Tucidide: differenze tra le versioni

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*Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della [[gloria]] come del pericolo, e tuttavia l'affrontano. (da ''Storia della guerra peloponnesiaca'')
*Sii certo che per essere felici bisogna essere liberi e che per essere liberi bisogna mostrare il proprio [[coraggio]], perciò non sottovalutare i pericoli della [[guerra]]. {{c|Fonte?}}
*Quanto al nome era una democrazia, ma di fatto era il governo di uno solo. (parlando della democrazia sotto [[Pericle]]) (da ''Storia della guerra peloponnesiaca'', Librolibro II, cap. 63)
*Finché [[Pericle]] fu, durante la pace, a capo della repubblica, la guidò con moderazione e la conservò sicura, e sotto di lui essa fu potente come non mai; quando poi scoppiò la guerra, è evidente che anche allora egli ne seppe ben riconoscere la forza. Sopravvisse (allo scoppio della guerra) due anni e sei mesi; e dopoché fu morto, allora anche meglio si poté conoscere la sua antiveggenza nei riguardi della guerra. Egli infatti andava ripetendo che gli Ateniesi ne sarebbero usciti con successo qualora si fossero condotti prudentemente, avendo cura della flotta, e non cercassero di allargare con la guerra il loro impero, e non mettessero in pericolo la città stessa: ma essi fecero tutto il contrario, e giudicando altre imprese estranee alla guerra meglio rispondenti alle ambizioni private e ai privati vantaggi, mal governarono lo Stato per se stessi e per gli alleati... E la causa di tutto ciò era che Pericle, potente per dignità e per senno, manifestamente incorruttibile, dominava liberalmente la moltitudine e conseguito il potere con mezzi non illeciti, egli non era costretto a parlare per compiacerla, ma poteva, per la sua autorità, contraddirla ed affrontarne la collera... Si aveva dunque di nome la [[democrazia]], ma di fatto il governo tenuto dal primo cittadino. (''Storie'', II, 65<ref>Citato in Giulio Giannelli, ''Trattato di storia greca.'' Patron editore, p. 240.</ref>)
*Gli uomini sono la città, non le mura né le navi vuote di uomini. {{c|Fonte?}}
*{{NDR|Monologo di Pericle}} Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi, e per questo viene chiamato democrazia.<br>Qui ad [[Atene]] noi facciamo così: le leggi, qui, assicurano una [[giustizia]] eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza, quando un cittadino si distingue, allora esso sarà a preferenza di altri chiamato a servire lo [[stato]], ma non come un atto di [[privilegio]], come una ricompensa al merito, e la [[povertà]] non costituisce un impedimento.<br>Qui ad Atene noi facciamo così: la [[libertà]] di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana, noi non siamo [[sospetto]]si l'uno dell'altro, e non infastidiamo mai il nostro [[prossimo]], se al nostro prossimo piace vivere a modo suo, noi siamo liberi, liberi di vivere, proprio come ci piace, e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi [[pericolo]]. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari, quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.<br>Qui ad Atene noi facciamo così: ci è stato insegnato di rispettare i magistrati e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi, e di non dimenticare mai coloro che ricevono [[offesa]], e ci e' stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto, e di ciò che è [[buonsenso]]<br>Qui ad Atene noi facciamo così: un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma io proclamo Atene scuola dell'Ellade, e che ogni ateniese cresce prostrando in se una felice versatilità la fiducia in se stesso e la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.<br> Qui ad Atene noi facciamo così!<ref>Da ''La guerra del Peloponneso'', Mondadori, Milano, 1971, vol. I, pp. 121-128. ISBN 978880432320</ref>
*{{NDR|Monologo di Pericle}} Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi, e per questo viene chiamato democrazia.<br>
