Ferruccio Masini: differenze tra le versioni

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==''Gli schiavi di Efesto''==
*Bisogna avere il coraggio di chiedere all'[[arte]] un ''altro'' servizio, una altra utilità, un altro ''senso'' senza la protervia dei distruttori, ma con l'ironia materialistica di chi persegue una critica radicale che voglia andare, – come dice [[Marx]], alla cosa stessa, alla radice. Anche attraverso la discesa nel «regno dei morti» del disumano, la radice per l'uomo resta l'uomo stesso. «Continuo a credere – scriveva [[Albert Camus|Camus]] in una lettera – che questo mondo non ha un senso superiore. Ma so che qualche cosa, in esso, ha senso, e questo senso è l'uomo, perché è il solo essere ad esigere di averlo. Questo mondo ha, se non altro, la verità dell'uomo e il nostro compito è di dare ad esso le sue ragioni contro lo stesso destino».<ref>In A. Camus, ''Lettres à un ami allemand'', Paris, 1945, p. 72. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 60.</ref> (da ''Dissoluzione e metamorfosi'', pp. 60-61)
*Indubbiamente [[Gottfried Benn|Benn]] riesce a scrutare nel fondo dell'anima moderna – ad onta o forse proprio in virtù del suo radicale antistoricismo – allorché scrive che essa integra le ambivalenze oscillando in una tragica pendolarità: dalla stanchezza al salto acrobatico, dalla libidine del pensiero puro a quella del sangue e dell'istinto. Ma è proprio questa oscillazione di gioco e sofferenza a rivelare una saturazione della cultura borghese giunta a quella «mostruosa, struggente rigidezza della pupilla in cui si rispecchia il nulla».<ref>Da [[Friedrich Nietzsche]], ''Nachgelassene Werke, Gesamtausgabe, 19 vv.'', Leipzig, 1894 sgg., p. 162. {{Cfr}} ''Gli Schiavischiavi di Efesto'', nota a p. 92.</ref> (da ''Il nichilismo estatico di Gottfried Benn'', p. 92)
*{{NDR|Sulla poesia di Gottfried Benn}} Chi vede in essa dell'estetismo mostra di aver compreso assai poco. In essa, invece, «si combatte col toro a distanza ravvicinata» – come scrive Benn nei ''Problemi della lirica'' che è un po' il suo testamento spirituale – . Nelle occulte risonanze di questa poesia «monologica», così estraniata e conchiusa in una gelida sfera di cristallo, molti sono i terremoti ''silenziosi'' che si possono percepire. (da ''Il nichilismo estatico di Gottfried Benn'', pp. 95-96)
*[...] ma il «rifiuto» di [[Hugo von Hofmannsthal|Hofmannsthal]] non è semplicemente un ''regressus'' verso un'Europa precapitalistica, cavalleresca, religiosa, bensì anche, e soprattutto, l'approfondimento delle possibilità di espiazione e di riscatto dell'individualismo aristocratico, la palingenesi magica, eroico-spiritualista, delle sue forze ideali, la realizzazione, cioè, di una piena visibilità interiore, di un «mondo dell'anima». (da ''La «trionfale tristezza» di H.v. Hofmannsthal'', pp. 154-155)
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*[...] «No, no, egli non voleva la felicità e la sazietà degli altri, – dirà [[Hermann Hesse|Hesse]] nel ''Narziß'', − dei compratori di pesce, dei cittadini, della gente affaccendata. Che il diavolo se li portasse! Ah, quel viso pallido e balenante, quella bocca piena, matura, d'estate avanzata, sulle cui labbra grevi era passata come una folata di vento e come un raggio di luna, quell'indefinibile sorriso di morte.»<ref>Da Herman Hesse, ''Narciso e Boccadoro'', traduzione di C. Baseggio in ''Opere Scelte di Hermann Hesse'', 5 vv., a cura di L. Mazzucchetti, Milano, 1961, III, p. 509. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 310.</ref> <br/>Nessuno più di Hesse ha saputo leggere in questo sorriso l'ermetica corrispondenza di due volti, quello dell'Apollo di Veio e del [[Budda|Budda]]. Essi affiorano dai densi chiarori di un sole autunnale filtrato nelle pagine indimenticabili del ''Klingsor'', sigillando in sé non l'agonia tempestosa di un forzato distacco, ma l'occulto presagio di un infinito ritrovamento, dove tutto è «in divenire, tutto in metamorfosi, tutto pervaso dall'anelito di divenire uomo, di divenir stella, tutto pervaso di nascita e di disfacimento, pieno di Dio e di morte».<ref>Da Hermann Hesse, ''Klingsor letzter Sommer'', in ''Gesammelte Werke'', 12 vv., Frankfurt a. M., 1970, V, pp. 322-323. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 310.</ref> (da ''Klingsor o la «musica del mutamento»'', p. 310)
