Daisetsu Teitarō Suzuki: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
mNessun oggetto della modifica
Riga 15:
*La via della rintegrazione è sparsa di lagrime e di sangue. Ma non vi è altro modo di raggiungere le altezze conquistate dai grandi maestri; non si perviene alla verità dello Zen che impegnando tutte le energie della personalità. Il passaggio è pieno di cardi e di rovi e la parete da scalare è quanto mai infida. Non è un giuoco ma la cosa più seria di tutta una vita, un compito che uno spirito vano non deve mai osare di affrontare. Bisogna disporre di una incudine interna sulla quale il proprio carattere andrà sempre di nuovo martellato. Alla domanda: «Che cosa è lo Zen?» un maestro dette questa risposta: «Far bollire olio sulle fiamme». Dobbiamo passare attraverso questa esperienza del fuoco prima che lo Zen ci sorrida e ci dica: «Ecco la vostra casa».
*Sul piano [[Psicologia|psicologico]] si può anche dire che lo Zen libera energie in noi accumulate, di cui nelle circostanze normali non siamo consci.
*Egli {{NDR|il [[Buddha]]}} sapeva che ciò che aveva realizzato nello stato di illuminazione della sua mente non avrebbe potuto essere trasmesso ad altri e che, ove fosse stato trasmesso ad altri, questi non lo avrebbero compreso. [...] Egli può aver avute sue idee proprie circa i problemi filosofici che a quel tempo occupavano la mente degli [[Induismo|Indù]], ma, come ne era il caso per altri capi religiosi, il suo interesse principale non verteva sulla speculazione in quanto tale, bensì sui risultati pratici di essa. Egli era troppo impegnato a strappar via il dardo avvelenato confittosi nella carne per darsi ad una ricerca sull'origine, sulla materia e sulla costituzione di esso a tanto, diceva, una vita è troppo breve.
*Non si può realmente separare l'azione dall'agente, la forza dalla massa, la vita dalle sue manifestazioni. [...] Se trasferiamo queste separazioni dal pensiero alla realtà faremo sorgere una quantità di difficoltà d'ordine non solo intellettuale ma anche morale e spirituale, per via delle quali in seguito avremo da soffrire angosce d'ogni genere. È ciò che il Buddha riconobbe, chiamando ignoranza (''avidyā'') l'atteggiamento corrispondente. Di ciò, la dottrina mahāyānica della ''çūnyatā'' (del «vuoto») fu la naturale conclusione.
*Il [[Nirvana|nirvāṇa]] non è lo svanire in uno stato di assoluta non-esistenza cosa impossibile finché dobbiamo fare i conti con i fatti reali della vita preso nel suo significato ultimo, il nirvāṇa è invece una affermazione, una affermazione di là da qualsiasi specie di antitesi. Questa comprensione metafisica del problema fondamentale del buddhismo forma la caratteristica della filosofia mahāyānica.
 
==Bibliografia==