Paco Ignacio Taibo II: differenze tra le versioni

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''Ritornano le ombre''
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"Si muore una volta sola."
 
{{NDR|Paco Ignacio Taibo II, ''Stessa città stessa pioggia'' – Edizioni Marco Tropea, traduzione a cura di Gloria Corica e Pino Cacucci, Edizioni Marco Tropea.}}
 
==''Ritornano le ombre''==
*Chi mi ha incaricato di scrivere questo libro? Dio? il diavolo? (Quale con la minuscola e quale con la maiuscola?) Una combinazione dei due? Un arcangelo colto e bibliofilo? Niente di tutto ciò. Per quanto ne so, un'entità più rispettabile: il caso. (parte I, cap. V)
*Scrivere un romanzo è fondamentalmente mancanza di pudore. Anche pettinarsi è mancanza di pudore, soprattutto se si fa con l'intento di mascherare la cicatrice che corre all'attaccatura dei capelli. Ma pettinarsi è una mancanza meno grave, mentre scrivere è grave. Significa mascherare la realtà, nascondere la paure, reinventare le cose che si sono dette e, soprattutto, le persone che le hanno dette. (parte I, cap. XIII)
*Non c'è niente che plachi la sofferenza personale come affrontare la sofferenza altrui. Tenere la mano di quest'uomo perché passi piacevolmente attraverso il sonno, è come tendere un ponte cui ai miei demoni sia vietato passare. (parte I, cap. XXIII)
*Diventa meticoloso solo chi possiede l'inerzia del disordine. Mette in fila tre matite solo chi pensa che altrimenti il caos si impadronirà della sua vita. Nessuno può scrivere con tre matite contemporaneamente. (parte VI)
*E racconto tutto ciò perché a volte sembra, quando narriamo le nostre storie, che tutto sia semplice oggetto d'arredo; che quelli che fanno da personaggi secondari non vivano e non muoiano, e servano solo come particolari di colore, per fare in modo che noi, i personaggi principali, ci muoviamo per l'aneddoto circondati dall'incanto del paesaggio. In altre parole, né i piloti giapponesi né gli imperatori con pedana, né gli avvoltoi né gli scrittori sono elementi decorativi. (parte VII, cap. XII)
*L'insieme aveva l'essenza degli incubi, senza esserlo, però. La sensazione d'irreltà era erale. Solo l'irrealttà è reale. Se no, le cose sembrerebbero molto reali, ma anche assurde. (parte X, cap. XI)
*Nei confronti degli scrittori classici del Siglo de oro Tomás Wong aveva un atteggiamento di diffidenza. Il fatto che qualcuno avesse deciso che erano classici lo rendeva nervoso. Essere classico era una specia di malattia che guastava la buona letteratura, ne faceva l'oggeto di studio di studienti e di opere di eruditi, e la letteratura era qualcosa che doveva entrare senza mediazioni, senza intermediari, tra lettore e autore, possibilmente entrambi in condizioni di solitudine. (parte XII, cap. VII)
*6) C'è gente convinta che un romanzo debba spiegare tutto. Che il romanzo debba essere il riparatore della vita e delle sue incoerenze. Ma la vità è mai stata coerente? E perciò pensa che lo scrittore occupi questa posizione centrale nello spazio e nel tempo per dare un inizio e un finale alle storie (ma lei conosce qualche storia che abbia un finale, una cosa che si dovrebbe chiamare finale, finale-finale?), collegare riempire vuoti e dissipare zone d'ombra; spiegare i comportamenti dei personaggi. <br>C'è chi crede che il romanzo abbia una funzione divulgativa e una vocazione pedagogica. Niente di più lontano dalla verità. Il romanzo non è fatto per mettere ordine nel caos. Il romanzo non è fatto per mettere ordine in un beneamato cazzo. Il romanzo non è nato per dare soddisfazione agli amanti dell'ordine. È fatto per divertirsi con le vertigini, per creare casino, per goderne, per rimestarlo. <br>Non si tratta di rispondere a domande ma di farne altre, sempre nuove, sempre più inquietanti. <br>Il romanzo, come la realtà reale, come le storie che conosciamo tutti e che ci capitano sempre, è pieno di parentesi, buchi, ellissi che ballano saltellando da una parte e dall'altra senza desiderare concretizzarsi, senza voglia di spiegarsi. <br>Credo di essere ben lontano dall'illusione che quando la vita diventa profondamente incoerente arrivi il romanzo a metterci una pezza. <br>D'altra parte non dobbiamo lamentarci troppo. Il romanzo è certamente il guercio in questo luminoso deserto messicano in cui abbondano i ciechi. (parte XIII, cap. II)
*È in questi casi che la memoria fa cilecca. Il pasato a medio termine mi si confonde con un altro passato che non credo di voler ricordare. La memoria cancella senza cautela, senza precisione; se vuole occultare qualcosa, nasconde anche le proprie parentele. (parte XV, cap. III)
 
{{NDR|Paco Ignacio Taibo II, ''Ritornano le ombre'', traduzione di Silvia Sichel, Edizioni Marco Tropea.}}
 
{{wikipedia}}