Edith Wharton: differenze tra le versioni

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*Il mattino seguente il sole sorse su un mondo nuovo. Oddo doveva partire allo spuntar del giorno e l'alba lo sorprese alla finestra, mentre col pensiero la vedeva dispiegarsi e tuttavia non ancora del tutto visibile nell'estremo barlume delle stelle. (da ''La valle della decisione'')
*La [[felicità]] è un'opera d'arte. Trattatela con cura. (da ''Il canto delle muse'' – Corbaccio, traduzione a cura di Marta Morazzoni)
*''O Crux Ave Spes Unica''.
**'''Ave Oo Croce Unicaunica Speranza'''speranza. ([[Epitaffi|Epitaffio]] sulla sua tomba, dall'inno "Vexilla Regis")
 
==[[Incipit]] di alcune opere==
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Quelle parole erano state pronunciate dalla sua amica Alida Stair, mentre insieme prendevano il tè sul prato davanti a Pangbourne, e si riferivano alla casa in cui si trovava ora Mary, e della quale la biblioteca costituiva il cuore e il perno.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Storie di fantasmi'' – Bompiani, traduzione a cura di Gabriella Ernesti, Bompiani}}
 
===''Estate''===
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Era l'inizio di un pomeriggio di giugno. Il cielo trasparente e ancora primaverile spandeva una luce argentea sui tetti, sui pascoli e sui boschetti di larici che circondavano il villaggio. Una brezza leggera giocava tra le nuvole bianche e tonde che indugiavano sui fianchi della collina, spingendole al di sopra dei campi e del viottolo erboso che, entrando in North Dormer, assumeva il nome di strada, su cui esse proiettavano la loro sagoma. Il paese era costruito in un luogo alto e aperto, e mancava dell'ombra che abbonda nei paesini più riparati del New England.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Estate'' – La Tartaruga, traduzione a cura di Maria Luisa Castagnone, La Tartaruga}}
 
===''Ethan Frome ''===
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Fu qui, molti anni fa, che lo vidi per la prima volta: e il suo aspetto mi colpì.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Ethan Frome '' – Rizzoli, traduzione a cura di Greti Ducci, Rizzoli}}
 
===''Gli occhi''===
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Vista attraverso il fumo dei nostri sigari al tranquillo chiarore di un fuoco di carbone, la biblioteca di Culwin, con le sue pareti di quercia e le vecchie cupe rilegature dei libri, costituiva un ottimo scenario per simili rievocazioni; e le manifestazioni di fantasmi essendo ovviamente, dopo il preludio di Murchard, l'unico genere che ci apparisse accettabile, decidemmo di far la conta di quanti eravamo e di imporre a ciascuno di noi di dare il suo contributo. Eravamo otto, e sette riuscirono, bene o male, a soddisfare la richiesta.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Storie di fantasmi'' – Bompiani, traduzione a cura di Gabriella Ernesti, Bompiani}}
 
===''I bucanieri''===
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La signora St. George, il cui marito era fra i più appassionati di corse, sedeva nell'ampia veranda dell'hotel, con una brocca di limonata ghiacciata sul tavolo accanto e un ventaglio di palma nella piccola mano, scrutando l'esterno attraverso le altissime colonne bianche del portico, che tanto spesso ricordavano ai viaggiatori in possesso di una certa cultura il Partenone di Atene.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''I bucanieri'' – Corbaccio, traduzione a cura di Chiara Gabutti, Corbaccio}}
 
===''I ragazzi''===
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La fortuna di certi viaggiatori è incredibile. Basta loro salire su un treno o su un piroscafo per imbattersi in un vecchio amico o, meglio ancora, per farsene uno nuovo.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''I ragazzi'' – Newton & Compton, traduzione a cura di Elena Grillo, Newton & Compton}}
 
===''Il campanello della cameriera''===
Era l'autunno dopo che mi ero ammalata di tifo. Al termine di tre mesi d'ospedale, quando ne uscii ero talmente debole e malridotta, che le due o tre signore cui mi rivolsi per lavoro non se la sentirono di assumermi. Gran parte dei miei risparmi si erano volatilizzati nel frattempo, e, ospite in una pensione da due mesi, mentre facevo il giro delle agenzie di collocamento e rispondevo ad ogni annuncio che avesse un'aria rispettabile, mi ero persa d'animo, dal momento che le preoccupazioni non mi avevano certo restituita la buona cera e oramai disperavo che la mia sorte potesse mutare. E invece così avvenne, o per lo meno era quanto pensai all'epoca.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Storie di fantasmi'' – Bompiani, traduzione a cura di Gabriella Ernesti, Bompiani}}
 
===''Il sonno del crepuscolo''===
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"Lei vuole, lo sai, mia cara, tua madre vuole sempre vederti", si giustificava Maisie Bruss con una voce che il continuo uso del telefono pareva aver assottigliato e appuntito. Miss Bruss, assunta al servizio della signora subito dopo il suo secondo e ultimo matrimonio, conosceva Nona da quando era una bambina, e godeva del privilegio, anche ora che lei era "in società" di trattarla con una certa familiare benevolenza, tanto più che la benevolenza era il tratto caratteristico di casa Manford.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Il sonno del crepuscolo'' – Corbaccio, traduzione a cura di Marta Morazzoni, Corbaccio}}
 
