Aldo Palazzeschi: differenze tra le versioni

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*Gli [[antifascismo|antifascisti]] hanno voluto dimostrare di essere della medesima lega, identica dei fascisti, anzi peggio, perché venuti dopo ci sono riusciti perfettamente.<ref>Da una lettera a [[Marino Moretti]] del 28 giugno 1946; citato in ''Carteggio vol. III, 1940-1962 / Marino Moretti, Aldo Palazzeschi''; a cura di Francesca Serra, Storia e Letteratura, Roma 2000, p. 79.</ref>
*''I fratelli Cuccoli'' racchiudono la massima parte e il punto più elevato della gioiosa e insieme dolorosa poesia della mia [[anima]]. Quel protagonista, davanti al quale i critici si sentirono disorientati giudicandolo un troppo audace miscuglio di [[realtà]] e di surrealismo, è il personaggio che più mi assomiglia. Si vede che io stesso fui un'audace mescolanza di surreale e di realtà. Ed è scopo evidente di quel lavoro il superamento della ricerca psicologica.<ref>Citato in ''Ritratti su misura di scrittori italiani'', a cura di [[Elio Filippo Accrocca]], Venezia, Sodalizio del libro, 1960, pp. 312-314.</ref>
*{{NDR|Se le fosse dato di salvare quattro romanzi dalla [[bomba atomica]], quali sceglierebbe?}} I promessi sposi, Guerra e pace, I fratelli Karamazov, Rosso e nero.<ref name=Picchinov49/>
*Il romanzo {{NDR|''Roma''}} lo immaginai vedendo tanti di quegli uomini [[cattolicesimo|cattolici]] integrali, sentendo una certa atmosfera nella quale giganteggiavano, sempre più isolate, talune figure di [[nobiltà|nobili]], Alla fin fine, si vede che il Principe, attorno al quale ruota tutto un ambiente nuovo, tutto un mondo nuovo, spregiudicato, vano, falso, è sullo stesso piano del servitore. Che cosa hanno in comune Filippo di Santo Stefano e il sor Checco? Ma la fede, la comunanza di virtù, di ideali, di religione, insomma! Il cristianesimo è l'elevazione degli umili. Quell'uomo, il sor Checco, è come il Principe e il Principe è come lui. Una affinità molto difficile da comprendere, coi tempi che corrono. Ma è una realtà; è così.<ref>Dall'intervista di Giovanni Lugaresi, ''Il romanzo di Palazzeschi sui teleschermi'', ''Roma'', ''Il Gazzettino'', 22 febbraio 1974.</ref>
*In un [[libro]] gli uomini vogliono trovare se stessi, conoscersi, scuoprirsi, sentirsi confermati o respinti, discussi, nei loro odi ed amori, passioni, debolezze, ambizioni frustate o raggiunte, cadute, vittorie e sconfitte, i loro disinganni, le cose andate bene, quelle andate alla rovescia, e facendone il bilancio quelle andate male in proporzione molto più grande, giacché le persone felici hanno poco tempo da leggere e meno da scrivere, e perché l'uomo ama la lotta al disopra della felicità. E tutto incanalare e condurre verso una cima fulgente: la poesia. È il viatico che deve portare un libro alla moltitudine.<ref>Da ''Palazzeschi allo specchio'', ''Omnibus'', I 9, 29 maggio 1937, p. 6.</ref>
*Io sono sempre stato [[religione|religioso]]. Come mia madre che veniva da una lunga famiglia di preti. Adesso, forse più di una volta, sono attratto dal soprannaturale. Mi affascinano soprattutto i [[dogma|dogmi]]: non sono impalcature gelide, ma fervide astrazioni ricche di poesia.<ref>Citato in ''Aldo Palazzeschi a Roma: atti della Giornata di studi, Casa di Goethe, Roma, 20 aprile 2009'', a cura di Gino Tellini, Società editrice fiorentina, Firenze 2011, p. 225.</ref>
*L'[[artista]], come l'asceta, tutto perdona, tutto sacrifica, anche la propria persona e la propria esistenza per amore dell'arte.<ref>Da ''Cinema'', a cura di Maria Carla Papini, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2001, p. 72.</ref>
