Giulio Bedeschi: differenze tra le versioni

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→‎Citazioni: la vastità della Russia
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===Citazioni===
*Strana terra, la Russia. Per mezze giornate il treno procedeva su un terreno ondulante, fra campi di girasole che si estendevano fin dove l'occhio riusciva a distinguere qualcosa. Linee sterminate; non si vedeva una casa, un albero, un uomo. S'intravedeva poi all'improvviso in una conca un agglomerato di casupole che scompariva tosto, seguito dalla vastità di altra terra rinsecchita. Per ore, per giorni. Isolato e sperduto, ogni tanto l'occhio trovava qualche punto d'appoggio in solitarie ruote a pala, simili a quelle dei mulini a vento. Immobili anch'esse, protendevano le scarne braccia verso la terra e il cielo come a chiedere pietà per quel loro abbandono. (Tempo terzo, Capitolo XIII, p. 135)
*Sulla neve di Russia la colonna avanzava ininterrottamente puntando all'ovest, dolorando per centomila membra ma instancabile, infrenabile nell'intero corpo in movimento; abbandonava sulla neve i relitti procedendo senza tregua, ed erano ormai corpi vivi che si reclinavano sulla neve, corpi d'uomini che si abbattevano di schianto o poggiavano il ginocchio incapaci a sollevarlo e si chinavano quindi in giù, sempre più in giù con le braccia che affondavano fino al polso, poi fino al gomito, tirate giù dal demone della neve; l'uomo in ginocchio s'afflosciava lentamente, vinto dal richiamo irresistibile [...] la neve è morbida come un materasso e non è neppure fredda; si può appoggiarvi perfino la guancia e la frontre senza danno, pare un cuscino, per un minuto solo ci si può stare... i compagni poi si possono raggiungere in fretta, dopo il riposo... questo buon riposo... sulla neve... la neve... un cuscino... non c'è feddo... né fame... né stanchezza... solo sonno... un po'... di sonno... sulla... neve... (Tempo quarto, Capitolo XXV, p. 316-17)
*– Aprite! Aprite! – urlavano ormai gli alpini riabbassando i vetri e scuotendo invano le maniglie.<br> –Siamo in Italia!<br> – Siamo gli alpini...! – Siamo gli alpini! – gridavano.<br>Sulla pensilina, dinanzi al vagone della ''ventisei'' stava immobile un ferroviere, con le mani nelle tasche dei pantaloni.<br>– La popolazione non vi deve vedere: è l'ordine – spiegò seccamente al più vicino grappolo d'uomini che si affannavano sbracciandosi dal finestrino.<br>– Non abbiamo la peste, noi! Siamo gli alpini che tornano dalla Russia, ''cavàllo vestío da ómo!'' – gli gridò esasperato Scudrèra, mentre il treno già si muoveva.<br>– Che alpini o non alpini! Ma vi vedete? – urlò allora ai rinchiusi il ferroviere; – vi accorgete sì o no, Cristo, che fate schifo? (Tempo quarto, Capitolo XXXVI, p. 424-25)