Daniel Pennac: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Donluca (discussione | contributi)
m wlinks fix
m sistemo
Riga 90:
*È giunto il momento di richiudere la finestra del sosia. A questo stadio del racconto, lo sentiamo, la sua situazione non potrà migliorare. (III, 30)
*Qui occorre che io apra un piccolo capitolo a parte, in forma di parentesi, poiché intuizioni del genere, che sono certezze (tu, ragazza, che asciughi le lacrime di quel morto e gli chiudi gli occhi nel cinema vuoto), non si impongono per caso alla fantasia di un romanziere.<br />È un ricordo, in realtà, una visione che spunta senza preavviso alla superficie di questo racconto; un momento della mia giovinezza, risuscitato dallo sforzo che compio per immaginare la tua. (IV, 2)
*[...] gli venne l'idea che tutte le lacrime che aveva versato su Valentino fossero in realtà destinate al proiezionista scomparso, tutta la sincerità spesa a piangere la morte di Valentino fosse per ornare la tomba del proiezionista, sotterrata così in profondità nella sua memoria, quella tomba, così poco percepibile nella notte della sua coscienza che, con un gioco di prestigio che non sapeva spiegarsi, qualcosa in lui aveva provato il bisogno di sfogarsi su un lutto di facciata, un dolore alla luce del sole, e aveva scelto di pagare per la morte umiliante di Rodolfo Valentino, si era accusato di questo! ''La sua reputazione di cazzomolle, era colpa mia!'' Si era addossato la responsabilità di quella cosiddetta infamia senza che nessuno glielo avesse chiesto, di propria iniziativa: espiazione! [...]<br />oh! il senso del [[ridicolo]]...<br />Un tarlo ben più vorace del rimorso!<br />Non ti bastava essere un assassino, dovevi anche essere ''un assassino ridicolo''?<br />Per la prima volta, avvertì l'assoluto della propria solitudine, poiché nulla ci rende più soli, più sperduti in noi stessi della convinzione di essere ridicoli.<br />Fu sorpreso dall'esplosione della propria risata. (IV, 20)
*"Essere sosia è qualcosa che si desidera," spiegava Pereira, "te l'ho detto cento volte. La somiglianza è un atto di fede, come avrebbe detto il tuo gesuita. Ho voluto che tu mi assomigliassi, tu hai voluto assomigliarmi, ci siamo assomigliati, ecco tutta la nostra storia... Non c'è il minimo spazio per la tua innocenza, in tutto questo. Il barbiere, invece, non ha mai voluto assomigliare a Hynkel, che io sappia." (IV, 22)
*Scriviamo per farla finita con noi stessi, ma con il desiderio di essere letti, non c'è modo di sfuggire a questa contraddizione. È come se annegassimo urlando: "Guarda, mamma, so nuotare!". Quelli che gridano più forte all'autenticità si gettano dal quindicesimo piano, facendo il tuffo d'angelo: "Vedete, sono soltanto io!". Quanto a sostenere di scrivere senza voler essere letti (tenere un diario, per esempio), significa spingere fino al ridicolo il sogno di essere contemporaneamente l'autore e il lettore. (V, 1)
Riga 282:
{{Pedia|Abbaiare stanca|''Abbaiare stanca''|(1998)}}
 
[[Categoria{{DEFAULTSORT:Scrittori francesi|Pennac, Daniel]]}}
[[Categoria:Scrittori francesi]]