercato o ordiniamo al ristorante – è quasi certamente la peggior cosa che possiamo fare all'[[ambiente (biologia)|ambiente]].<ref>Citato in Livia Manera, ''Safran Foer: io difendo gli animali'', ''Corriere della Sera'', 24 dicembre 2009, p. 45.</ref>
*Sarei ingenuo a pensare di convincere la gente a diventare [[vegetarianismo|vegetariani]]. La mia domanda è "ti interessa o no sapere cosa significa mangiare gli animali"? E c'è un'enorme ipocrisia e ignoranza a riguardo. Come rispetto all'ambiente: preferiamo non pensare. A cominciare dal sottoscritto, gli uomini sono per natura fallibili e fragili.<ref>Dall'intervista di Antonio Monda, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/26/perche-sono-vegetariano.html Perché sono vegetariano]'', ''la Repubblica'', 26 novembre 2009.</ref>
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{{int|''[http://cultura.panorama.it/libri/Intervista-a-Jonathan-Safran-Foer-Vorreste-fare-la-fine-del-pollo «Vorreste fare la fine del pollo?»]''|Dall'intervista di Silvia Tomasi, ''Panorama.it'', 8 marzo 2010}}
*Negli [[allevamento|allevamenti]] dove mi sono infilato di nascosto con militanti animalisti la decenza non c'era: dentro a capannoni con luci abbacinanti c'erano polli chiusi a chiave, in gabbie dove consumano la loro vita in uno spazio non più grande di un foglio A4, resi folli, beccati, ridotti ad un ammasso, deformi e piagati, e le stie impilate fino a dieci piani di altezza, tutto in un
*Non serve né un filosofo, né un religioso per capire quanto soffrano gli [[animale|animali]]. Basta esser uomini per capire cosa capita in quei luoghi.
*Se scrivere un buon articolo è, come si dice, cavarsi un dente, scrivere un [[romanzo]] è cavarsi un dente infilato nel pene. E ''[[#Se niente importa|Eating Animals]]'' è un molare molto politico. Basta decidere cosa mettere nel carrello al supermercato o che piatto chiedere al ristorante. Non c'è un'azione più politica di questa.
=== [[Incipit]] ===▼
Quando la distruzione di [[Israele]] ebbe inizio, Isaac Bloch stava meditando se suicidarsi o trasferirsi alla Casa ebraica. Aveva vissuto in un appartamento rivestito di libri fino al soffitto, con tappeti cosı` folti da inghiottire dadi; poi in una stanza e mezza con il pavimento in terra battuta; su pavimenti di foresta sotto stelle incuranti; sotto le assi del pavimento di un cristiano che, a distanza di mezzo mondo e tre quarti di secolo, sarebbe stato ricordato con un albero piantato nel Giardino dei Giusti; in una buca, per tanti di quei giorni che le sue ginocchia non sarebbero mai piu` riuscite a distendersi del tutto; tra zingari e partigiani e polacchi non troppo disonesti; in campi di transito, di rifugiati e di profughi; su una nave, con una bottiglia con una nave dentro, miracolosa costruzione di un agnostico insonne; dall’altro lato di un oceano che non avrebbe mai completamente attraversato; sopra una mezza dozzina di negozi di alimentari che si era ammazzato a sistemare e rivendere con un profitto minimo; accanto a una donna che ricontrollava le serrature fino a romperle e che era morta di vecchiaia a quarantadue anni senza una sillaba di lode in gola, ma con le cellule della madre assassinata che ancora le si dividevano nel cervello; e infine, nell’ultimo quarto di secolo, in una casetta a due piani a Silver Spring, silenziosa come un globo di neve: un librone fotografico di Roman Vishniac che ingialliva sul tavolino del soggiorno; ''Nemici''. ''Una storia d’amore'' che si smagnetizzava nell’ultimo videoregistratore funzionante al mondo; insalata di uova che diventava influenza aviaria in un frigorifero mummificato in un involucro di fotografie di pronipoti splendidi, geniali, senza tumori. ▼
==''Ogni cosa è illuminata''==
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===Citazioni===
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{{NDR|Jonathan Safran Foer, ''Ogni cosa è illuminata'', Guanda, 2004.}}
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===Citazioni===
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*«Che cosa intendi per seppellire i tuoi sentimenti?» «Anche se saranno fortissimi non li lascerò uscire. Se dovrò piangere, piangerò dentro. Se dovrò sanguinare, mi verranno dei lividi. Se il mio cuore comincerà a dare i numeri, non ne parlerò con nessuno al mondo. Tanto non serve. Rovina solamente la vita a tutti.»
