Adrienne von Speyr: differenze tra le versioni

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*La [[santità]] non consiste nel fatto che l'uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto. Tra offerta e esaudimento vi è sempre come un contrasto, uno sbaglio, una svista. L'uomo offre tutto forse a parole, pronuncia l'offerta a mezzo bocca. Ed egli lo immagina sempre come qualcosa di limitato. La sua offerta, nonostante la sua volontà, non deve tenere per sé niente, né una figura conforme a questo mondo. E il Signore l'ascolta come se fosse stata pronunciata nel modo dovuto; e quando egli prende tutto nel suo senso, allora probabilmente l'uomo grida e rimpiange quello che gli è stato preso, ma la grazia della santità sta appunto nel fatto che il Signore permette la svista. (Cfr. ''Apoc'' 20,6) (p. 249)
*Se uno conosce la verità di Dio, per lui non è difficile attestare tale verità con le parole. La [[testimonianza]] però avrà in sé tutta la sua verità solo se è armonizzata con la testimonianza della vita. Se un uomo non vive secondo la verità che annuncia, allora la sua testimonianza non è comunicazione e non può convincere. (p. 287)
*La [[confessione]] rende il peccatore un santo, un portatore della grazia santificatrice di Dio. Ma quale confessore scorge veramente nel penitente dopo l'[[assoluzione (religione)|assoluzione]] la santità? In fondo quasi nessuno crede più al miracolo della confessione. Con il concetto "perfetto pentimento" tutto è subito messo a posto. Il penitente si rassegna; lo so: cadrò di nuovo. Se si sperimentasse anche una sola volta la gioia del dono della santità, proprio tale gioia sarebbe il presupposto per il tentativo di non cadere più. In ogni assoluzione il Signore ''aspetta'' che il membro della Chiesa conservi e approfitti della sua santificazione. Lo spera. I confessori dovrebbero trasfondere ai penitenti molto di più la speranza del Signore [...]. (p. 291)
*La vera [[obbedienza]] ha un'elasticità sempre fresca, non conosce la noia. Non appena uno che obbedisce si sente annoiato, sta già in certo modo al di fuori della carità. (p. 293)