L'idiota: differenze tra le versioni

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==Citazioni==
*"QuestoPerlomeno," c'èosservò di buono", notòpoi, "che non si soffre aquasi lungoper niente quando la testa vieneschizza troncatavia."<br/>"Lo sa che le dico?"Così diconoreplicò tutti,vivamente eil perciòprincipe. hanno"Questa inventatosua osservazione l'ho sentita anche da altri, e quella cosìmacchina, dettala [[ghigliottina]], è stata inventata proprio per questo. AInvece a me inveceallora balenòvenne allorain ilmente sospettoun'altra idea: e se invecefosse èaddirittura quellopeggio? ilForse colmoa dellalei sofferenza?una Questotale viidea parràpuò stranosembrare ridicola e assurda, vima faràa ridere…chi eppure…ha Prendiamoun po' d'immaginazione una simile idea può pure venire in testa. Pensi, per esempio, laalla tortura: strazio,certo piaghe,la scricchioliosofferenza difisica è ossaterribile, dolorei materialetormenti insommasono spaventosi, chema tutto ciò distrae ladalla vittimasofferenza dallespirituale sofferenzee morali,si finosoffre asoltanto chedello nonstrazio vengafisico, finché sopraggiunge la morte. Ma ilforse dolorela sofferenza principale, ile più forte,terribile non è giàquella quellocausata delledai ferite;tormenti, èbensì invecedal lafatto certezza,che tu sai con sicurezza che, ecco, fratra un'ora, poi fratra dieci minuti, poi fratra mezzo minuto, poie infine proprio ora, subitoin questo stesso istante, l'anima sivolerà staccheràvia dale corpo,tu enon cheesisterai tu,più come uomo, cesseraie irrevocabilmenteche ditutto esserequesto unè uomo.sicuro; Questaanzi, certezzail peggio è spaventosache è ''sicuro''. TuEcco, mettiquando appoggi la testa sotto laquel mannaia,coltello e lo senti strisciarescivolare sopra il ferrotuo capo, eecco, proprio quel quarto di secondo èdev'essere piùla atrocecosa dipiù qualunque agoniaterribile." (II1998, 2;pp. 199546-47)
:"Questo c'è di buono", notò, "che non si soffre a lungo quando la testa viene troncata."<br> "Così dicono tutti, e perciò hanno inventato quella così detta ghigliottina. A me invece balenò allora il sospetto: e se invece è quello il colmo della sofferenza? Questo vi parrà strano, vi farà ridere... eppure... Prendiamo, per esempio, la tortura: strazio, piaghe, scricchiolio di ossa, dolore materiale insomma, che distrae la vittima dalle sofferenze morali, fino a che non venga la morte. Ma il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un'ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l'anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa. Tu metti la testa sotto la mannaia, senti strisciare il ferro, e quel quarto di secondo è più atroce di qualunque agonia." (II, 2; 1995)
*Secondo me, uccidere perché si è ucciso rappresenta una punizione incomparabilmente più terribile dello stesso delitto commesso. Venire [[pena di morte|giustiziato]] in base ad un verdetto è molto più terribile che venire ucciso da briganti. (Myskin: 1998, p. 47)
*"Secondo me, uccidere perché si è ucciso rappresenta una punizione incomparabilmente più terribile dello stesso delitto commesso. Venire [[pena di morte|giustiziato]] in base ad un verdetto è molto più terribile che venire ucciso da briganti."<br/>"Chi viene ucciso da un brigante, mettiamo di notte nel bosco o in qualche altro modo, continua indubbiamente a sperare di salvarsi fino all'ultimo istante di vita. Ci sono esempi di persone che, già con la gola tagliata, continuavano a sperare, cercavano di fuggire o chiedevano pietà. E qui invece ti viene tolta con ''assoluta certezza'' proprio quest'ultima speranza grazie alla quale morire è dieci volte più più facile. Su di te è stato pronunciato un verdetto, e nella certezza che a quel verdetto non potrai scampare sta proprio la sofferenza più terribile, la più spaventosa che ci sia al mondo. Prendete un soldato, mettetelo davanti a una bocca di cannone e sparate contro di lui, e lui continuerà pur sempre a sperare; ma leggete a quello stesso