Roberto Marchesini: differenze tra le versioni

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*La parola-concetto {{NDR|[[specismo]]}} rimarcata da [[Richard Ryder|Ryder]] segue o dà significato esplicito a quelle discussioni che dalla metà degli anni Sessanta hanno iniziato a denunciare certe pratiche, in esito soprattutto allo sviluppo tecnico-scientifico e all'industrializzazione, vessatorie (a esser miti nel giudizio) nei confronti delle altre specie. Mi riferisco a saggi come ''Animal Machines'' di [[Ruth Harrison]] o ''Silent Spring'' di [[Rachel Carson]], saggi che poi negli anni Settanta inaugureranno il ''Leitmotiv'' del libro bianco. Al riguardo, esemplare sarà ''[[Hans Ruesch#Imperatrice nuda|Imperatrice nuda]]'' di [[Hans Ruesch]], vero e proprio manifesto dell'antivivisezionismo. (p. 11)
*Con il primo decennio del Ventunesimo secolo il termine «specismo» si è arricchito di nuove predicazioni, andando oltre la definizione prassica di [[Richard Ryder|Ryder]] e quella morale di [[Peter Singer|Singer]] e di [[Tom Regan|Regan]]. Ad affacciarsi sono nuove decostruzioni del carattere di specie, riprendendo le considerazioni dell'ultimo [[Jacques Derrida|Derrida]] del saggio ''L'animale che dunque sono'' o le concezioni di singolarità che caratterizzano le proposte, che seppur in modo variegato, sono ricavabili in [[Gilles Deleuze]], [[Michel Foucault]] e [[Giorgio Agamben]]. (p. 16)
*Tutte le volte che si riporta l'idea [[Cartesio|cartesiana]] degli animali come ''automata'' – «Non preoccupatevi, sono i cigolii di una macchina» – le persone rimangono esterrefatte, dimenticando che la gran parte dell'interpretazione del comportamento animale è informata alla lettera sulla concezione di ''res extensa''. L'animale, ridotto a cosa-morta e studiato sul tavolo autoptico, è dichiarato non esistente: per lui non è data la morte ma semplicemente la cessazione delle funzioni organiche. (p. 32)
*Che gli animali possano soffrire, per dirla alla [[Jeremy Bentham|Bentham]], o siano esposti al dolore, per richiamare [[Jacques Derrida|Derrida]], è fuori discussione, anche se qualche ricercatore (privo della più pallida conoscenza etografica) si ostina a sottoporre i gatti a [[sperimentazione animale|test]] dolorosissimi – con risposte comportamentali inequivocabili – per poi affermare che non ci sono evidenze scientifiche. Immagino che l'unica evidenza che li convincerebbe (forse) sarebbe l'evenienza che il gatto, in modo esplicito, li mandasse a quel paese. (pp. 37-38)
*[...] il benessere si gioca su un punto di equilibrio dinamico (non omeostatico) tra entrate, in termini di gratificazioni e appagamenti, e uscite, in termini di fatica, stress e quant'altro. Dal momento che nella vita di un individuo non è possibile azzerare le uscite, giacché stress, frustrazioni e fatica fanno parte della vita, è evidente che privarlo di entrate significa che inevitabilmente, nel giro di poco tempo, il saldo va in perdita. Se fosse vero che basta togliere le uscite per assicurare benessere, una [[zebra]] dello [[giardino zoologico|zoo]] dovrebbe essere l'animale più felice di questa Terra. [...] Se le cose stessero veramente così, mettendo ipoteticamente lo zoo in rapporto diretto con la savana, dovremmo aspettarci che tutte le zebre, dalla savana, si trasferissero allo zoo. Viceversa, l'unica zebra dello zoo si dirigerebbe senza dubbio nella savana. (pp. 39-40)
*L'[[etologia]] è la scienza che consente all'essere umano di incontrare le alterità animali nella loro espressione comportamentale – nella percezione come nella comunicazione, nella motivazione come nella cognizione – e questo esercizio conoscitivo non solo consente di acquisire dati importanti sulle peculiarità dei non umani ma altresì dà luogo a una palestra di {{sic|antropodecentrismo}} perché ci abitua a considerare il punto di vista dell'uomo come relativo, ovvero non metrico né sussuntivo delle possibilità. (pp. 64-65)