{{NDR|Jonathan Safran Foer, ''Molto forte, incredibilmente vicino'', Guanda, 2007.}}
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[[File:Jonathan Safran Foer Shankbone 2009.jpg|thumb|L'autore nel 2009, durante una presentazione di ''Se niente importa'' (''Eating Animals'')]]
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Da piccolo passavo spesso il fine settimana a casa di mia nonna. Quando arrivavo, il venerdì sera, lei mi sollevava stringendomi in uno dei suoi abbracci soffocanti. E quando me ne andavo, la domenica pomeriggio, mi alzava di nuovo per aria.
Solo molti anni dopo ho capito che mi stava pesando.
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*Quasi sempre, quando spiegavo che stavo scrivendo un libro sul «perché mangiamo gli animali», i miei interlocutori davano per scontato, pur senza sapere nulla del mio punto di vista, che fosse a favore del [[vegetarianismo]]. È un presupposto rivelatore, e implica non solo che un'indagine approfondita sull'[[allevamento]] animale spinga ad abbandonare il consumo di carne, ma che la maggior parte delle persone sappia che le cose stanno così. (p. 21)
*Le prime parole di mia nonna quando vide mio figlio per la prima volta furono: «La mia rivalsa». Dell'infinito numero di cose che avrebbe potuto dire, ecco quella che scelse, o che fu scelta per lei. (p. 24)
*«Il peggio arrivò verso la fine. Moltissime persone morirono proprio alla fine, e io non sapevo se avrei resistito un altro giorno. Un contadino, un russo, Dio lo benedica, vide in che stato ero, entrò in casa e ne uscì con un pezzo di carne per me.»<br />«Ti salvò la vita.»<br />«Non lo mangiai.»<br />«Non lo mangiasti?»<br />«Era maiale. Non ero disposta a mangiare maiale.»<br />«Perché?»<br />«Che vuol dire perché?»<br />«Come? Perché non era ''kosher''?»<br />«Certo.»<br />«Ma neppure per salvarti la vita?»<br />«Se niente importa, non c'è niente da salvare.» (p. 25)
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*Non ricordo quante volte, dopo aver detto che sono vegetariano, il mio interlocutore ha reagito sottolineando una qualche incoerenza nel mio stile di vita o cercando di trovare qualche fallacia in un ragionamento che non avevo mai fatto. (Spesso ho avuto la sensazione che il mio vegetarianismo importasse molto più a queste persone che a me.) (p. 41)
*Abbiamo intrapreso una guerra, o meglio abbiamo permesso che si intraprendesse una guerra contro tutti gli animali che mangiamo. Questa guerra è nuova e ha un nome: [[allevamento intensivo|allevamento industriale]]. (p. 42)
*Più che una serie di pratiche, l'allevamento industriale è un atteggiamento mentale: riduce ai minimi termini i costi di produzione e al tempo stesso ignora in modo sistematico o «esternalizza» costi come il degrado ambientale, le malattie umane e la sofferenza degli animali. Per migliaia di anni agricoltori e allevatori hanno tratto spunto dai processi naturali. L'allevamento industriale considera la natura un ostacolo da superare. (pp. 42-43)
*Oggigiorno i [[Comandante (nautica)|capitani]] delle navi da [[pesca (attività)|pesca]] assomigliano più al capitano Kirk che al capitano Achab: sorvegliano i pesci da plance piene di apparecchiature elettroniche e studiano il momento migliore per catturare interi banchi in un sol colpo. Se parte del pesce sfugge, lo rilevano e fanno una seconda passata. E questi pescherecci non sono in grado di tenere d'occhio solo i banchi di pesce entro un certo raggio: gli oceani sono disseminati di {{maiuscoletto|dcp}} (dispositivi di concentrazione dei pesci: zatteroni galleggianti attorno ai quali i pesci si raccolgono) equipaggiati con sensori {{maiuscoletto|gps}} [
*La [[vergogna]] è il lavoro della [[memoria]] contro la dimenticanza. La vergogna è quello che proviamo quando dimentichiamo quasi del tutto – ma non del tutto – le aspettative sociali e i nostri obblighi nei confronti degli altri a favore di una gratificazione immediata. (pp. 45-46)
*Quello che [[oblio|dimentichiamo]] degli animali cominciamo a dimenticarlo di noi stessi. (p. 46)
