Niccolò Machiavelli: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Su [[Cesare Borgia]]}} Se adunque si considererà tutti i progressi del Duca, si vedrà quanto lui avesse fatto gran fondamenti alla futura potenzia, li quali non giudico superfluo discorrere, perché io non saprei quali precetti mi dare migliori ad un Principe nuovo, che lo esempio delle azioni sue; e se gli ordini suoi non gli giovarono, non fu sua colpa, perché nacque da una straordinaria ed estrema malignità di fortuna. Aveva Alessandro VI nel voler fare grande il Duca suo figliuolo assai difficultà presenti e future. ([[s:Il Principe/Capitolo VII|cap. VII]])
*{{NDR|Su [[Cesare Borgia]]}} Raccolte adunque tutte queste azioni del Duca, non saprei riprenderlo, anzi mi pare, come io ho fatto, di proporlo ad imitare a tutti coloro, che per fortuna e con l'armi d'altri sono saliti all'imperio. Perché egli avendo l'animo grande, e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimente; e solo si oppose alli suoi disegni la brevità della vita di Alessandro, e la sua infirmità. ([[s:Il Principe/Capitolo VII|cap. VII]])
*[...] gli uomini [[offesa|offendono]] o per paura, o per odio. ([[s:Il Principe/Capitolo VII|cap. VII]])
*Perché in ogni città si trovano questi duoi umori diversi, e nascono da questo, che il [[popolo]] desidera non esser comandato nè oppresso da' grandi, e i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo; e da questi duoi appetiti diversi surge nelle città uno de' tre effetti, o Principato, o Libertà, o Licenza. ([[s:Il Principe/Capitolo IX|cap. IX]])
*[...] quello del popolo è più onesto fine che quel de' grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso. ([[s:Il Principe/Capitolo IX|cap. IX]])
*Ma la poca [[prudenza]] degli uomini comincia una cosa, che per sapere allora di buono non manifesta il [[veleno]] che v'è sotto, [...]. ([[s:Il Principe/Capitolo XIII|cap. XIII]])
*Nasce da questo una disputa: ''s'egli è meglio essere amato che [[timore|temuto]], o temuto che amato''. Rispondesi, che si vorrebbe essere l'uno e l'altro; ma perché egli è difficile, che e' stiano insieme, è molto più sicuro l'esser temuto che amato, quando s'abbi a mancare dell'un de' duoi. ([[s:Il Principe/Capitolo XVII|cap. XVII]])
*Deve nondimeno il Principe farsi [[timore|temere]] in modo, che, se non acquista l'amore, e' fugga l'odio, perché può molto bene stare insieme esser temuto, e non odiato; il che farà, semprechè s'astenga dalla roba de' suoi cittadini, e de' suoi sudditi, e dalle donne loro. ([[s:Il Principe/Capitolo XVII|cap. XVII]])
*[...] gli uomini dimenticano piuttosto la morte del padre, che la perdita del patrimonio. ([[s:Il Principe/Capitolo XVII|cap. XVII]])
*Quanto sia laudabile in un Principe mantenere la [[fiducia|fede]], e vivere con integrità, e non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimeno si vede per esperienzia, ne' nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
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*Non può pertanto un Signore prudente, nè debbe osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni contro, e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*Né mai a un Principe mancheranno cagioni legittime di colorare l'inosservanza. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*[...] sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che [[inganno|inganna]], troverà sempre chi si lascerà ingannare. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*[...] gli uomini in universale [[giudizio|giudicano]] più agli occhi che alle mani, perché tocca a vedere a ciascuno, a sentire a' pochi. Ognuno vede quel che tu pari; pochi sentono quel che tu sei [...]. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*[...] nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de' Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al [[scopo|fine]]. Facci adunque un Principe conto di vivere e mantenere lo Stato; i [[mezzo|mezzi]] saranno sempre giudicati onorevoli, e da ciascuno lodati; [...]. ([[s:Il Principe/Capitolo XVIII|cap. XVIII]])
*Nondimanco, perché il nostro [[libero arbitrio]] non sia spento, giudico potere esser vero, che la [[fortuna]] sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci governare l'altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell'altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi ostare; e benché sia così fatto, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini, immodoché crescendo poi, o egli andrebbe per un canale, o l'impeto suo non sarebbe sì licenzioso, né sì dannoso.<br />Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resistere, e quivi volta i suoi impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini, né i ripari a tenerla. ([[s:Il Principe/Capitolo XXV|cap. XXV]])
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===Citazioni===
*[...] non fu mai savio partito fare [[disperazione|disperare]] gli uomini, perché chi non spera il [[bene e male|bene]] non teme il [[bene e male|male]]; [...]. ([[s:Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 14|libro secondo, cap. XIV]])
*[...] coloro che [[vittoria|vincono]], in qualunque modo vincono, mai non ne riportono [[vergogna]]. ([[s:Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 13|libro terzo, cap. XIII]])
*[...] meglio [[città]] guasta che perduta; [...]. ([[s:Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 6|libro settimo, capitolo VI]])
 
