Hugo von Hofmannsthal: differenze tra le versioni

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*[[Ludwig van Beethoven|Beethoven]] è la retorica della nostra anima, [[Richard Wagner|Wagner]] è la sua sensibilità, [[Robert Schumann|Schumann]] forse il suo pensiero: [[Wolfgang Amadeus Mozart|Mozart]] è di più, è la forma. (Da ''Il centenario di Mozart a Salisburgo'', p. 34)
*Ciò che è divenuto non lo possiamo comprendere; può darci solo la volontà di diventare un giorno anche noi qualcosa di compiuto.<br />Movimento è tutto: ma il luminoso insegnamento di Mozart è morto, morto come lo splendido cristallo lucente. Contro questo non si può lottare. È così.<br />Per questo cose minori ci prendono più nel profondo, cose meno perfette in modo più vivo; e ciò che di lui in noi opera e vive non è quanto ha di meglio, è l'incompiuto, quello che ancora fermenta. [...] Quando uscii dall'adunanza festiva, mi vennero in mente le parole di Zenone: «Fanno male coloro che credono di comprendere il passato. E i grandi uomini del passato noi li onoriamo per ciò che hanno risolto in luce, ma a noi conviene pensare soltanto alle tenebre in cui ci hanno lasciato». E la Scrittura dice: «Ogni luce splende il suo tempo; ricordate quella spenta e accendetene una nuova e andate avanti». (Da ''Il centenario di Mozart a Salisburgo'', pp. 34-35)
*Gli [[artista|artisti]] viventi sono come le meravigliose spoglie dei santi, il cui contatto ridestava dalla catalessi e cacciava la cecità.<br />Gli artisti viventi passano attraverso la vita grigia, priva di senso, e ciò che toccano splende e vive.<br /> Ed è una stessa cosa se formulano con parole nuove i segreti dell'anima, o se attraverso armonie purificano il sordo mareggiare che è in noi, o se con parole effimere e gesti fugaci sollevano alla conoscenza ciò che in noi è inconsapevole e lo immergono in dionisiaca bellezza. (da ''Eleonora Duse, La leggenda di una settimana viennese'', p. 55)
*[...] [[John Ruskin]], la cui critica è un rivivere, uno scomporre e un ricreare ditirambico e chiaroveggente. (da ''[[Algernon Swinburne|Algernon Charles Swinburne]] , p. 63)
*Noi stiamo a guardare la nostra [[vita]]; noi vuotiamo la coppa anzitempo e restiamo tuttavia infinitamente assetati: poiché, come di recente ha detto bene e melanconicamente [[Paul Bourget|Bourget]] il calice che la vita ci porge ha un'incrinatura, e mentre la coppa piena ci avrebbe forse inebriato, mancherà in eterno ciò che, all'atto di bere, stillando di sotto, ne va perduto; così nel possesso sentiamo la perdita, sentiamo nell'esperienza ciò che ogni volta ci sfugge. Non abbiamo per così dire radici nella vita, e ci aggiriamo, ombre chiaroveggenti eppure cieche alla luce del giorno, tra i figli della vita. (da ''[[Gabriele D'Annunzio]], I'', p. 76)
*Oggi due cose appaiono [[modernità|moderne]]: l'analisi della vita e la fuga dalla vita. (da ''Gabriele D'Annunzio, I'', p. 77)
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*{{NDR|L'[[Italia]]}} [...] paese della nostra nostalgia, dove sono città i cui nomi non sanno di vuota e rozza realtà quotidiana, ma risuonano come se li avessero formati conversando e cantando le dolci e profumate labbra della poesia stessa. (da ''Gabriele D'Annunzio, I'', p. 78)
*[...] come il popolo ribelle della grande città si riversò sul Monte Sacro, così i nostri pensieri di bellezza e di felicità sono fuggiti a schiere lontano da noi, lontano dalla realtà quotidiana, e hanno alzato le loro preziose tende sulla montagna crepuscolare del passato. Ma il grande [[poeta]] che noi tutti attendiamo si chiama [[Menenio Agrippa]] ed è un signore grande e saggio: con meravigliose fiabe da pifferaio magico, con purpuree tragedie, specchi da cui il corso della vita si riverbera possente, cupo e scintillante, egli alletterà i fuggiaschi, così che ritornino a servire il giorno vivente, come si conviene. (da ''Gabriele D'Annunzio, I'', pp. 86-87)