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*{{NDR|Parlando dell'elezione di [[Giuseppe Saragat]] a Presidente della Repubblica Italiana}} La [[Democrazia Cristiana|democrazia Cristiana]] si è rivelata senza più veli quella bagascia da culo che è, cosa tristissima per chi aveva creduto potesse venire da quella parte saggezza e equilibro, e il parlamento qualcosa da farci vergognare di essere italiani. Ma quelli non hanno che un pensiero, il loro posto e il loro partito [...] Bene hanno fatto quei [[monarchia|monarchici]] che al momento dell'elezione, allo scoppio del falso entusiasmo, si sono messi a gridare: "Evviva il [[Re]]! ". I creatori di operette sono stati superati dal primo all'ultimo [...] I popoli hanno il governo che meritano.<ref>Da una lettera a [[Marino Moretti]] del dicembre 1964; citato in ''Carteggio vol. IV, 1963-1974 / Marino Moretti, Aldo Palazzeschi''; a cura di Alessandro Pancheri, Storia e Letteratura, Roma 2001, p. 152.</ref>
*La loro [[maestro|maestra]] sarà obesa, idropica, ammalata di elefantiasi; avrà l'asma, i piedi piatti, calva, guercia, nana, gobba, scalcinata, tutta bitorzoli, con la coda, oppure secca e lunga lunga come una serpe che sia drizzata, e agiterà la linguina davanti alla scolaresca [...] emetterà grida come quando nitrisce un cavallo. Queste verranno, ad insaputa della scolaresca, messe una accanto all'altra, una sopra una sotto, fatte piangere, farsi tutti i dispetti che immaginar si possa, schiaffi, pizzicotti, fare la ''boxe'', strapparsi i capelli [...] fatte vomitare, partorire, abbandonare, tradire da un loro analogo amante, morire con tale stralunamenti delle pupille da farvi girare la testa.<ref>Da ''L'antidolore'', Mondadori, 1958; ora in A. Palazzeschi, ''Tutti i romanzi'', vol. 1, Mondadori, Milano, 2004, pp. 1241-42.</ref>
*La [[poesia]] è in tutti e di tutti, è patrimonio comune e universale. Per il poeta è l'essenza della vita, per gli altri il profumo, profumo che tutti avvertono vagamente e inafferrabilmente. Il poeta ha la facoltà di fissare con la immagine o nelle parole l'istante che fugge e di poterlo comunicare agli altri. Ma mentre l'immagine si espande, si logora, e proprio come un profumo diventa sempre più debole e evanescente. Somiglia a quelle acque che bevute alla sorgente hanno un potere radioattivo sul nostro organismo, messe in bottiglia e servite sulle tavole delle città sono della buona acqua potabile, e nulla più.<ref name=Picchiott53>Dall'intervista di Mario Picchi, ''Palazzeschi e il profumo di Roma'', ''La Fiera letteraria'', VIII 4, 4 ottobre 1953, pp. 1 e 6.</ref>
*La [[vita]] è come l'acqua, deve correre, guai se si ferma, baca.<ref>Da ''Vita'', in ''Tutti i romanzi'', vol. II, a cura di Gino Tellini, Mondadori, Milano, 2005.</ref>
*Le bellezze naturali mi incantano, ma la [[bellezza]] creata dall'uomo mi esalta, ragione per cui adesso io amo tanto [[Venezia]], perché lì è soltanto l'uomo che opera, è soltanto l'uomo che ha agito, che ha creato e da una pozzanghera ha tirato fuori questo grande miracolo.<ref>Dall'intervista televisiva di Carlo Mazzarella, ''Incontro con Aldo Palazzeschi'', 2 marzo 1965.</ref>
*Nel [[romanzo]] lo scrittore spiega tutte le sue facoltà, fra le quali la poesia tiene il primo posto: non vi aleggia come un angelo custode, ma ne è l'intima sostanza, proprio come facevano i nostri avi col poema.<ref name=Picchinov49>Dall'intervista di Mario Picchi, ''Sono nato poeta, muoio prosatore'', ''La Fiera letteraria, IV 46, 13 novembre 1949, pp. 1-2.</ref>
*{{NDR|Che cosa pensa del [[progresso]]?}} Nutro antipatia e quasi insofferenza per questo mondo che si va meccanizzando. Il progresso esiste solo nello spirito. Se il progresso fosse legato alle invenzioni e alle scoperte che ci hanno fatto strabiliare durante mezzo secolo, saremmo la gente più fortunata e felice da quando esiste il genere umano. Non vi fu epoca più travagliata, tormentata, scontenta, turbolenta della nostra. Si ha l'impressione che tante cose grandiose siano fatte allo scopo di poterci meglio dividere, meglio combattere, per meglio odiarci, per distruggere e ammazzare. In casa mia non c'è radio, non c'è telefono non c'è macchina da scrivere, soltanto la mia piccola umanità.<ref name=Picchiott53/>
