Ferruccio Masini: differenze tra le versioni

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*In [[Ernst Jünger]] il collezionista, il botanico e l'entomologo s'incontrano con il metafisico: ma mentre i primi sono, per così dire, immersi nella fredda luce diurna, godono di un'ottica smaltata e tersa, sovranamente estranei alla bassura e alle bufere dell'esistenza, il secondo sembra affiorare dai chiarori diafani di un acquario con il silenzio estatico di chi ha percorso le profondità dei processi vitali, seguendo gli avvolgimenti labirintici e le trame sottilmente ambigue di misteriosi orrori e di malvagi destini. (da ''Guerrieri divini e lanzichenecchi del nulla'', p. 199)
*[...] proprio lo scarto delle linee, l'efflorescenza multipla e caotica, la fascia di ramificazioni aparallele tipiche del rizoma diventano, in Jünger, la ''machina magica'', l'organo ''stereoscopico'' con cui egli interpreta la totalità del reale, calandosi in quella profondità del tempo dove si spengono le ultime grida umane. È a questa modalità del ''doppio sguardo'' che è data la possibilità non già di trascendere il divenire, bensì di scinderlo nelle sue «potenze» e quindi di ricomporlo ad un grado qualitativamente superiore di intensità significante. (da ''Guerrieri divini e lanzichenecchi del nulla'', p. 201)
*[...] «No, no, egli non voleva la felicità e la sazietà degli altri, – dirà [[Hermann Hesse|Hesse]] nel ''Narziß'', − dei compratori di pesce, dei cittadini, della gente affaccendata. Che il diavolo se li portasse! Ah, quel viso pallido e balenante, quella bocca piena, matura, d'estate avanzata, sulle cui labbra grevi era passata come una folata di vento e come un raggio di luna, quell'indefinibile sorriso di morte.»<ref>Da Herman Hesse, ''Narciso e Boccadoro'', traduzione di C. Baseggio in ''Opere Scelte di Hermann Hesse'', 5 vv., a cura di L. Mazzucchetti, Milano, 1961, III, p. 509. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 310.</ref> <br/>Nessuno più di Hesse ha saputo leggere in questo sorriso l'ermetica corrispondenza di due volti, quello dell'Apollo di Veio e del [[Budda|Budda]]. Essi affiorano dai densi chiarori di un sole autunnale filtrato nelle pagine indimenticabili del ''Klingsor'', sigillando in sé non l'agonia tempestosa di un forzato distacco, ma l'occulto presagio di un infinito ritrovamento, dove tutto è «in divenire, tutto in metamorfosi, tutto pervaso dall'anelito di divenire uomo, di divenir stella, tutto pervaso di nascita e di disfacimento, pieno di Dio e di morte».<ref>Da Hermann Hesse, ''Klingsor letzter Sommer'', in ''Gesammelte Werke'', 12 vv., Frankfurt a. M., 1970, V, pp. 322-323. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 310.</ref> (da ''Klingsor o la «musica del mutamento»'', p. 310)
*«Nell'attimo fuggevole di un volto umano si sprigiona per l'ultima volta l'aura dalle prime [[fotografia|fotografie]]. È ciò che costituisce la loro bellezza carica di malinconia e inconfrontabile con qualsiasi altra.»<ref>Da [[Walter Benjamin]], ''L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica'', traduzione di E. Filippini, Torino, 1966, p. 28; ''Das kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit,'' in ''Gesammelte Schriften,'' 6 vv., a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a. M., 1972 sgg., p. 23. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 316.</ref> [...] La malinconica bellezza «inconfrontabile con qualsiasi altra» non era certo presente nella pace contemplativa dell'aura, ma lo è solo quando l'aura ''si sta estinguendo''. È in questo momento che la sua labilità diventa quella stessa della bellezza e se v'è ancora un brivido dell'irripetibile, questo nasce dalla coscienza di una perdita irrevocabile, dalla magia di un tramonto che non potrà più essere goduto ma che proprio per questo è carico di una sconfinata seduzione. (da ''Metacritica dell'aura'', p. 316)
