Nikolaj Vasil'evič Gogol': differenze tra le versioni

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*Non sarà fuor di luogo notare che nella conversazione d'entrambe le signore venivano a mescolarsi moltissime [[forestierismi|parole straniere]], e a volte, in blocco, lunghe frasi francesi. Ma per quanto l'autore sia pieno di rispetto per gl'insignì benefizi che la lingua francese arreca alla Russia; per quanto sia pieno di rispetto per la lodevole consuetudine della nostra alta società, che si esprime in francese a tutte le ore della giornata, ciò che in fondo è da attribuire a un profondo senso d'amor patrio; pure, nonostante tutto, non sa risolversi in alcun modo a introdurre una frase di qualsivoglia lingua straniera in questo suo russo poema. E così, continueremo pur sempre in russo. (IX; 1977, pp. 182-183)
*E si palesò chiaramente che genere di creatura sia l'uomo: saggio, intelligente e assennato in tutto quello che tocca gli altri, ma non se stesso. Che lungimiranti, ben fondati consigli sa porgere nei casi difficili della vita! – Che testa perspicace! – grida la folla: – che carattere incrollabile! – Ma lascia che su questa testa perspicace s'abbatta qualche sciagura, e che venga a trovarsi lui in persona nei casi difficili della vita, e vedrete dove va a finire tanto carattere! s'è già bell'e smarrito, l'uomo incrollabile, e n'è scappato fuori un miserevole pusillo, un inconsistente, debole fanciullo, o semplicemente un minchione, come diceva Nozdrëv. (X; 1977, p. 209)
*Cosí diranno molti lettori, e rimprovereranno l'autore d'inverosimiglianza, o daranno dell'imbecille ai poveri funzionari, giacché l'uomo è generoso di questa parola ''imbecille'', e pronto a somministrarla venti volte al giorno al suo prossimo. È sufficiente, di dieci lati, averne uno un po' sciocco, per esser spacciato imbecille a onta dei nove buoni. Ai lettori riesce facile trinciar giudizi guardando dal loro angolo tranquillo, da una sommità da cui è tutta aperta la visuale su tutto quanto avviene in basso, dove l'uomo scorge soltanto gli oggetti vicini. Anche negli [[storia|annali]] universali dell'umanità vi sono addirittura molti secoli, che, si direbbe, andrebbero cancellati e annullati, come superflui. Molti errori si sono compiuti a questo mondo, tali che, si direbbe, ora non li farebbe neppure un bambino. Che strade tortuose, cieche, anguste, impraticabili, lontane dal giusto orientamento, ha scelto l'umanità nel suo conato di pervenire alla verità eterna, mentre pure aveva innanzi tutta aperta la retta via, simile a quella che conduce alle splendide stanze, destinate all'imperatore in una reggia! Piú larga di tutte l'altre vie, piú fastosa era questa, rischiarata dal sole e illuminata tutta notte dai fuochi: ma fuori di essa, nella fitta oscurità, ha proceduto il flusso degli uomini. E quante volte, già guidati da un pensiero che scendeva dai cieli, essi hanno ancora saputo deviare e smarrirsi, hanno saputo nel pieno fulgore del giorno cacciarsi un'altra volta nei fondi impraticabili, hanno saputo un'altra volta spandersi l'un l'altro negli occhi una cieca nebbia, e vagando dietro ai fuochi fatui, hanno pur saputo spingersi fin sull'orlo dell'abisso, per poi, inorridendo, domandarsi l'un l'altro: – Dov'è l'uscita? dov'è la via? – Ora tutto appare chiaro alla [[generazione]] che passa, e si meraviglia degli errori, ride della semplicità dei suoi antenati, e non vede che un fuoco celeste irradia tutti questi annali, che grida da essi ogni lettera, e che di là, penetrante, un dito s'appunta proprio su essa, su essa, la generazione che passa. Ma ride la generazione che passa, e