:Qui ad [[Atene]] noi facciamo così: le leggi, qui, assicurano una [[giustizia]] eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza, quando un cittadino si distingue, allora esso sarà a preferenza di altri chiamato a servire lo [[stato]], ma non come un atto di [[privilegio]], come una ricompensa al merito, e la [[povertà]] non costituisce un impedimento.<br>
:Qui ad Atene noi facciamo così: la [[libertà]] di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana, noi non siamo [[sospetto]]si l'uno dell'altro, e non infastidiamo mai il nostro [[prossimo]], se al nostro prossimo piace vivere a modo suo, noi siamo liberi, liberi di vivere, proprio come ci piace, e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi [[pericolo]]. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari, quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.<br>
:Qui ad Atene noi facciamo così: ci è stato insegnato di rispettare i magistrati e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi, e di non dimenticare mai coloro che ricevono [[offesa]], e ci e' stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto, e di ciò che è [[buonsenso]]<br>
:Qui ad Atene noi facciamo così: un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma io proclamo Atene scuola dell'Ellade, e che ogni ateniese cresce prostrando in se una felice versatilità la fiducia in se stesso e la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.<br> {{c|Fonte?}}
:Qui ad Atene noi facciamo così!<ref>[http://www.librimondadori.it/web/mondadori/scheda-libro?isbn=978880432320 ''La guerra del Peloponneso'']. Tucidide. Mondadori. Milano. 1971. vol. I, pp. 121-128. ISBN 978880432320</ref>
 
==''La guerra del Peloponneso''==
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{{NDR|Tucidide, ''La guerra del Peloponneso'', traduzione di [[Claudio Moreschini]], RCS Rizzoli Editore, 2008}}
 
=== Citazioni ===
*{{NDR|Parlando della [[peste]]<ref name=peste>La pestilenza descritta da Tucidide sembra [[w:Tifo esantematico|tifo]] più che peste. (Cfr{{cfr}} ''Biblioteca italiana: o sia giornale di letteratura, scienze et arti'', Volume 5, Presso Antonio Fortunato Stella, 1817, [http://books.google.it/books?id=js4aAQAAMAAJ&pg=PA328 p. 328]).</ref>}} Correva quell'anno, a confessione universale, immune sovra tutti da malattie; o se qualcuno era di prima da qualche morbo afflitto, tutti si risolvevano in questo. Gli altri poi senza alcuna precedente cagione, ma interamente sani, erano all'improvviso compresi da veementi caldure al capo, da rossezza e infiammazione d'occhi, e nell'interno la gola e la lingua diventavano tostamente sanguigne, e mandavano alito puzzolente fuor dall'usato. Dopo di che sopravveniva starnutazione e raucedine, ed in breve il male calava al petto con tosse gagliarda: e qualora si fosse fitto sulla bocca dello stomaco lo sovvertiva, e conseguitavano tutte quelle secrezioni di bile, che dai medici hanno il loro nome; con grandissimo travaglio. (Libro II, 49,; Pomba, 1854, pp. 115-116)
*{{NDR|Parlando della peste<ref name=peste/>}} L'esterno del corpo non era a toccare molto caldo, né pallido; ma rossastro, livido e gremito di pustulette ed ulceri; mentre le parti interne erano in tal bruciore che i malati non potevano sopportare d'avere indosso né i vestiti né le biancherie più fini; ma solo di star nudi. (Libro II, 49,; Pomba, 1854, p. 116)
*{{NDR|Parlando della peste<ref name=peste/>}} Ciò nonostante finché la malattia era nel suo colmo, il corpo non languiva, ma contro ogni credere durava l'incomodi, talché i più, o erano da interno calor consumati nel nono o settimo giorno, avendo qualche residuo di forza, o se pur scampavano, scendendo il morbo nel ventre, si faceva grande esulcerazione con sopravvenimento di diarrea immoderata, intantochè la maggior parte morivano di debolezza. (Libro II, 49,; Pomba, 1854, p. 116)
*Noi saremo sicuri dei nostri amici non accettando i favori da questi ma facendoli.
*L'[[uomo]] è portato per natura a disprezzare chi lo blandisce e ad ammirare chi non si dimostra condiscendente.
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*Il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce.