*E niente ispira più vergogna che essere un [[genitore]]. I [[bambino|bambini]] ci mettono di fronte ai nostri paradossi e alle nostre ipocrisie, e siamo nudi. Dobbiamo trovare una risposta a ogni perché – ''Perché facciamo così? Perché non facciamo cosà?'' – e spesso non ne abbiamo una buona. Allora diciamo soltanto: ''perché sì''. O raccontiamo una storia che sappiamo non essere vera. E che la tua faccia avvampi o meno, ti vergogni. La vergogna di essere genitore – una vergogna buona – è che vogliamo che i nostri figli siano più integri di come siamo noi, che abbiano risposte soddisfacenti. (p. 49)
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*Chiedersi «che cos'è un [[animale]]?» – o, aggiungerei, leggere a un bambino la storia di un cane o difendere i diritti degli animali – vuol dire andare inevitabilmente a toccare la nostra interpretazione di ciò che significa essere noi e non loro.<ref>Recenti ricerche interdisciplinari nel campo delle scienze umane hanno riscontrato una strabiliante quantità di modi in cui la nostra interazione con gli animali riflette o plasma la nostra [[conoscere se stessi|comprensione di noi stessi]]. (nota dell'autore, p. 296)</ref> Vuol dire chiedersi: «che cos'è un essere umano?» (p. 54)
*In media la [[pesca a strascico]] dei [[gamberetto|gamberetti]] porta a gettare fuoribordo l'ottanta-novanta per cento del pescato, morto o morente, in quanto cattura secondaria. (Molte di queste prede accessorie sono specie in pericolo.) I gamberetti sono solo il due per cento in peso del mercato ittico globale, ma la pesca a strascico dei gamberetti produce il trentatré per cento delle prede accessorie globali. Noi tendiamo a non pensarci perché tendiamo a non saperlo. Cosa succederebbe se ci fosse un'etichetta, sul nostro cibo, che ci informa di quanti animali sono stati uccisi per portare quell'ambito crostaceo nel nostro piatto? Così, nel caso dei gamberetti pescati a strascico in Indonesia, per esempio, l'etichetta potrebbe recitare: {{maiuscoletto|per ogni chilo di questi gamberetti sono stati uccisi e ributtati in mare 24 kg di altri animali marini}}. (pp. 57-58)
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*Che cos'è la [[sofferenza]]? Io non sono sicuro di che cosa sia, ma so che la sofferenza è il nome che diamo all'origine di tutti i sospiri, le urla e i gemiti – piccoli e grandi, rozzi e multiformi – che ci affliggono. È una parola che definisce il nostro sguardo ancor più di ciò che stiamo contemplando. (p. 87)
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*''Non so che tipo di libro scriverai. Ma se in qualche misura farà conoscere ciò che succede negli allevamenti intensivi, sarà solo positivo. In questo caso la verità è così potente che la [[prospettiva]] da cui ti poni non ha importanza.'' (p. 103)
*''Negli allevamenti intensivi calcolano quanto possono tenere gli animali vicino alla morte senza ucciderli. È questo il loro modello di business. A che velocità possono farli crescere, quanto possono pigiarli, quanto o quanto poco possono mangiare, quanto possono ammalarsi senza morire.'' (p. 103)
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*''E allora quanta sofferenza è accettabile? È questa la base di tutto, ed è questo che ognuno di noi deve chiedersi. Quanta sofferenza sei disposto a tollerare per il tuo cibo?'' (p. 127)
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*Non so perché non siano più numerose le persone consapevoli (e arrabbiate) per il tasso di infezioni e [[intossicazione alimentare|intossicazioni alimentari]] evitabili. Forse non sembra ovvio che qualcosa non va solo perché quello che accade di continuo, come il fatto che la carne (specie di pollame) sia contaminata da microrganismi patogeni, tende a scomparire sullo sfondo.<br />Comunque sia, se sai quello che stai cercando, il problema acquista un'evidenza terribile. Per esempio, la prossima volta che un amico ha una cosiddetta «[[influenza]]» – quella che la gente a volte chiama erroneamente «influenza intestinale» – fagli qualche domanda. Era una di quelle «influenze di un giorno» che se ne vanno in fretta come sono venute: vomito e diarrea e poi tutto a posto? La diagnosi non è proprio così semplice, ma se la risposta alla domanda è sì, è probabile che il tuo amico non abbia avuto affatto un'influenza, ma rientri nei settantasei milioni di casi di malattie di origine alimentare che il {{maiuscoletto|cdc}} stima ci siano ogni anno negli Stati Uniti. Più che «prendersi qualcosa», il tuo amico ha mangiato qualcosa. E con ogni probabilità, quel qualcosa proveniva dalla filiera industriale della carne. (p. 152)