*L'obiettività a cui tende il grottesco non è quella dell'umorismo, per il quale l'ideale viene confrontato col reale al punto che quest'ultimo viene esibito ''ad oculos'' nella sua cruda «nullità» (''Nichtigkeit''<ref>Da [[Frank Wedekind]], ''Der Witz und seine Sippe'', in ''Werke in drei Bänden'', a cura di M. Hahn, Berlin und Weimar, 1969, III (''Prosa''), p. 273. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 336.</ref>). È invece la crudeltà del ''Witz'', dove i contraddittori devono coesistere, a impedire il recupero, anche soltanto formale, di ogni superiore umorismo, e quindi a problematizzare radicalmente la possibilità utopica di una natura redenta dalla contaminazione umano-sociale. (da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 336)
*[...] l'enigma del ''pathos'' vitale non poteva essere forzato in alcun altro modo se non attraverso una discesa nella profondità umana della miseria e nel dolore. Ma questo era necessario «perché – come scrisse [[Karl Kraus]] – in nessuno come in lui le strisce sanguinose lasciate dallo staffile dell'esperienza si sono trasformate in solchi aperti alla semina della poesia».<ref>Da Karl Krauss, ''Il vaso di Pandora'', traduzione italiana di Roberto Calasso, in Frank Wedekind, ''Lulu'', traduzione italiana di E. Castellani, Milano, 1972, p. 24. {{Cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 338.</ref> (da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 338)
*L'umorismo [[Pirandello|pirandelliano]] smonta la convenzione logica, servendosi della logica, la convenzione sociale, servendosi delle figure della falsa coscienza, , ''distrugge la maschera con la maschera'': quella della protettiva e rassicurante costruzione logica, per esempio, con la maschera della follia, per la quale la logica «vola come una piuma». In questo sta il percorso straniante di una scrittura nella quale i discorsi simmetricamente antagonisti, le antilogie, diventano corpi lottanti, corpi avvinghiati nella contraddizione. (da ''L'umorismo pirandelliano e la scrittura teatrale come entelechia drammatica'', p. 350)
*[...] [[Friedrich Dürrenmatt|Dürrenmatt]] mira a innescare sul terreno di una cosciente mistificazione, che dalla manipolazione dei ''topoi'' drammatici trasferiti in moduli ''kitsch'' perviene alla contraffattura parodistica calcolata ''more geometrico'', un potenziale dirompente analogo a quello della «crisi» dialettica. In essa il radicalismo teologico-nichilista oppone il «no» dell'uomo e di un mondo inesorabilmente condannato, al «no» di Dio, fino alla loro consumazione, laddove il «colmo del peccato» diventa «il trionfo della grazia». (da ''L'incognita teologica nella tragicommedia di Dürrenmatt'', p. 359)
*[...] Le calcolate acrobazie dell'umorismo macabro si dissolvono. Nasce il grande disorientamento della disputa tra uomo e Dio, una disputa non solo secolarizzata nei travestimenti dei contendenti, ma anche stravolta nelle implicazioni assurde di una disperazione infaticabile, che si rovescia in speranza assoluta. <br/>La trascendenza del fatto teatrale, con tutta l'ambiguità delle sue pseudoallegorie e tutto l'inquietante sortilegio della sua intellettuale ''clownerie'', sembra adombrare nel gioco satiresco il «mistero» sacro, nel «Satyrspiel» il «Mysterienspiel». L'umanità di Dürrenmatt sta inesorabilmente «sotto la collera di Dio» (''unter dem Zorn Gottes'') come direbbe [[Karl Barth|Barth]]. (da ''L'incognita teologica nella tragicommedia di Dürrenmatt'', pp. 363-364)
 
==''Lo scriba del caos''==