José Saramago: differenze tra le versioni

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*Il [[viaggio]] non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna [[vista|vedere]] quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui [[passo|passi]] già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito. (da ''Viaggio in Portogallo'', p. 457)
*La [[vita]] è un'orchestra che suona sempre, intonata, stonata. (da ''Le intermittenze della morte'')
*Legato alla sua sedia a rotelle, [[Luca Coscioni]], che non è un generale, né una stella del cinema, e neanche un maratoneta, prosegue nella sua lotta sovrumana, è proprio questa la parola esatta, la parola giusta, per il diritto ai risultati di una ricerca sull'embrione che potrà, forse (non lo si saprà mai se non sarà intrapresa), ridare la salute o, per lo meno, migliorare la qualità della vita di migliaia e migliaia di infermi, non solo quelli che sono vittime della sclerosi laterale amiotrofica, ma anche di molte altre malattie che, aspettando angosciosamente l'aiuto della scienza, subiscono le conseguenze delle più ignare e oscure superstizioni. Luca Coscioni, con il suo coraggio intatto, il suo sguardo vivissimo che va dove il suo corpo non può andare, è in prima linea in questa battaglia per la vita. La sua arma è la ragione, il suo unico obiettivo la difesa della dignità umana.<ref>Dall'introduzione ''In nome di Dio'', traduzione di Rita Desti a Luca Coscioni, ''Il maratoneta'', a cura di Matteo Marchesini e Diego Galli, Stampa Alternativa, 2005, p. 6.</ref>
*Marx ed Engels hanno scritto nella Sacra famiglia: "Se l'uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente". Niente di più chiaro, niente di più eloquente, niente di più ricco di senso. Non avevo ancora trent'anni quando, per la prima volta, lessi quelle parole. Furono, per così dire, la mia via di Damasco. Capii che mi sarebbe stato impossibile tracciare una rotta per la mia vita al di fuori di quel principio e che solo un socialismo integralmente inteso (dunque, il [[comunismo]]) avrebbe potuto soddisfare i miei aneliti di giustizia sociale. Molti anni più tardi, in una intervista con Bernard Pivot, che voleva sapere perché continuassi a essere comunista dopo gli errori, i disastri e i crimini del sistema sovietico, risposi che, essendo un comunista "ormonale", mi era impossibile avere delle idee diverse: gli ormoni avevano deciso. La spiegazione è più seria di quanto sembri: e forse si capisce meglio se dico che, in qualche modo, ha un equivalente nel "non possumus" biblico. Recentemente, suscitando lo scandalo di certi compagni dediti alla più canonica ortodossia, ho osato scrivere che il socialismo – e a maggior ragione il comunismo – è uno stato dello spirito. Continuo a pensarlo. E la realtà si incarica giorno dopo giorno di darmi ragione. (da ''Comunista a chi?'', numero speciale de ''Il Manifesto'', 17 dicembre 2009)
*{{NDR|Su [[Silvio Berlusconi]]}} Non vedo quale altro nome potrei dargli. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda un paese chiamato [[Italia]]. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte del paese di [[Giuseppe Verdi|Verdi]] se un vomito profondo non riesce a strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene e distruggere il cuore di una delle più ricche culture europee. (da ''La cosa Berlusconi'', ''El País'', 7 giugno 2009; citato ne ''il manifesto'', 8 giugno 2009, p. 2)