Gian Vincenzo Gravina: differenze tra le versioni

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*La vostra Tragedia non poteva veramente esser migliore per bandir dal Teatro l'infamia, e la mostruosità presente, e per la vera espressione della natura tanto incognita a quei Tragici stranieri, che oggi fanno tanto rumore. Trovandosi il popolo così male avezzo, non dee esser disgustato dall'antica severità, dalla quale io non mi son saputo astenere; onde voi avete saputo meglio conseguire il nosiro comun fine al che io coopero anche col Trattato, che o già finito della Tragedia in lingua volgare, perché assalisco gli errori comuni, e Teatrali, particolarmente quelli che nascono dalle Tragedie Francesi, benché ne taccia il nome. In questo Trattato vedrete la ragione, perché il mio numero è periodico, ed incatenato, al che i presenti istrioni non si possono accomodare per l'usanza appresa dallo stile rotto, cbe sotto il dominio degli Spagnuoli cominciò in Italia, ed or continua per l'imitazione delle cose Francesi. (da una lettera a [[Scipione Maffei]]; citato da Scipione Maffei in prefazione a ''Teatro del signor marchese Scipione Maffei'', p. IX-X, Alberto Tumermani Librajo, 1730)
*Non lascerà mai la maggior parte di concorrer nel [[Torquato Tasso|Tasso]], e d'acquetare, senza cercar più oltre, in questo poema {{NDR|della ''Gerusalemme''}}, come nel fonte d'ogni eloquenza e nel circolo di tutte le dottrine, ogni suo sentimento. (citato in [[Guglielmo Audisio]], ''Lezioni di eloquenza sacra'', Giacinto Marietti, Torino, 1870)
*Nell'origin sua la [[poesia]] è la scienza delle umane e divine cose, convertita in immagine fantastica ed armoniosa.<br/>La quale immagine noi, sopra ogn'altro poema italiano ravvisiamo vivamente nella ''Divina Commedia'' di [[Dante Alighieri|Dante]], il quale s'innalzò al sommo nell'esprimere, ed alla maggior vivezza pervenne, perché più largamente e più profondamente d'ogni altro nella nostra lingua concepiva: essendo la locuzione immagine dell'intelligenza, da cui il favellare trae la forza e il calore. E giunse egli a sì alto segno d'intendere e profferire, perché dedusse la sua scienza dalla cognizione delle cose divine, in cui le naturali, e le umane e civili, come in terso cristallo, riflettono... (da ''Della ragion poetica'', in ''Prose'', a cura di P. Emiliani-Giudici, Firenze, Barbera, 1857, pp. 88; 110-111; in Walter Binni e Riccardo Scrivano, ''Antologia della critica letteraria'', Principato Editore, Milano, 1981<sup>3</sup>, p. 95.)
*Perché dunque le cose umane e le naturali esposte a' sensi sfuggono dalla nostra riflessione; perciò bisogna sparger sopra di loro il colore di novità, la quale ecciti maraviglia, e riduca la nostra riflessione particolare sopra le cose popolari e sensibili. Questo colore di novità s'imprime nelle cose dalla poesia che rappresenta il naturale sul finto: colla quale alterazione e trasporto, quel che per natura è consueto e vile, per arte diventa nuovo ed inaspettato: né può non eccitare gran maraviglia veder le cose naturali prodotte con altri strumenti che con quelli della natura, e trasportate in quel suolo ove non possono allignare; e sembra assai strano veder il mondo generato co' colori, co' ferri, con le parole, e co' motti. Perciò la [[poesia]], che con varj strumenti trasporta il naturale sul finto, avvalora le cose famigliari e consuete a' sensi, colla spezie di novità: la quale, movendo maraviglia, tramanda al cerebro maggior copia di spiriti, che, quasi stimoli, spronano la mente su quell'immagine in modo che possa fare azione e riflessione più viva. Onde si ravvisano i costumi degli uomini più su i teatri che per le piazze. (da ''Della ragion poetica'', in Guido Barlozzini, pp. 23-24)