===''Kerfol''===
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Non fu affatto con l'idea di adeguarmi al personaggio attribuitomi dal mio amico Lanrivain (a dire il vero, sotto la mia aria di distacco ho sempre nutrito segrete aspirazioni a una vita domestica) che, un pomeriggio d'autunno, accolsi il suo suggerimento e mi recai a Kerfol.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Storie di fantasmi'' – Bompiani, traduzione a cura di Gabriella Ernesti, Bompiani}}
 
===''La casa della gioia''===
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Era uno dei primi lunedì di settembre e Selden tornava in città dopo una scappata frettolosa in campagna; ma cosa faceva mai Miss Bart in settembre a New York? Se l'avesse vista prendere il treno avrebbe pensato di averla sorpresa durante lo spostamento da una all'altra delle ville di campagna che si contendevano la sua presenza dopo la chiusura della stagione a Newport; ma la sua aria indecisa lo rendeva perplesso. Era ferma, leggermente discosta dalla folla, e lasciava che questa le fluisse davanti, diretta alla strada o alle banchine, con una tale aria di irresolutezza dipinta sul volto che avrebbe potuto benissimo mascherare una decisione ben premeditata.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''La casa della gioia'' – Editori Riuniti, traduzione a cura di Clara Lavagetti Sforni, Editori Riuniti}}
 
===''La scogliera''===
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Lungo tutto il tragitto, dalla stazione londinese di Charing Cross fino a Dover, le parole di questo telegramma avevano seguitato a martellare negli orecchi di George Darrow, risuonandovi in mutevoli toni d'ironia: ora quelle comunissime sillabe crepitavano come una scarica di fucileria, ora gli colavano a una a una nel cervello, in un lento e freddo stillicidio, ora invece frullavano come dadi gettati per gioco da un demone malizioso; finché, sceso alla stazione di Dover, ritto sulla banchina spazzata dal vento, di faccia al mare adirato, presero a balzargli contro, come scagliate dai flutti, pungendolo e accecandolo con rinnovata furia e derisione.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''La scogliera'' – Newton & Compton, traduzione a cura di Pier Francesco Paolini, Newton & Compton}}
 
===''La valle della decisione''===
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Quel giorno di febbraio volgeva al termine e un raggio di sole, penetrato da una fessura nel muro, rivelava la visione di una testa sovrastata da un'aureola, pallida e fluttuante sullo sfondo scuro del coro, come una ninfea sulla sua foglia. Il volto era quello del santo di Assisi, un volto incavato e devastato, acceso da un'estasi di sofferenza, che non sembrava tanto riflettere gli spasimi del Cristo ai cui piedi il santo era inginocchiato, quanto il muto dolore di tutta la povera gente calpestata nel mondo.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''La scogliera'' – Diabasis, traduzione a cura di Roberto Luppi Pittigliani, Diabasis}}
 
===''L'età dell'innocenza''===
Agli inizi degli anni Settanta, una sera di gennaio, Christine Nilsson cantava nel Faust all'Accademia di Musica di New York. Sebbene si parlasse già di costruire in una zona metropolitana lontana dal centro un nuovo teatro dell'opera, che per l'alto costo e per lo sfarzo avrebbe retto il confronto con quelli delle grandi capitali europee, il bel mondo si accontentava ancora di tornare a radunarsi ogni inverno nei mal ridotti palchi addobbati di rosso e oro dell'accogliente vecchia Accademia.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''L'età dell'innocenza'' – Newton & Compton, traduzione a cura di Pietro Negri, Newton & Compton}}
 
===''L'usanza del paese''===
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"Ma si è mai vista una cosa del genere, signora Heeny?", mormorò la signora Spragg, che non era riuscita a nascondere l'orgoglio dietro all'indignazione.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''L'usanza del paese'' – Newton & Compton, traduzione a cura di Luciana Bianciardi, Newton & Compton}}
 
===''Madame de Treymes''===
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I suoi soggiorni in Europa erano abbastanza rari da mantenere indenne la freschezza dell'occhio e sempre lo colpiva di nuovo lo spettacolo vasto e magistralmente ordinato di Parigi: quell'aria di essere stata progettata con audacia e ponderatezza come uno sfondo al godimento della vita, invece di trovarsi costretta a far concessioni di malavoglia agli istinti festaioli, oppure a barricarvisi contro in uno squallido oscurantismo, com'era il caso della sua deplorevole New York.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Madame de Treymes'' – Passigli, traduzione a cura di Marcella Bonsanti, Passigli}}
 
===''Uno sguardo indietro''===
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Col passare del tempo ho imparato che, sebbene questo sia vero, non lo è del tutto. Anche l'abitudine contribuisce a far diventare vecchi; il processo mortale di fare la stessa cosa allo stesso modo alla stessa ora giorno dopo giorno, prima per trascuratezza, poi per inclinazione, e infine per codardia o inerzia. Fortunatamente, la vita incongruente non è l'unica alternativa; infatti il capriccio è dannoso come la routine. L'abitudine è necessaria; è l'abitudine di avere delle abitudini, di fare di una traccia un solco, che è necessario combattere, se si vuole rimanere vivi.
 
{{NDR|Edith Wharton, ''Uno sguardo indietro'' – Editori Riuniti, traduzione a cura di Maria Buitoni Duca, Editori Riuniti}}
 
==Citazioni su Edith Wharton==
*Moglie infelice, amante spregiudicata, passionale amica di dandy e scrittori, scrittrice di successo, Edith Wharton era una perfetta snob, una cronista disincantata e caustica del costume dell'alta società. ([[da Silvia Ronchey]] e [[Giuseppe Scaraffia]], da ''Ethan Frome'', Marsilio)
 
[[Categoria:scrittori statunitensi|Wharton, Edith]]