*[...] la forza di [[vivere]] è un mistero. (da ''Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», I'', p. 94»)
*Uno può essere qui, eppure non essere nella vita: è assolutamente un mistero che cosa d'improvviso lo travolga e faccia di lui uno che solo allora può divenire colpevole e innocente, solo allora può avere forza e bellezza. (da ''Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», I'', p. 94»)
*[...] tutta la [[vita]] è legata alla misteriosa combinazione di pensiero e azione. Solo chi vuole qualcosa conosce la vita. Essa non può essere conosciuta da coloro che non sanno volere e non sanno agire, così come una donna non può essere conosciuta da una donna. E proprio su coloro che non sanno volere e agire i poeti che rispecchiano tristemente e meschinamente questi ultimi due decenni hanno fondato il loro mondo. Eppure è da duemila anni che queste parole stanno nella ''Poetica'' di [[Aristotele]]: «...anche la vita (come il dramma) è fondata sull'azione, e lo scopo della vita è un'azione e non una condizione. I caratteri determinano la differenza, ma l'azione la felicità o la sventura». (da ''Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», I'', pp. 94-95)
*Solo l'azione sprigiona la forza e la bellezza. (da ''Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», II'', p. 96)
*Anche l'uomo del libro sa che solo alle ombre si addice l'aggirarsi ozioso. Sa anche che in lui è una forza. Anzi, la sua anima vive di questa consapevolezza. Per riconoscere pienamente la propria forza, che è la sua parte divina, l'ha distaccata mentalmente dal proprio essere e la chiama il suo figlio non nato. Così egli non ama, come Narciso, se stesso, ma «colui che deve nascere». (da ''Il nuovo romanzo di D'annunzio, «Le vergini delle rocce», II'', p. 96)
*[...] vorrei che avessimo un maggior numero di quelle [[parola|parole]] che, affascinanti e tremende, paiono risuonare dal cuore delle cose, quelle che qua e là un uomo dimenticato ha scalfito sul coperchio di un sarcofago, su una pietra incisa o su un esile vaso. (da ''Filosofia del metaforico'', p 103)
 
*[...] la natura degli animali osservata da un occhio straordinariamente acuto: infinite sfumature d'esperienza umana espresse nel materiale del regno animale: questo sono le favole di [[Jean de La Fontaine|La Fontaine]]. (da ''Discorso in casa di un collezionista d'arte'', p. 131)
*Non è forse ogni figura della [[natura]], non è forse la sua stessa totalità, ciò che in essa grava e ciò che in essa fluisce, che in essa ondeggia e aleggia, ciò che è rigido e ciò che è vaporoso, ciò che è stabile e ciò che è in fermento, ciò che marcisce e ciò che germina, non è forse il suo uno e tutto che si è fatto forma? (da ''Discorso in casa di un collezionista d'arte'', p. 132)
*{{NDR|Un gruppo di cinque statue femminili custodite in un museo presso il Partenone}} Grandi ne sono le figure; costruite – animali o divine – di forme strapotenti; estranei i volti; labbra altere, nobile l'arco delle ciglia, robuste guance, mento intorno a cui fluisce la vita; sono ancora sembianti umani? Nulla in loro allude al mondo in cui respiro e mi muovo. Non sono davanti alla più estranea estraneità? Non fissa qui da cinque volti verginali l'eterno orrore del caos?<br />Ma, Dio mio, quanto sono reali! Hanno una presenza sensuale che toglie il respiro. Costruito come un tempio s'eleva il loro corpo sui piedi splendidi e forti. La loro solennità nulla ha delle maschere; il volto assume il suo significato dal corpo. Sono donne nubili, fidanzate, sacerdotesse. Nei loro volti è il rigore dell'attesa, l'eletta forza e nobiltà della loro razza, una consapevolezza del proprio grado. Hanno parte a cose oltre ogni comune presentimento.<br />Quanto sono belle! I loro corpi mi convincono più che il mio proprio.(Da ''Momenti in Grecia, III, Le statue'', p. 351)