*{{NDR|Sulla spedizione in Sicilia}} Correva ancora l'inverno, quando si risvegliava in [[Atene]] l'impulso d'imbarcarsi con armamenti più massicci di quelli disposti per Lachete ed Eurimedonte, con cui puntare sulla Sicilia e conquistarla, se possibile. Per la folla d'Atene era mistero la grandezza di quest'isola e il numero preciso delle sue genti, Greci o barbari: e s'ignorava d'addossarsi uno sforzo bellico non troppo più lieve di quello spiegato contro il Peloponneso. Ad una nave mercantile occorrono otto giorni, o poco meno, per effettuare il giro completo dell'isola, la quale, benché di perimetro così ampio, è divisa dal continente da un braccio di mare che non si estende per più di venti stadi. (Libro VI-I)
*Per la folla d'Atene era un mistero la grandezza di quest'isola {{NDR|la [[Sicilia]]}} e il numero preciso delle sue genti, Greci o barbari: e s'ignorava d'addossarsi uno sforzo bellico non troppo più lieve di quello spiegato contro il [[Peloponneso]].» (Libro VI, 1,1) <ref name="portalefilosofia"></ref> )
*{{NDR|Sui popoli della Sicilia}} Già in tempi lontani fu sede di popoli, ed ecco il complessivo registro delle genti che ospitò. L'insediamento umano più antico che la tradizione ricordi fu quello dei Ciclopi e dei Lestrigoni, che occuparono una fascia limitata del paese. Ma sul loro ceppo non posso pronunciarmi, né sulla loro terra d'origine o su quale zona del mondo abbiano poi scelto per emigrarvi. Si stia contenti delle memorie poetiche e dell'opinione che ciascuno, chi da una fonte, chi da un'altra, ha concepito su quelle genti. Subito dopo quelli devono essersi stabiliti sull'isola i Sicani. Costoro anzi, a quanto affermano, avrebbero preceduto i Ciclopi e i Lestrigoni in quanto originari della Sicilia. Ma la verità storica fa giustizia di queste fantasie: erano Iberi, e in Iberia avevano dimora, lungo il corso del Sicano, donde i Liguri li costrinsero ad allontanarsi. Per opera loro l'isola finì col mutare il primitivo nome di Trinacria in quello di Sicania. Nel nostro tempo i Sicani sono ancora stanziati nella zona occidentale della Sicilia. Quando Ilio crollò, un drappello di Troiani fuggitivi, sgusciati dalla rete della flotta Achea, approdarono alle spiagge della Sicilia e fissarono il proprio domicilio a fianco dei Sicani. Le due genti furono designate con il nome comune di Elimi, e i loro centri urbani furono noti come Erice e Segesta. S'aggiunse più tardi e prese sede in quei luoghi anche un nucleo di Focesi che rientrando da Troia fu travolto in quell'epoca da una tempesta e, dopo aver toccato le coste della Libia, di là concluse finalmente la sua corsa in terra di Sicilia. (Libro VI-II)
*{{NDR|Sui popoli della Sicilia}} I [[Siculi]], dall'Italia (poiché in quel paese vivevano) compirono la traversata verso la Sicilia, per sottrarsi agli Opici. È probabile (e in questo caso la tradizione ci soccorre) che si tenessero pronti a passare con alcune zattere, quando si levasse da terra la brezza, propizia al tragitto: ma non si esclude che si siano giovati anche di altri espedienti per sbarcare. Nei tempi moderni esiste ancora in Italia una piccola società di Siculi: il nome di questa regione, anzi, si deve proprio ricollegare a Italo, uno dei re Siculi, che così si chiamava. Costoro passarono in Sicilia con un'armata poderosa e piegando al primo urto i Sicani li confinarono a viva forza nella parte a mezzogiorno e ad occidente dell'isola, imponendo al paese un nome nuovo: da Sicania, Sicilia. Effettuato il passaggio, si scelsero i territori migliori e li mantennero per circa i trecento anni che precedettero l'avvento dei Greci in Sicilia: attualmente occupano ancora le fasce centrali e a settentrione dell'isola. (Libro VI-II)
*{{NDR|Sui popoli della Sicilia}} L'intera costa della Sicilia, inoltre, era punteggiata di stazioni fenicie che si attestavano di preferenza sui promontori lambiti dal mare e sugli isolotti prossimi alla riva, punti utili per la rete commerciale fenicia in Sicilia. Ma più tardi, quando a fitte ondate presero a sbarcarvi i Greci da oltre mare, sgomberate quasi tutte le proprie sedi, i [[Fenici]] si riservarono [[Mozia|Motia]], [[Solunto|Solunte]] e [[Palermo|Panormo]] raggruppandosi spalla a spalla con gli Elimi, sulla cui alleanza giuravano completa fiducia. Non solo, ma da quelle località il tragitto dalla Sicilia a Cartagine è il più spedito. Sicché era questa la potenza numerica dei barbari in Sicilia e tale la loro posizione in quella terra. (Libro VI-II)
