Hugo von Hofmannsthal: differenze tra le versioni

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*Anche l'uomo del libro sa che solo alle ombre si addice l'aggirarsi ozioso. Sa anche che in lui è una forza. Anzi, la sua anima vive di questa consapevolezza. Per riconoscere pienamente la propria forza, che è la sua parte divina, l'ha distaccata mentalmente dal proprio essere e la chiama il suo figlio non nato. Così egli non ama, come Narciso, se stesso, ma «colui che deve nascere». (da ''Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», II'', p. 96)
*[...] vorrei che avessimo un maggior numero di quelle [[parola|parole]] che, affascinanti e tremende, paiono risuonare dal cuore delle cose, quelle che qua e là un uomo dimenticato ha scalfito sul coperchio di un sarcofago, su una pietra incisa o su un esile vaso. (da ''Filosofia del metaforico'', p 103)
*Con gli occhi che ci evocano l'immagine illusoria della fontana dobbiamo guardare la vita degli uomini: ché la bellezza dei loro atteggiamenti e delle loro azioni altro non è che l'incontro di miriadi di vibrazioni nello spazio di un attimo. È uno zampillo che prima si alza e poi di nuovo ricade. Per un attimo ciascuno che cade percorre i gesti immortali degli antichi gladiatori, per un attimo sette ricordi simultanei e la vista del sole al tramonto rendono la coscienza di un uomo simile a quella di un dio antico e potente. (da ''Stile inglese'', p. 126)
*[...] la natura degli animali osservata da un occhio straordinariamente acuto: infinite sfumature d'esperienza umana espresse nel materiale del regno animale: questo sono le favole di [[Jean de La Fontaine|La Fontaine]]. (da ''Discorso in casa di un collezionista d'arte'', p. 131)
*Non è forse ogni figura della [[natura]], non è forse la sua stessa totalità, ciò che in essa grava e ciò che in essa fluisce, che in essa ondeggia e aleggia, ciò che è rigido e ciò che è vaporoso, ciò che è stabile e ciò che è in fermento, ciò che marcisce e ciò che germina, non è forse il suo uno e tutto che si è fatto forma? (da ''Discorso in casa di un collezionista d'arte'', p. 132)
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*Non posso dire che a me appaia qualcosa di essenzialmente diverso percepire l'atmosfera primaverile o l'atmosfera di un dramma di [[William Shakespeare|Shakespeare]] o di un quadro di [[Rembrandt]]. Qui come là io sento un enorme «ensemble». [...] Un ensemble, dove la distinzione tra grande e piccolo è abolita, in quanto l'uno esiste in grazia dell'altro, il grande del piccolo, il fosco del chiaro, l'uno cerca l'altro, l'uno rileva e attutisce, colora e scolora l'altro, e per l'anima infine esiste solo l'intero, l'inscindibile, inafferrabile, imponderabile intero. (da ''Re e gran signori in Shakespeare, Una conferenza celebrativa'', p. 204)
*Per questo, perché anche quel che corre tra le figure pel mio occhio è pieno di una vita che trabocca da scaturigini ugualmente misteriose che le figure stesse, perché questo specchiarsi reciproco, questo reciproco umiliare ed esaltare, questo reciproco attutire e rafforzare, non è per me meno opera di mano immensa che le figure stesse, anzi perché qui come in Rembrandt non posso vedere e ammettere un reale confine tra le figure e la parte del quadro dove figure non compaiono, per questo sono ricorso alla parola «atmosfera», perché la brevità del tempo e la necessità di intenderci rapidamente, festosamente, mi ha impedito di usare una parola più grande e misteriosa: mito. (da ''Re e gran signori in Shakespeare, Una conferenza celebrativa'', p. 211)
*A me sembra, non è l'abbraccio, ma l'[[incontro]] la vera decisiva pantomima dell'amore. Non è in alcun momento il sensuale così spirituale, lo spirituale così sensuale come nell'incontro. Qui tutto è possibile, tutto in movimento, tutto disciolto. Qui è un cercarsi ancora senza brama, una ingenua mescolanza di confidenza e di timidezza. Qui è qualcosa del capriolo, dell'uccello, è la ottusità dell'animale, la purità dell'angelo, il divino. Un saluto è qualcosa d'infinito. (da ''I cammini e gli incontri'', pp. 274-275)
*{{NDR|Un gruppo di cinque statue femminili custodite in un museo presso il Partenone}} Grandi ne sono le figure; costruite – animali o divine – di forme strapotenti; estranei i volti; labbra altere, nobile l'arco delle ciglia, robuste guance, mento intorno a cui fluisce la vita; sono ancora sembianti umani? Nulla in loro allude al mondo in cui respiro e mi muovo. Non sono davanti alla più estranea estraneità? Non fissa qui da cinque volti verginali l'eterno orrore del caos?<br />Ma, Dio mio, quanto sono reali! Hanno una presenza sensuale che toglie il respiro. Costruito come un tempio s'eleva il loro corpo sui piedi splendidi e forti. La loro solennità nulla ha delle maschere; il volto assume il suo significato dal corpo. Sono donne nubili, fidanzate, sacerdotesse. Nei loro volti è il rigore dell'attesa, l'eletta forza e nobiltà della loro razza, una consapevolezza del proprio grado. Hanno parte a cose oltre ogni comune presentimento.<br />Quanto sono belle! I loro corpi mi convincono più che il mio proprio. (da ''Momenti in Grecia, III, Le statue'', p. 351)
*[...] ciò che è eccellente ha tempo, resta ognora vivo in sé, e il suo momento è sempre. (da ''«Il Divano occidentale-orientale» di [[Johann Wolfgang von Goethe|Goethe]]'', p. 377)