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*Ci sono dei periodi, nella nostra storia, in cui per guardare avanti bisogna voltarsi. Come ai tempi di Omero e come oggi. Achille, Ettore e Ulisse avevano qualcosa da dire a chi viveva mille anni dopo di loro e hanno qualcosa da dire ancora a noi, dopo che sono passati altri tremila anni. Qualcosa che né la televisione né il web né i vicini di casa saprebbero dirci. (da ''Terre selvagge'', Rizzoli, 2014)
*Cosa dovrebbe regalarci il robot di Natale? La risposta è semplice: dovrebbe regalarci un nemico [...]. Come possiamo volerci bene tra noi se non abbiamo un nemico?<ref>Da ''Il robot di Natale e altri racconti'', Interlinea, 2006, p. 45. ISBN 8882125831</ref>
*[[Guerra]] di popolo è una guerra non di soldati, ma di uomini. Che combattono per se stessi, anzitutto: per motivi chiari, evidenti, per ideali in cui credono; e non perché ne hanno ricevuto l'ordine o perché son pagati per questo.<ref name="Vig" (Citato in prefazione: [[Renata Viganò]], ''L'Agnese va a morire'', Einaudi 1974)/>
*Il mestiere dello [[scrittore]] consiste nel raccontare storie. Così era ai tempi di [[Omero]] e così è ancora oggi. È un mestiere antico come il mondo, che risponde ad una necessità degli esseri umani, ad un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi. Finché ci saranno nel mondo due persone, ci sarà chi racconta una storia e ci sarà chi ascolta una storia. Quante cose si fanno, o si sono fatte, che non si sarebbero mai fatte se non ci fosse stata la possibilità di raccontarle! Senza la memoria del passato che è all'origine di ogni racconto, il nostro percorso di civiltà sarebbe ancora fermo da qualche parte nella notte dei tempi. Le grandi conquiste e le grandi imprese di ogni genere non avrebbero avuto lo stimolo per compiersi, e anche gli atti di eroismo sarebbero stati rari, e sarebbero stati scambiati per follia….. (da ''Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo'', Interlinea 2010).
*La [[poesia]] è vita che rimane impigliata in una trama di parole. (da ''Amore lontano'', Einaudi)
*La [[Resistenza italiana|Resistenza]] non è soltanto un episodio militare della [[storia]] recente d'[[Italia]], anche se ormai questa interpretazione restrittiva farebbe comodo a molti. La Resistenza non è soltanto un episodio politico, un momento di transizione tra la caduta della monarchia e del fascismo e l'avvento di uno Stato democratico e repubblicano. E neppure la si può considerare alla stregua di un «bel gesto», di un fatto di redenzione culturale e civile necessario per far uscire l'Italia dalla barbarie e rimetterla in linea con i paesi progrediti. La Resistenza fu tutte queste cose e altre ancora. Ma fu anzitutto, come già s'è detto, ''guerra di popolo''.<ref name="Vig">Citato (citatoin [[Renata Viganò]], prefazione a ''L'Agnese va a morire'', Einaudi, 1974).</ref>
*[…] una guerra di [[popolo]], non può iniziare per scopi aggressivi. Non viene decisa a tavolino, tra mestieranti di strategia e di [[politica]]. Una [[guerra]] di questo genere inizia sempre molto tardi, perché le masse [[Contadino|contadine]] e [[Operaio|operaie]] sono abituate da secoli a sopportare l'oppressione e non sanno esprimersi con la violenza (che è prerogativa storica dei ceti parassitari); ma, una volta iniziata, è tale che gli stessi mestieranti di strategia e politica e i potenti della [[terra]] ne hanno [[paura]], giustamente.<ref (citatoname="Vig" [[Renata Viganò]], prefazione a ''L'Agnese va a morire'', Einaudi 1974)/>
*Una guerra di popolo non si ferma a comando, non ha frontiere e regole del gioco, non ha eroici protagonisti e sterminati greggi di comparse disposte a morir tacendo, come le guerre «normali», le guerre dei [[Padrone|padroni]].<ref (citatoname="Vig" [[Renata Viganò]], prefazione a ''L'Agnese va a morire'', Einaudi 1974)/>
 