*«Nell'attimo fuggevole di un volto umano si sprigiona per l'ultima volta l'aura dalle prime [[fotografia|fotografie]]. È ciò che costituisce la loro bellezza carica di malinconia e inconfrontabile con qualsiasi altra.»<ref>Da [[Walter Benjamin]], ''L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica'', traduzione di E. Filippini, Torino, 1966, p. 28; ''Das kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit,'' in ''Gesammelte Schriften,'' 6 vv., a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a. M., 1972 sgg., p. 23. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 316.</ref> [...] La malinconica bellezza «inconfrontabile con qualsiasi altra» non era certo presente nella pace contemplativa dell'aura, ma lo è solo quando l'aura ''si sta estinguendo''. È in questo momento che la sua labilità diventa quella stessa della bellezza e se v'è ancora un brivido dell'irripetibile, questo nasce dalla coscienza di una perdita irrevocabile, dalla magia di un tramonto che non potrà più essere goduto ma che proprio per questo è carico di una sconfinata seduzione. (da ''Metacritica dell'aura'', p. 316)
*L'obiettività a cui tende il grottesco non è quella dell'umorismo, per il quale l'ideale viene confrontato col reale al punto che quest'ultimo viene esibito ''ad oculos'' nella sua cruda «nullità» (''Nichtigkeit''<ref>Da [[Frank Wedekind]], ''Der Witz und seine Sippe'', in ''Werke in drei Bänden'', a cura di M. Hahn, Berlin und Weimar, 1969, III (''Prosa''), p. 273. {{cfr}} ''Gli schiavi di Efesto'', nota a p. 336.</ref>). È invece la crudeltà del ''Witz'', dove i contraddittori devono coesistere, a impedire il recupero, anche soltanto formale, di ogni superiore umorismo, e quindi a problematizzare radicalmente la possibilità utopica di una natura redenta dalla contaminazione umano-sociale. (da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 336)
*[...] l'enigma del ''pathos'' vitale non poteva essere forzato in alcun altro modo se non attraverso una discesa nella profondità umana della miseria e nel dolore. Ma questo era necessario «perché – come scrisse [[Karl Kraus]] – in nessuno come in lui le strisce sanguinose lasciate dallo staffile dell'esperienza si sono trasformate in solchi aperti alla semina della poesia».<ref>Da Karl Krauss, ''Il vaso di Pandora'', traduzione italiana di Roberto Calasso, in Frank Wedekind, ''Lulu'', traduzione italiana di E. Castellani, Milano, 1972, p. 24. {{Cfr}} ''Gli Schiavischiavi di Efesto'', nota a p. 338.</ref> (da '' Dall'enigma-vita alla pantragedia grottesca'', p. 338)
*L'umorismo [[Pirandello|pirandelliano]] smonta la convenzione logica, servendosi della logica, la convenzione sociale, servendosi delle figure della falsa coscienza, , ''distrugge la maschera con la maschera'': quella della protettiva e rassicurante costruzione logica, per esempio, con la maschera della follia, per la quale la logica «vola come una piuma». In questo sta il percorso straniante di una scrittura nella quale i discorsi simmetricamente antagonisti, le antilogie, diventano corpi lottanti, corpi avvinghiati nella contraddizione. (da ''L'umorismo pirandelliano e la scrittura teatrale come entelechia drammatica'', p. 350)
*[...] [[Friedrich Dürrenmatt|Dürrenmatt]] mira a innescare sul terreno di una cosciente mistificazione, che dalla manipolazione dei ''topoi'' drammatici trasferiti in moduli ''kitsch'' perviene alla contraffattura parodistica calcolata ''more geometrico'', un potenziale dirompente analogo a quello della «crisi» dialettica. In essa il radicalismo teologico-nichilista oppone il «no» dell'uomo e di un mondo inesorabilmente condannato, al «no» di Dio, fino alla loro consumazione, laddove il «colmo del peccato» diventa «il trionfo della grazia». (da ''L'incognita teologica nella tragicommedia di Dürrenmatt'', p. 359)
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==''Lo scriba del caos''==
*Il ricorrente rifiuto nietzscheano delle «idee moderne» non deve essere frainteso: la modernità per [[Nietzsche]] è ''più profonda'' di quanto non sembri a chi la idoleggia in termini di ottimistico progresso e di armonia morale. La modernità è sempre il riflesso di una reinterpretazione dell'antico per cui ci si può avvicinare alla sua essenza solo percorrendo una via tortuosa, un ''Um-weg'', come direbbe [[Walter Benjamin|Benjamin]]. Per questo l'«inattuale» è la prima «maschera» del filosofo che sarà poi l'oscuro trivellatore, «l'essere sotterraneo» di ''Aurora'', il divinatore d'enigmi, il «Dioniso crocifisso», nel cui sorriso straziato si cela l'ambigua complicità, la tragica solidarietà di decadenza e superamento della decadenza. Nietzsche traccia la carta nautica di un periplo temerario che segue anche i contorni del 'continente' sommerso.(da ''Interpretare Nietzsche'', pp. 45-46)