*{{NDR|Orazione di [[Ermocrate]] in vista della spedizione [[Atene|ateniese]] in Sicilia}} Badate che spunteranno in un lampo: disponete di mezzi, si provveda al loro migliore impiego, per respingerli con efficacia più energica. Non fate che per il vostro disprezzo il nemico vi sorprenda indifesi, o che l'incredulità v'induca a lasciar troppo correre. Se poi la verità si fa strada, non ispiri sgomento il loro passo temerario, con quella grandiosa macchina da guerra. […] Il loro assalto si fonda su una presunzione. (VI, 33-34) <ref name="portalefilosofia"></ref> )
*{{NDR|discorsoDiscorso di [[Atenagora di Siracusa]]}} Non oggi per la prima volta, ma da sempre li conosco, costoro che con simili discorsi o altri ancora più dannosi e con i fatti vogliono spaventare voi, il popolo, per aver loro il comando della città. E certo temo che dopo molti tentativi possano riuscirci. (VI, 38, 2)<ref name="portalefilosofia"></ref>)
*{{NDR|discorsoDiscorso di [[Nicia]]}} L'assemblea si raccoglie oggi a dibattere l'entità e le forme degli armamenti da assegnarci in dotazione, per la nostra campagna laggiù in [[Sicilia]]. Ebbene a mio parere è indispensabile riepilogare i termini della questione e riesaminarne il nocciolo: impegnare la nostra flotta in quei mari è in realtà la scelta più proficua? O non ci conviene piuttosto respingere gli appelli di stati lontani per stirpe da noi, ed esimerci dal suscitare così alla leggera, con un decreto troppo precipitoso rispetto all'immensità dell'impresa, una guerra tanto remota dai nostri interessi?[…] (VI, 9) <ref name="portalefilosofia">{{citaDa web|''[http://www.portalefilosofia.com/biblioteca/materiale/peloponneso.pdf| La guerra del Peloponneso|15]'', marzo''PortaleFilosofia.com'', 2015|formato=pdf}}a cura di Patrizia Sanasi.</ref>)
*I Siracusani schierarono per intero le divisioni di opliti su uno spessore di sedici file: erano sul terreno le forze siracusane al completo e gli alleati presenti (innanzitutto i Selinuntini, con il nerbo più consistente, poi i cavalieri di [[Gela]], duecento uomini in tutto, e la cavalleria di [[Camarina]], circa venti uomini con il rinforzo di una cinquantina d'arcieri). La cavalleria siracusana fu spostata all'appoggio del fianco destro: agivano non meno di milleduecento armati a cavallo. Al loro fianco i lanciatori di giavellotto. Nel campo ateniese dove ci si accingeva per primi alla fase d'attacco, [[Nicia]] passando in rivista i contingenti dei diversi paesi, poi rivolto all'intero esercito arringò gli uomini con esortazioni. (Libro VI, 67) <ref name="portalefilosofia"></ref>)
*Allorché Atene fu colta dalla notizia {{NDR|della sconfitta a seguito della seconda spedizione in Sicilia}}, la città stette per lungo tempo incredula, perfino contro i lucidi rapporti di alcuni reduci, uomini di garantito stampo militare che rimpatriavano fuggiaschi dal teatro stesso delle operazioni: l'annientamento dell'armata non poteva davvero esser stato così totale. (Libro VIII, 1) <ref name="portalefilosofia"></ref>)
*Questa {{NDR|l'epoca della costituzione di [[Teramene]]}} fu la prima volta in cui ai miei tempi gli Ateniesi abbiano mostrato di governarsi bene: avvenne infatti una moderata mescolanza di oligarchia e di democrazia e, da quando la situazione era divenuta brutta, questi furono i primi provvedimenti che risollevarono la città. (VIII, 97, 2; trad. Ferrari)
 
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==Bibliografia==
*Tucidide, ''[http://books.google.it/books?id=PicVAAAAQAAJ Delle guerre del Peloponneso]'', traduzione di F. P. Boni, con note illustrative di Francesco Predari, Pomba, 1854. ([http://books.google.it/books?id=PicVAAAAQAAJ Anteprima su Google Books])
*Tucidide, ''La guerra del Peloponneso'', traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori, 1952.
*Tucidide, ''La guerra del Peloponneso'', traduzione di Franco Ferrari, BUR, 2011.