*Forse inconsciamente sappiamo già, senza bisogno dei dati scientifici citati, che sta accadendo qualcosa di tremendamente sbagliato. Ormai il nostro sostentamento proviene dalla sofferenza. Sappiamo che se qualcuno vuole mostrarci un film sulla produzione della carne, sarà un film dell'orrore. Forse sappiamo più di quanto ci interessi ammettere, e lo confiniamo nei recessi più bui e nascosti della memoria. Quando mangiamo carne prodotta negli allevamenti industriali viviamo, letteralmente, di corpi [[tortura|torturati]]. Sempre più, quel corpo torturato sta diventando il nostro. (p. 156)
*Io non credo che la salute individuale sia per forza una buona ragione per diventare vegetariani, ma certamente se non mangiare carne fosse nocivo sarebbe una buona ragione per non essere vegetariani. Di certo sarebbe una buona ragione per far mangiare carne a mio figlio.<br />Ne ho parlato con alcuni dei più importanti nutrizionisti americani – interrogandoli sia sugli adulti sia sui bambini – e li ho sentiti ripetere sempre la stessa cosa: per la salute la dieta vegetariana è almeno altrettanto valida di una dieta che comprende la carne. (p. 158)
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*L'allevamento intensivo, che consente agli allevatori di rendere animali malaticci altamente redditizi grazie all'uso di antibiotici, altri farmaci e una reclusione molto controllata, ha prodotto creature nuove, talvolta mostruose. (p. 172)
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*Niente – non una conversazione, non una stretta di mano e neppure un abbraccio – fonda un'amicizia con tanta forza come mangiare insieme. Forse è un fattore culturale. Forse è un'eco dei banchetti collettivi dei nostri antenati.<br />Da un certo punto di vista, il perché di un [[mattatoio]] è tutto qui. Sul piatto di fronte a me c'è il fine che promette di giustificare tutti i sanguinari mezzi della porta accanto. (p. 178)
*Chiunque lasci intendere che esista una simbiosi perfetta tra l'interesse dell'allevatore e quello degli animali probabilmente sta cercando di venderti qualcosa (e non è fatta di [[tōfu|tofu]]). (p. 183)
*Il gigante dell'industria agroalimentare è in ultima analisi guidato e condizionato dalle scelte che facciamo mentre il cameriere scalpita perché ordiniamo o mentre riempiamo il carrello della spesa o la borsa al mercato, con tutte le attenzioni e le stravaganze del caso. (p. 187)
*Chi difende gli allevamenti intensivi di suini sostiene che le gabbie da parto sono necessarie perché a volte le scrofe possono schiacciare accidentalmente i piccoli. Questa affermazione è il frutto di una logica folle [
*Nel mondo dell'allevamento industriale le aspettative si sono capovolte. I [[veterinario|veterinari]] non lavorano più per la salute ottimale, ma per la redditività ottimale. I farmaci non servono per curare le malattie, ma per supplire a sistemi immunitari distrutti. Gli allevatori non mirano a produrre animali sani. (p. 204)
*Ogni giorno si stima che vengano calati in acqua ventisette milioni di ami. E i palangari non uccidono soltanto le specie mirate, ma anche altre centoquarantacinque. Secondo uno studio sono all'incirca quattro milioni e mezzo gli animali marini uccisi come prede accessorie ogni anno, compresi oltre tre milioni di squali, un milione di marlin, sessantamila tartarughe marine, settantacinquemila albatros e ventimila delfini e balene. (p. 207)