sicura di sé, orgogliosa, dà inizio a una nuova serie di errori, sui quali a loro volta rideranno i posteri. (X; 1977, p. 210)<br />Ai lettori riesce facile giudicare: essi guardano le cose dal loro cantuccio tranquillo e dall'alto di una cima, donde l'orizzonte appare aperto su quanto accade in basso, di dove, invece, si possono vedere soltanto gli oggetti più vicini. E nella cronaca universale dell'umanità molti sono i secoli che l'uomo cancellerebbe o annullerebbe come inutili: sulla terra furono commessi molti errori che, ora, pare, neppure un bambino commetterebbe. Quante tortuose, remote, anguste, impervie strade, che l'ha sviata e portata lontano, ha scelto l'umanità, nello sforzo di raggiungere la verità eterna, mentre le era aperto dinnanzi il giusto cammino, come la via che conduce al palazzo meraviglioso, destinato ad essere la dimora di un sovrano! Essa è più larga e splendida di tutte le altre vie, illuminata dal sole e rischiarata da fuochi durante tutta la notte. Ma gli uomini, lasciandola in disparte, hanno camminato nella più profonda oscurità. E quante volte, benché guidati da un senso venuto dal cielo, seppero ugualmente vacillare e perdere la strada, seppero, nella piena luce del giorno, riprecipitare in impervie regioni remote, seppero gettarsi a vicenda negli occhi una torbida caligine e, seguendo, smarriti, dei fuochi fatui, seppero giungere fin sull'abisso, per poi chiedersi inorriditi: «Dov'è la via d'uscita? Dov'è il retto cammino?». La generazione attuale vede, ora, tutto in modo chiaro, si stupisce degli errori, ride dell'irragionevolezza dei propri antenati, senza pensare che le cronache della storia sono tutte segnate da un fuoco celeste, che ogni lettera grida che proprio contro di essa, contro la presente generazione, è puntato, da ogni parte, un indice minaccioso; ma ride e, baldanzosa e fiera, inizia una serie di nuovi errori, di cui ugualmente i posteri rideranno. (''Storia del capitano Kopèikin''; 2003, pp. 233-234)
*L'occhio sinistro {{NDR|del defunto}} non ammiccava ormai più, ma uno dei sopraccigli era ancora alzato con un'espressione interrogativa. Che cosa desiderava sapere il defunto: perché fosse morto o perché era vissuto? Iddio solo lo può sapere. (''Storia del capitano Kopèikin''; 2003, pp. 232-233)
*Ai lettori riesce facile giudicare: essi guardano le cose dal loro cantuccio tranquillo e dall'alto di una cima, donde l'orizzonte appare aperto su quanto accade in basso, di dove, invece, si possono vedere soltanto gli oggetti più vicini. E nella cronaca universale dell'umanità molti sono i secoli che l'uomo cancellerebbe o annullerebbe come inutili: sulla terra furono commessi molti errori che, ora, pare, neppure un bambino commetterebbe. Quante tortuose, remote, anguste, impervie strade, che l'ha sviata e portata lontano, ha scelto l'umanità, nello sforzo di raggiungere la verità eterna, mentre le era aperto dinnanzi il giusto cammino, come la via che conduce al palazzo meraviglioso, destinato ad essere la dimora di un sovrano! Essa è più larga e splendida di tutte le altre vie, illuminata dal sole e rischiarata da fuochi durante tutta la notte. Ma gli uomini, lasciandola in disparte, hanno camminato nella più profonda oscurità. E quante volte, benché guidati da un senso venuto dal cielo, seppero ugualmente vacillare e perdere la strada, seppero, nella piena luce del giorno, riprecipitare in impervie regioni remote, seppero gettarsi a vicenda negli occhi una torbida caligine e, seguendo, smarriti, dei fuochi fatui, seppero giungere fin sull'abisso, per poi chiedersi inorriditi: «Dov'è la via d'uscita? Dov'è il retto cammino?». La generazione attuale vede, ora, tutto in modo chiaro, si stupisce degli errori, ride dell'irragionevolezza dei propri antenati, senza pensare che le cronache della storia sono tutte segnate da un fuoco celeste, che ogni lettera grida che proprio contro di essa, contro la presente generazione, è puntato, da ogni parte, un indice minaccioso; ma ride e, baldanzosa e fiera, inizia una serie di nuovi errori, di cui ugualmente i posteri rideranno. (''Storia del capitano Kopèikin''; 2003, pp. 233-234)