soldato una sentenza che lo condanna ''con certezza'', e lui impazzirà o scoppierà a piangere. Chi è in grado di dire che la natura umana sia in grado di sopportare una cosa simile senza impazzire? A che serve una tortura così mostruosa, inutile, assurda? Può darsi che ci sia qualcuno a cui sia stata letta la sentenza di morte, gli abbiano fatto provare tutte le torture dell'attesa e alla fine gli abbiano detto: 'Va' pure, sei stato graziato'. Ecco, un uomo che avesse vissuto tutto ciò potrebbe raccontare cosa si prova. Anche Cristo ha parlato di quell'angoscia, di quella terribile sofferenza. No, non è permesso trattare così una persona umana!" (Myskin: 1998, pp. 47-48)
:Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L'assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell'arma; e sempre spera, fino all'ultimo, di potersi salvare. Si sono dati casi, in cui l'assalito, anche con la gola tagliata, è riuscito a fuggire, ovvero, supplicando, ha ottenuto grazia dai suoi assalitori. Ma con la legalità, quest'ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. Attaccate un soldato alla bocca di un cannone, e accostatevi con la miccia: chi sa! Penserà il disgraziato, tutto è possibile… Ma leggetegli la sentenza di morte, e lo vedrete piangere o impazzire. Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Un solo uomo potrebbe chiarire il punto; un uomo cui abbiamo letto la sentenza di morte, e poi detto: "Va', ti è fatta la grazia!". Di un tal strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può né deve essere lecito applicarla all'uomo". (II, 2; 1995)
*"Ma sarà meglio parlarvi di un altro individuo, che conobbi or fa un anno. C'era, nel suo caso, una circostanza strana: dico strana, perché rara. Era stato condannato, insieme con altri, alla fucilazione. Per non so che delitto politico, doveva essere giustiziato. Gli fu letta la sentenza di morte. Se non che, venti minuti dopo, arrivò la grazia, cioè la commutazione della pena. Nondimeno, durante quei venti o quindici minuti, egli visse nella ferma convinzione che di lì a poco sarebbe morto. [...] E così egli distribuì il suo tempo: due minuti per dire addio ai compagni, due altri per raccogliersi e pensare a sé, un minuto per dare un'occhiata intorno. Aveva ventisette anni; era sano e robusto. Accomiatandosi da uno dei compagni, si ricordava di aver fatto una domanda insignificante e di averne aspettato con interesse la risposta. Agli addii successero i due minuti di raccoglimento. Sapeva già a che cosa avrebbe pensato: "Adesso sono vivo; ma fra tre minuti, che sarò? Qualcuno o qualche cosa, e dove?". Non lontano sorgeva una chiesa, e la cupola dorata splendeva nel sole. Aveva guardato fisso a quella cupola: gli pareva che quei raggi ripercossi fossero la sua nuova natura e che fra tre minuti egli si sarebbe con essi confuso. L'ignoto che lo attendeva era certamente terribile; ma più assai l'atterriva l'assiduo pensiero: "E se non morissi? se la vita continuasse?... che eternità! e tutta, tutta a mia disposizione... Oh allora, di ogni minuto io farei una esistenza e non un solo ne perderei!" Questo pensiero a tal segno lo invadeva, che avrebbe voluto esser fucilato all'istante."<br> [...] "Siete un po' saltuario, principe", osservò Aleksandra. "Che volete provare, insomma? che ogni attimo della vita è prezioso, e che a volte cinque minuti valgono più di un tesoro? E sia, ammettiamolo pure... Ma, scusate, a quel vostro amico che vi contava i suoi spasimi gli commutarono la pena, non è così?... In altri termini, secondo lui e secondo voi, gli fecero dono di una vita senza fine, di un tesoro. E che ne fece egli di questo tesoro? tenne poi conto scrupoloso di ogni minuto?"<br> "Nient'affatto! Glielo domandai una volta, e mi confessò di averne perduti molti."<br> "Cosí abbiamo una prova che utilizzare tutti, tutti i minuti della vita è impossibile... Per una ragione o per l'altra, fatto sta che non è possibile." (II, 5; 1995)<!-- 1998, pp. 94-96-->