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*Invece di un padre che griglia hamburger di tacchino, i miei figli ricorderanno un padre che brucia hamburger vegetariani in giardino. Lo scorso ''Pesach''<ref>Pasqua ebraica.</ref> il ''gefilte fisch''<ref>Pesce ripieno.</ref> occupava un posto meno centrale, ma è stato comunque l'occasione per raccontarci sopra delle storie (non ho smesso, a quanto pare). Alla storia dell'[[Libro dell'Esodo|Esodo]] – la storia più splendida sul debole che trionfa sul più forte nei modi più inattesi – si sono aggiunte nuove storie sul debole e sul forte.<br />Le ragioni per mangiare quei cibi speciali con quelle persone speciali in quei momenti speciali era nell'intenzione esplicita di separare quei pasti dagli altri. Aggiungere un altro livello di intenzionalità è stato un arricchimento. Sono assolutamente favorevole a far scendere la [[tradizione]] a un compromesso per una buona causa, ma forse in queste situazioni la tradizione, più che compromettersi, si realizza appieno. (p. 211)
*A me pare che sia inequivocabilmente sbagliato mangiare maiale di produzione industriale o nutrirci la propria famiglia. Forse è sbagliato anche tacere di fronte agli amici che mangiano maiale di produzione industriale, per quanto possa essere difficile dire qualcosa. È chiaro che i maiali sono intelligenti ed è altrettanto chiaro che sono condannati a vite infami nelle porcilaie industriali. Il parallelo con un cane rinchiuso in un armadio è abbastanza accurato, per quanto benevolo. Le motivazioni ambientali contro il consumo di carne di maiale prodotta in allevamenti intensivi sono ineccepibili e schiaccianti.<br />Per analoghe ragioni non mangerei pollame o prodotti ittici ottenuti con metodi industriali. Guardarli negli occhi non produce lo stesso pathos che dà lo sguardo di un maiale, ma con gli occhi della mente vediamo altrettanto. Tutto ciò che dalla mia ricerca ho imparato sull'intelligenza e la complessità sociale di uccelli e pesci esige che consideri la profondità della loro miseria con altrettanta serietà della miseria più immediata dei maiali. (pp. 211-212)
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*È abbastanza chiaro che l'allevamento intensivo è più di qualcosa che disapprovo personalmente, ma non è chiaro quali conclusioni ne seguano. Il fatto che sia crudele verso gli animali ed ecologicamente distruttivo e inquinante significa che tutti dovrebbero boicottare i prodotti derivanti da allevamento intensivo sempre e comunque? Un parziale abbandono del sistema – una specie di programma d'acquisto preferenziale di cibo non industriale, cosa che si avvicina molto al boicottaggio – è sufficiente? Non è forse una questione che si può dirimere per via legislativa e tramite l'azione politica collettiva, più che con le scelte d'acquisto personali?<br />Quand'è che dovrei rispettosamente dissentire da qualcuno e quand'è che, nel nome di valori più profondi, dovrei prendere posizione e chiedere ad altri di unirsi a me? Quand'è che un determinato evento lascia spazio al dissenso di persone ragionevoli e quand'è che ci impone di agire? (pp. 215-216)
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*''Una volta pensavo che essere vegetariana mi esentasse dall'impegnarmi a cambiare il modo in cui sono trattati gli animali d'allevamento. Ero convinta che rinunciando alla carne avrei fatto la mia parte. Oggi mi sembra una sciocchezza. L'industria della carne ci tocca tutti nel senso che viviamo tutti quanti in una società in cui la produzione di cibo si basa sull'allevamento intensivo. Essere vegetariana non mi esime dalla responsabilità di come il nostro paese alleva gli animali, specie in un'epoca in cui il consumo di carne aumenta sia a livello nazionale sia a livello globale.<br />Io ho moltissimi amici e conoscenti vegani, alcuni dei quali legati alla {{maiuscoletto|peta}} o al Farm Sanctuary, e molti partono dal presupposto che si arriverà a risolvere il problema dell'allevamento industriale convincendo la gente a rinunciare alla carne. Io non sono d'accordo. Almeno, non nell'arco della nostra vita. Se questa possibilità esiste, penso che ci vorranno ancora molte generazioni. Nel frattempo bisogna seguire un'altra strada per affrontare le sofferenze estreme causate dall'industria zootecnica. Bisogna incoraggiare e sostenere percorsi alternativi.'' (p. 224)
