Mina (cantante): differenze tra le versioni

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*La [[musica]], bella o brutta, seria o ignorante, santa o puttana, è lunga. E non ti abbandona. È il rumore dell'anima. E ti si attacca alla pelle e al cuore per non lasciarti più. (da ''Vanity Fair'' n. 24, 25 giugno 2014)
*La musica... la musica. La amo, la adoro, la idolatro, la venero. Quella che medica. Quella che ti estorce le lacrime. Quella che sembra essere l'unica entità che ti possa capire. Quella che ti persuade. Quella che conferma la tua solitudine. Quella che ti fa muovere. Quella che hai in gola e butti fuori e quella che hai in gola e tieni dentro. Quella che ti convince, anche se solo per un attimo, che siamo degli esseri umani degni di lei. Quella che ti fa trattenere il fiato come davanti al crollo di una diga. Quella che è l'unico, vero, potente stupefacente. Quella che ha fatto dire a [[Shakespeare]]: "Nulla vi è di così insensibile, brutale o scatenato dalla rabbia che la musica, finché se ne prolunghi l'eco, non trasformi nella sua stessa natura. Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo. Nessuno fidi mai in un uomo simile". (da ''Vanity Fair'', n. 10, 11 dicembre 2003)
*La [[neve]] rallenta, modifica, ti ferma per farsi ammirare meglio. La neve riporta a altre nevi, a altri sguardi, a altre vite, a tutti gli inverni, a tutte le età che hai attraversato, anno per anno. La neve pesa poco, pesa meno dell’aria limpida, del sole e della pioggia. La neve è roba mia. (dalla rubrica [http://minapervoi.vanityfair.it/2014/09/22/per-noi-amanti-della-nebbia-e-del-freddo/ "Mina per voi"], 22 settembre 2014)
*La [[scuola]] fa male alla cultura perché non comunica. Perché il ceto del sottoproletariato intellettuale l'ha conquistata come proprio terreno di sicurezza economica sbattendosene della funzione. Lo schema che si ripete è quasi sempre lo stesso: studenti di fronte ad "educatori" spenti, preoccupati di finire un programma ministeriale, di riempire un registro, corollari fastidiosi alla vera occupazione della stesura dell'itinerario-vacanze. Non è neppure sfiorato uno dei principi della pedagogia classica: la trasmissione della passione per la lettura e la trasfusione della curiosità culturale. Si leggono i classici come se fossero la bolletta del telefono o le ricette del medico. Le parole lette, anche quelle dei grandi autori, restano solo parole, svuotate di tutta la loro forza, perché ridotte al rango di esercizio. La cultura non arriva al cervello perché è stata ridotta a compito da svolgere per il giorno dopo, a pedaggio da pagare per ottenere un voto, che poi darà diritto ad un diploma, e quindi, eventualmente e fortunosamente, ad un impiego, in attesa della pensione. (da ''La scuola degli asini'', ''Liberal'', 27 maggio 1999)
*La tv della cosiddetta realtà provoca uno svuotamento dell'essere, perché sostituisce il guardarsi dentro e l'analisi di sé con l'esaltazione della visibilità e della notorietà, spacciati come apice della verità. Ma la realtà, se c'è ancora, ci dimostra che non è così. Il genere [[reality show]] ha l'invidiabile primato di essere, al tempo stesso, funerale e requiem della tv. Non solo si tratta di programmi che hanno un'intelligenza, uno spessore artistico e culturale da prefisso telefonico. No, il punto che li rende del tutto osceni (in senso letterale, cioè al di fuori della "scena" televisiva) è la loro tracotante volgarità. Sarebbe facile ma inutile, a questo punto, inveire contro la decadenza dei costumi e lo strapotere dell'audience, in nome della quale si perpetrano autentici crimini televisivi. Ogni popolo ha la televisione che si merita. Inutile lamentarsi. (da ''Vanity Fair'', n. 34, 3 giugno 2004)