*O seimila spettatori che accorreste al Teatro Verdi, voi che avete sentito il gusto, l'ebbrezza di un istante divinamente folle di ribellione... Noi lirici e teorici lanciamo le nostre grida alte. Voi non ci domandate che l'occasione di farcene udire l'eco dentro voi stessi.<ref>Da ''Lacerba, Volumi 1-3'', Mazzotta, Milano, 1913, p. 290.</ref>
*{{NDR|Su ''Sorelle Materassi''}} Per la schiettezza nostrale dell'ispirazione, aggiungerò un documento infallibile: questo lavoro è stato citato all'ordine del giorno di Strapaese.<ref>Da un'intervista alla ''Gazzetta del Popolo'', 1934; citato in [[Giacinto Spagnoletti]], ''Palazzeschi'', Longanesi & C., Milano 1971, p. 234.</ref>
*Prendo la [[bellezza]] dov'è. Essendo nato e cresciuto in una città bella e artistica in sommo grado ho imparato a conoscere e amare la bellezza, ce l'ho nel sangue. Non riesco a vivere in un luogo che non sia bello, e mi sento aperto a tutte le sue forme. Dopo il 1870 esiste l'Italia, Roma Firenze e Venezia nei loro diversi caratteri sono ugualmente mie. Rimanere attaccati come ostriche al proprio campanile, dopo quella data significa diventar provinciali senza accorgersene.<ref name=Picchiott53/>
*Quella che ci appare la cosa più facile da conquistare nel mondo che il Signore ci ha dato, ed è invece la più difficile da conquistare in quello dell'arte: la naturalezza, il vero di fronte a questo spettacolo che ci si presenta nuovo ogni mattina essendo invariabile "''ab aeterno''".<ref>Da ''Prefazione'' a Elena Clementelli, ''Questa voce su noi'', Guanda, Parma, 1962, p. 7.</ref>
*[[Realismo]] e surrealismo, hanno dichiarato credendo di muovermi un rimprovero. Ma la nostra vita non è proprio così? Realismo e surrealismo. Poveri coloro che hanno soltanto del realismo nella loro esistenza. E surrealista io lo fui fin dal mio primo vagito.<ref>Dall'intervista di Mario Picchi, ''Sono nato poeta muoio prosatore'', in ''La Fiera Letteraria'', IV, 46, 13 novembre 1949, pp. 1-2.</ref>
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*Vivo la situazione [[spiritualità|spirituale]] degli uomini del nostro tempo. Non sono [[Cristianesimo|cristiano]] alla cieca, come forse lo si era un secolo fa. Ma le dirò che è la guerra che riattizza il cristianesimo. Ho scritto ''Due imperi... mancati'' nel 1920 e ''Tre imperi... mancati'' nel 1945. Sono libri che non amo e non vorrei averli scritti, soprattutto il secondo. Comunque in essi c'è un fondo cristiano: la guerra riavvicina a Dio.<ref>Dall'intervista di Ennio Cavalli, ''Palazzeschi vuol divertirsi'', in ''La Fiera Letteraria'', XLVIII, 40, 1 ottobre 1972, pp. 10-11.</ref>
*Vorrei essere amato dalle creature [[semplicità|semplici]] e non discusso dai sapienti di letteratura.<ref>Dalla lettera ad Arnoldo Mondadori, Venezia, 21 settembre 1958, in Arnoldo Mondadori, Alberto Mondadori, Aldo Palazzeschi, ''Carteggio. 1938-1974'', a cura di Laura Diafani, Ed. di Storia e Letteratura, 2007.</ref>
 
{{Intestazione|Dall'intervista di Alberto Viviani, [http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/rivista/RML0034377/1935/Febbraio%20n.%2016/6 ''Colloquio''], ''Quadrivio'', III 16, 17 febbraio 1935, p. 6}}
*Il borghese sente per il [[poeta]] un certo senso di fastidio, non più di quanto ne possa una zanzara: non lo ama non lo teme non lo stima ma preferirebbe che non ci fosse; il suo quietismo ne è disturbato vagamente senza saper perché. In fondo non sa che bestia sia. Avendo egli messo i valori materiali della vita al primo posto, vede di malocchio quello che ha posto i valori ideali sopra ogni altra cosa; lo sente inconsciamente come un lontano rimprovero e preferisce considerarlo in mala fede o un po' pazzo. Si tranquillizza così sul suo conto.