*''L'ironia è che mentre gli allevamenti intensivi non giovano alla collettività, si aspettano da noi non solo che li sosteniamo, ma che paghiamo per i loro errori. Prendono tutti i costi per lo smaltimento delle deiezioni e li passano all'ambiente e alle comunità in cui operano. I loro prezzi sono artificialmente bassi: quello che non compare sullo scontrino lo pagheremo per gli anni a venire tutti quanti.'' (p. 226)
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*Che sia giusto o meno uccidere gli animali per nutrirsene, sappiamo che nel sistema oggi dominante è impossibile ucciderli senza infliggere (perlomeno) occasionali torture. (p. 261)
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*Noi non possiamo addurre come scusa l'ignoranza, ma solo l'indifferenza. La nostra generazione sa come stanno le cose. Abbiamo l'onere e l'opportunità di vivere nella fase in cui le critiche all'allevamento intensivo hanno fatto breccia nella coscienza popolare. Siamo noi quelli a cui chiederanno a buon diritto: «Tu che cos'hai fatto quando hai saputo la verità sugli animali che mangiavi?» (p. 270)
*Se vogliamo sul serio mettere fine all'allevamento industriale, il minimo che possiamo fare è smettere di mandare assegni a chi commette abusi della peggior specie. Per alcuni, scegliere di evitare i prodotti provenienti da allevamenti intensivi sarà facile. Per altri sarà una decisione difficile. Per chi la ritiene una decisione difficile (mi sarei annoverato tra questi), la domanda decisiva è se ne valga la pena. Sappiamo che, perlomeno, questa scelta aiuterà a prevenire la deforestazione, a contenere il riscaldamento globale, ridurre l'inquinamento, preservare le riserve petrolifere, attenuare la pressione sull'America rurale, diminuire gli abusi sui diritti umani, migliorare la salute pubblica e contribuire a eliminare i maltrattamenti sugli animali più sistematici nella storia mondiale. (pp. 275-276)
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Questo voleva dire mia nonna quando disse: «Se niente importa, non c'è niente da salvare».
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*Consiglio a tutti il libro che è ormai il cult del vegetarianesimo: ''Se niente importa'' [
*È probabilmente il più influente libro virale (con un messaggio che si diffonde come un'epidemia) degli ultimi tempi. Foer ha cercato di visitare allevamenti per tre anni. A volte c'è entrato di nascosto, di notte [
*Gli orrori quotidiani dell'allevamento intensivo sono raccontati in modo così
*{{NDR|Dopo aver letto ''Se niente importa''}} La prima cosa che ho fatto è smettere subito di mangiare pollo. Dopo aver letto il libro non potevo più nemmeno immaginare di metterlo di nuovo in tavola avendo capito quale era la storia della loro esistenza negli allevamenti. ([[Giulia Innocenzi]])
*Questo libro ha trasformato una vegetariana da vent'anni come me in una vegana convinta. ([[Natalie Portman]])
*''Se niente importa'' è un libro morale, un'inchiesta viva sul senso della vita e delle proprie scelte. ([[Lorenzo Guadagnucci]])
▲Quando la distruzione di [[Israele]] ebbe inizio, Isaac Bloch stava meditando se suicidarsi o trasferirsi alla Casa ebraica. Aveva vissuto in un appartamento rivestito di libri fino al soffitto, con tappeti
==Note==
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==Bibliografia==
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*Jonathan Safran Foer, ''Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?'' (''Eating Animals'', 2009), traduzione di Irene Abigail Piccinini, Guanda, Parma, 2010. ISBN 978-88-6088-113-7 ([http://books.google.it/books?id=KmDvCjLIP9AC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false Anteprima su Google Libri])
*Jonathan Safran Foer, ''Eccomi'' (''Here I Am'', 2016), traduzione di Irene Abigail Piccinini, Guanda, Parma, 2016. ISBN 9788823504882
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