==''L'oro del mondo''==
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*Soltanto in quel luogo consacrato dai millennio {{NDR|[[Roma]]}} tutto ciò che c'è stato e ci sarà può convivere con tutto: l'alto e il basso, il vecchio e il nuovo, la religione e l'empietà, il fasto e la miseria, persino Dio e il Diavolo sembravano aver trovato un equilibrio stabile e duraturo in quella città, dove tutto è già accaduto, e mica una sola volta! Mille volte. (cap. 13, p. 130)
*Il [[lavoro]] è l'ultima risorsa dei coglioni! È l'ultima speranza dei falliti, ricordatene! Tieni la fronte alta e la schiena dritta e non lavorare mai, per nessun motivo e nemmeno per fame. (cap. 22, p. 213)
*C'è sempre, arriva sempre nella vita di un uomo che abbia avuto in gioventù un forte stimolo [[ideale]], il momento in cui si prende atto definitivamente, senza più speranze né illusioni né sogni, dell'inerzia delle cose e del mondo. Il momento in cui si capisce che la fede non smuove le montagne; che le tenebre prevarranno sempre sulla luce, l'inerzia soffocherà il moto e così via. (cap. 27, p. 260)
*Vide i busti e i profili dei soldati che cavalcavano di fianco alla carrozza, e la folla lungo il percorso: i pugni alzati, e facce stravolte con le bocche spalancate a insultare e a maledire e a invocare una morte, la sua morte! Proseguendo verso Porta San Gaudenzio, s'accorse che per non sentire quelle grida bastava non ascoltarle. Guardava i volti e i corpi degli uomini là fuori come avrebbe guardato dei pesci in una boccia divetro; li vedeva lontani ed anche strani, anzi si meravigliava di non aver mai fatto caso a quei dettagli che ora le sembravano così assurdi; di non essersi mai stupita in precedenza di quelle forme, considerandole – come tutti – inevitabili, e assolutamente sensate! Di averle sempre credute... normali! Quei cosiddetti nasi, quelle orecchie.... Perché eran fatte così? Quelle bocche aperte con dentro quei pezzi di carne che si muovevano. Che insensatezza! Che schifo! E quell'esplosione incontenibile di odio, da parte di individui che fino a pochi giorni prima non sapevano nemmmeno che lei esistesse e ora volevano il suo sangue, le sue viscere, reclamavano d'ammazzarla loro stessi, lì sul momento e con le loro mani... C'era forse un senso, una ragione in tutto questo? E se non c'era, perché accadeva? Ecco, pensava: io sto qui, e non si perché sto qui; loro gridano, e non sanno perché gridano. Le sembrava di capire, finalmente!, qualcosa della vita: un'energia insensata, una mostruosa malattia che scuote il mondo e la sostanza stessa di cui sono fatte le cose, come il ''mal caduco'' scuoteva il povero Biagio quando lo coglieva per strada. Anche la tanto celebrata intelligenza dell'uomo non era altro che un vedere e non vedere, un raccontarsi vane storie più fragili d'un sogno: la giustizia, la legge, Dio, l'inferno... (cap. 30, p. 291)
*Arrivavano da ogni parte della ''bassa'' e anche dalle città: da Novara, da Vercelli, da Gattinara; con le famiglie, con gli amici, con i vecchi di casa, con i bambini, con i carri carichi di vino e di cibarie per far baldoria, e stare in allegria, e festeggiare la fine dell'estate. Non erano gente sanguinaria, né malvagia. Al contrario, erano tutti brava gente: la stessa brava gente laboriosa che nel nostro secolo ventesimo affolla gli stadi, guarda la televisione, va a votare quando ci sono le elezioni, e, se c'è da fare giustizia sommaria di qualcuno, la fa senza bruciarlo, ma la fa; perché quel rito è antico come il mondo e durerà finché ci sarà il mondo. (Finché continueranno ad esserci degli uomini ci saranno i Gesucristi e le Gesucriste, come disse Antonia). (cap. 30, p. 294)