*È piú che dubbioso che l'eroe da noi scelto sia piaciuto ai lettori. Alle signore non piacerà, questo si può dir di sicuro, giacché le signore esigono che l'eroe sia una perfezione assoluta, e basta che abbia, nell'anima o nel corpo, una qualsiasi macchiolina – apriti cielo! Per quanto profondo sia sceso in lui lo sguardo dell'autore, per quanto abbia reso con piú nettezza d'uno specchio la sua immagine, non gliene riconosceranno il minimo pregio. La stessa complessione pienotta e la mezza età di Číčikov gli saranno di grave pregiudizio: la complessione pienotta non verrà a nessun patto perdonata al nostro eroe, e moltissime signore, torcendo il viso dall'altra parte, diranno: – Pfu! com'è detestabile! – Ahimè, son tutte cose che l'autore sa bene; e, nonostante tutto, egli non può scegliere per suo eroe un uomo virtuoso. Ma... chissà, nel corso di questa stessa narrazione, si faranno sentire altre corde, non tocche fin qui; verrà a risaltare la smisurata ricchezza dello spirito russo; apparrà un uomo dotato di virtú sovrumane, o una di quelle prodigiose giovinette russe, come altrove non se ne trovano al mondo, in tutta la stupenda bellezza della sua anima femminile, tutta aspirazioni magnanime e spirito di sacrificio. E morti sembreranno, di fronte a loro, tutti gl'individui virtuosi dell'altre stirpi, com'è morto un libro di fronte alla viva parola! Si solleveranno i moti propri dell'indole russa... e si vedrà quanto a fondo sia penetrato nella natura slava ciò che ha sfiorato appena la natura degli altri popoli... Ma a che scopo parlare di quello che è innanzi? Non si conviene all'autore, che è un uomo educato ormai da gran tempo alla severa vita interiore e alla fredda lucidità della solitudine, lasciarsi trasportare come un giovanotto. A ogni cosa il suo turno, e il suo luogo, e il suo tempo! Ma l'uomo virtuoso, no, non l'abbiamo scelto a nostro eroe. E possiamo anche dire perché non l'abbiamo scelto. Perché è tempo, una buona volta, di concedere un po' di riposo al povero uomo virtuoso; perché a vuoto gira su tutte le labbra la parola ''uomo virtuoso''; perché hanno ridotto a un cavallo l'uomo virtuoso, e non c'è scrittore che non ci scarrozzi, incitandolo colla frusta, o qualunque altra cosa gli capiti; perché hanno talmente massacrato l'uomo virtuoso, che ormai non c'è piú in lui neppur l'ombra della virtú – gli sono restate le coste e la pelle, al posto del corpo; perché ipocritamente si fa venire in ballo l'uomo virtuoso; perché non si rispetta, l'uomo virtuoso. No, è tempo, una buona volta, d'attaccare alle stanghe anche un farabutto. Suvvia dunque, attacchiamo questo farabutto! (XI; 1977, p. 223)
*Il lettore non deve dunque irritarsi con l'autore se i personaggi apparsi fin qui non hanno incontrato i suoi gusti: la colpa è di Číčikov: qui egli è padrone assoluto, e dove pare a lui, anche noi dobbiamo trascinarci. Da parte nostra, se proprio ci sarà rivolta l'accusa che i personaggi e i caratteri sono squallidi e difformi, diremo soltanto che mai, da principio, si può cogliere per intero l'ampio andamento e le proporzioni d'un'opera. (XI; 1977, p. 241)