===Citazioni sulle ''Istorie fiorentine''===
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*E' non è mai alcuna cosa sì desperata, che non vi sia qualche via da poterne [[speranza|sperare]]; e benchè la fussi debole e vana, e la voglia e il desiderio, che l'uomo ha di condurre la cosa, non la fa parere così. (Callimaco: [[s:La mandragola/Atto primo/Scena prima|atto I, scena I]])
*[...] quando una cosa fa per uno, si ha a credere, quando tu gliene communichi, che ti serva con fede. (Callimaco: [[s:La mandragola/Atto primo/Scena prima|atto I, scena I]])
*[...] le [[donna|donne]] si sogliono con le buone parole condurre dove altri vuole. (Siro: [[s:La mandragola/Atto secondo/Scena quinta|atto II, scena V]])
*Voi avete ad intender questo, che non è cosa più certa ad ingravidare una donna che dargli bere una pozione fatta di [[mandragora|mandragola]]. Questa è una cosa esperimentata da me dua paia di volte, e trovata sempre vera; e, se non era questo, la reina di Francia sarebbe sterile, ed infinite altre principesse di quello stato. (Callimaco: [[s:La mandragola/Atto secondo/Scena sesta|atto II, scena VI]])
*Le più caritative persone che sieno sono le donne, e le più fastidiose. Chi le scaccia, fugge e fastidii e l'utile; chi le intrattiene, ha l'utile ed e fastidii insieme. Ed è 'l vero che non è el mele sanza le mosche. (Timoteo: [[s:La mandragola/Atto terzo/Scena quarta|atto III, scena IV]])
*[...] tutte le donne hanno poco cervello; e come ne è una che sappi dire dua parole, e' se ne predica, perché in terra di ciechi chi v'ha un occhio è signore. (Timoteo: [[s:La mandragola/Atto terzo/Scena nona|atto III, scena IX]])
*[...] chi dice che gli è dura cosa l'[[attesa|aspettare]], dice el vero. (Callimaco: [[s:La mandragola/Atto quarto/Scena quarta|atto IV, scena IV]])
*E' dicono el vero quelli che dicono che le cattive compagnie conducono gli uomini alle forche, e molte volte uno càpita male cosí per essere troppo facile e troppo buono, come per essere troppo tristo. (Timoteo: [[s:La mandragola/Atto quarto/Scena sesta|atto IV, scena VI]])
*''Oh dolce [[notte]], oh sante | ore notturne e quete, | ch'i disïosi amanti accompagnate; | in voi s'adunan tante | letizie, onde voi siete | sole cagion di far l'alme beate.'' ([[s:La mandragola/Canzone dopo il quarto atto|Canzone dopo il quarto atto]])
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===Citazioni===
*Sendo invitato a cena da Taddeo Bernardi lucchese, uomo ricchissimo e splendidissimo, e, arrivato in casa, mostrandogli Taddeo una camera parata tutta di drappi e che aveva il pavimento composto di pietre fine, le quali, di diversi colori diversamente tessute, fiori e fronde e simili verzure rappresentavano, ragunatosi Castruccio assai umore in bocca, lo sputò tutto in sul volto a Taddeo. Di che turbandosi quello, disse Castruccio: – Io non sapevo dove mi sputare che io ti offendessi meno. (pp. 277-278)
*[...] la via dello andare allo [[inferno]] era facile, poiché si andava allo ingiù e a chiusi occhi. (p. 278)
 
==''Lettere''==
*[...] nacqui [[povertà|povero]], ed imparai prima a stentare che a godere. (dalla [[s:Lettere (Machiavelli)/Lettera II a Francesco Vettori|lettera II a Francesco Vettori]], 18 marzo 1512)
 
{{int|''[[s:Lettere (Machiavelli)/Lettera XI a Francesco Vettori|Lettera XI a Francesco Vettori]]''|10 dicembre 1513}}