Paul Celan: differenze tra le versioni

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*[Nella poesia di Paul Celan] Il testo come tale si rifiuta di stare ulteriormente al servizio della realtà e di svolgere la parte che gli è stata attribuita dai tempi di [[Aristotele]]. La [[poesia]] non è mimesi, non più semplice rappresentazione, essa diviene realtà. Realtà poetica, certo, testo che non segue più la realtà ma si configura e si fonda come realtà. Il poeta esige da sé e dal lettore di procedere nel territorio che è il suo testo. ([[Péter Szondi]])
*La situazione estrema, ultimativa in cui nasce la sua poesia è anche una situazione di semiafasia. Come se chi parla temesse il potere delle parole, o temesse di perderlo. ([[Alfonso Berardinelli]])
 
===[[Marianello Marianelli]]===
*{{NDR|Sulla lirica di Paul Celan}} [...] condizionata dall'assurdo e dalla morte − anche della lingua – di cui essa è una meditazione o iniziazione; volendo è solo la lunga variazione di una poesia di [[Else Lasker-Schüler]] che incominciava: «Io so che devo morire...» di cui Celan usava pronunciare, tanto gli piaceva, solo l'inizio: «''Ich weiß...''»<br /> Molti critici se ne sono accorti quando nella primavera del 1970 Celan si è suicidato nella Senna. È allora stato e sarà facile, inutile e retorico trovare nelle poesie della raccolta uscita postuma, ''Lichtzwang'' (Obbligo di luce, 1970), e nelle più antiche gli infiniti indizi, a cominciare da «''ihn ritt die Nacht''» (lo cavalcò la notte), che rendono plausibile il suo gesto. Ora ci accorgiamo che questa specie di tragico Orfeo il cui contributo a un rinnovamento della lingua poetica tedesca, esiguo per quantità, è superiore per qualità a quello di chiunque altro, aveva gia scritto in ''Von Schwelle zu Schwelle'' il suo «cenotafio»: ''Ora egli andò e bevve uno strano liquore: | il mare. | I pesci | accorsero verso di lui?''
*Dimesso Orfeo tragico della poesia tedesca, non è accostabile a nessuna corrente o poeta; pure ha sofferto e pagato per tutti e più di tutti, in una situazione limite, la «condizione disumana» indicata dalla [[Ingeborg Bachmann|Bachmann]] nei confronti del mezzo espressivo, quella di sentire la lingua di tutti come una lingua morta.
*{{NDR|Sulla ''Todesfuge''}} Le figure musicali che si alternano e si richiamano in questa «fuga» sono, appena velate, quelle tremende della tragedia tedesca: il tiranno [[Adolf Hitler|Hitler]], i suoi sicari o cani, le sue fanfare, gli emblemi femminili dei due popoli, ebraico e tedesco, le sue vittime esalanti per i camini dei forni a gas, la morte [...]<ref>Segue il testo della ''Todesfuge'' nella traduzione di Marianelli.</ref>Il più ermetico dei loro poeti ha così lasciato ai tedeschi il più tragico e armonioso monumento del loro [[Olocausto|orrore]], delirante inno ebraico-cristiano, a versi alterni come canne d'organo, in cui la sintassi musicale quasi subentra a quella normale, lontanissimo dall'ira seppur sacrosanta delle sequenze di [[Hans Magnus Enzensberger|Enzensberger]]. I tedeschi non ne hanno altri da mettergli accanto [...]
*[...] Orfeo nel limbo delle parole.
 
==Note==