*Il [[popolo]] non ha prevenzioni né antipatie per il [[poeta]]; lo giudica un povero diavolo, uno che va a finir male; sa che con la poesia si fanno magri guadagni; in fondo lo ama perché non lo invidia. Lo vede un po' quello che proclama la giustizia a tutto rischio e pericolo, o esalta a fondo perduto la bellezza che è nelle cose: due sentimenti nel popolo radicati bene.
*Il senso della [[poesia]] è nell'umanità quale è stato sempre e quale sempre sarà. La umanità vive inconsciamente la sua parte di poesia, o ne ha percezioni vaghe e fugaci, inafferrabili e informi. La poesia è nell'umanità come l'oro nelle grandi sabbie aurifere: tocca al poeta individuarlo, raccoglierlo e formarlo in piccole sbarre.
*La popolarità della [[poesia]] è una illusione. Popolare è invece la rettorica che le masse non possono oltrepassare e di cui si cibano abbondantemente. La poesia medesima diviene rettorica una volta preda delle masse. Le masse sono più forti della poesia. In ogni paese coloro che sono capaci di creare la poesia come coloro che hanno la capacità di intenderla, sono creatura di eccezione, al di fuori della normalità.
 
{{Intestazione|Dall'intervista di Enzo Siciliano, [http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,1117_01_1973_0250_0003_16212672/ ''Palazzeschi si diverte''], ''La Stampa'', 24 ottobre 1973}}
*Dopo la guerra qualcuno andò a [[Capri]]; ma io a Capri non ci ho mai neppur dormito. Non mi piacque. C'era snobismo; c'era un'atmosfera troppo artificiosa.
*Io, [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] non l'ho mai conosciuto, e pensare che i miei genitori avevano una villa a trecento metri dalla Capponcina. Ma a quel tempo noi non lo si amava D'Annunzio: si amava tanto da sé che non aveva bisogno del nostro amore. Noi si amava Pascoli. Ma adesso sì che lo amo. Nell'''Alcyone'' ci sono cose bellissime, specie quelle fiorentine: ''Lungo l'Affrico'', ''La sera fiesolana''.
*[[Filippo Tommaso Marinetti|Marinetti]] dette uno scossone a tutto il provincialismo e a tutto l'accademismo in una volta. Qualcuno dice che era stupido. Certo, quelle sue poesie che sono tutte un'onomatopeia non possono far pensare bene: l'onomatopeia a perseguirla all'infinito diventa meccanica. Però bisogna dire di lui che fu anzitutto un uomo d'azione capitato in mezzo alla letteratura. L'hai mai visto un uomo d'azione che sia pure un letterato? Pensa a che difficoltà ci sono a mettere insieme un movimento di cultura o d'arte in Italia. Marinetti le superò.
*Non bisogna pensare che l'ingenuità sia una faccenda da ragazzine da dodici anni, o che l'ingenuità sia ignoranza. No. L'ingenuità è un dono: e se uno la conserva sapendo fare certe cose, allora si che è bella.
*Oh, vorrei che si parlasse meno di [[sesso]]. Quando non se ne parlava, c'era più libertà sessuale. Il sesso è una cosa importantissima, ma non la sola, l'unica: oggi se ne parla come se lo fosse.
*{{NDR|Su [[Ardengo Soffici]]}} Quello sì che era molto simpatico. Aveva delle sue diritture che non collimavano con quelle degli altri e bisognava rispettargliele, sennò si litigava. Prendeva una cotta per un pittore, per un poeta, ed era come un amore sfegatato: poi gli passava.
*[[Umberto Saba|Saba]] odiava il genere umano, e a parlargli di mondanità usciva fuori di sé.
 
==''Il palio dei buffi''==