*{{NDR|Il concetto del tragico in Nietzsche}} [...] Se così è, se il terreno del '"tragico'" è altro da quello di una razionalizzazione logocentrica o di una conciliazione dialettica, in senso hegeliano, della contraddizione, risulta evidente che la difficoltà di concettualizzare il tragico diventa essa stessa una prospettiva di lettura nella quale quest'ultimo emerge come tensione irrisolvibile, come gioco debordante e dislocante i significati, come eccesso, come infrenabile movimento estatico. Nel tragico sarebbe da vedersi dunque una preformazione di quella «magia degli estremi» a cui si riconduce il movimento trascendente-rovesciante della filosofia nietzscheana. (da ''Parte prima, Cap. II, Fisiologia del '"tragico'" '', p. 93)
*L'unità della ''physis'' (che sarà per il Nietzsche maturo la ''dionysische Welt'' della doppia voluttà creativa-distruttiva) sta alla base della stessa conciliazione degli istinti apollineo e dionisiaco nella tragedia: questi istinti, infatti, possono essere concepiti sul piano della loro trascrizione metaforica come i lottatori di [[Eraclito]]. I lottatori sono le coppie dei contrari che si fronteggiano e si provocano ad una eterna contesa sulla grande arena cosmica. Il loro confronto è anche un consentire insieme: essi si ghermiscono e si serrano l'uno all'altro per soggiogarsi, ma sono solidali nell'abbraccio di una lotta che li divide e al tempo steso li unisce. (da ''Parte prima, Cap. II, Fisiologia del '"tragico'" '', pp. 101-102)
*Il rovesciamento di un opposto nell'altro, come la μεταβολή di Eraclito, non è sussumibile nella logica; di qui la vicinanza di quest'ottica alla dialettica [[Søren Kierkegaard|kierkegaardiana]] del '"salto qualitativo'", per la fondamentale riduzione, comune ad entrambi, della mediazione a paradosso e per la disintegrazione dell'identità logico-metafisica in cui si realizzava, per [[Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]], la "concretezza" razionale speculativa dell'Idea.<br/> Mentre per Hegel la scissione (''Entzweiung'') è la fonte del «bisogno della filosofia»,<ref>Da G. W .F. Hegel, ''Differenz des Fichteschen und Schellingschen System'', in ''Werke'', Berlin, 1832, I, p. 172. {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota di F. Masini a p. 114.</ref>» per Nietzsche è la filosofia che identificandosi nel movimento '"estatico'" della vita ''produce'' la scissione, esaspera i contrasti, impedendo perennemente una dialettica ''Aufhebung'' e una conciliazione assoluta.[...] (da ''Parte Seconda, cap. I, Per una filosofia degli estremi'', p. 114)
*È la «magia dell'estremo» l'elemento alchemico, 'mercuriale', del nichilismo nietzscheano e al tempo stesso il catalizzatore d'un processo sperimentale di esaustione del nichilismo stesso. Infatti è questa magia ad evocare una posizione estrema per superarla non già attraverso una mediazione, bensì attraverso un suo '"assoluto'" rovesciamento nell'estremo opposto: sta in ciò la tensione di un '"confronto con il nulla'" concepito come oltrepassamento. Nel nichilismo, in questo senso, si nasconde una comprensione della crisi che svolge fino in fondo tutte le sue contraddizioni esasperandole sino a un limite insostenibile, sino a provocare eccentricamente il suo '"trascendimento'". (da ''Parte Seconda, cap. I, Per una filosofia degli estremi'', p. 121)
*L'autodistruzione è l'ultimo atto del nichilismo attivo che si autodistrugge in quanto la volontà di distruzione, enormemente potenziata, si abbatte su se stessa: è di qui che Nietzsche si presenta come Zarathustra, «colui che va oltre»: «Ich liebe die – dirà nello ''Zarathustras Vorrede'' – welche nicht zu leben wissen, es sei denn als Untergehende, denn es sind die Hinübergehenden»<ref>«Io amo coloro che non riecono a vivere se non come tramontanti, poiché sono essi quelli che vanno oltre»,. daDa [[Friedrich Nietzsche]], ''Also sprach Zarathustra'', ''Schlechta, Werke in drei Bänden'', II, p. 282 (4). Friedrich Nietzsche,in ''Werke in drei Bänden'', a cura di K. Schlechta, München, Hanser, ovv. Darmstadt (Wiss. Buchges.), s.d. (1954 ss.) (Index-Band). {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota di Ferruccio Masini a p. 157.</ref> (da ''Parte seconda, Cap. terzo, il ''Freigeist'' e la volontà del nulla'', p. 157)
*[...] Proprio l'atteggiamento anti-classico, con cui gli opposti diventano i termini diadici di una tensione esistenziale fino ad una tragica identificazione («Dioniso contro il Crocifisso» diventerà 'Dioniso crocifisso'), costituisce lo stigma profondo di una filosofia in cui la «magia degli estremi» si risolve nella magia di una lotta a cui non è risparmiato l'orrore d'un sanguinoso campo di battaglia, di una atroce autodafé. [...] Sia in [[Jean Paul]]<ref>Il riferimento è a Jean Paul, ''Discorso di Cristo morto dall'alto dello universo, in cui si afferma che Dio non è'', in app. a F. Masini, ''Nichilismo e religione in Jean Paul'', Bari, 1974, pp. 107 ss. [Jean Paul, ''Rede des toten Christus'', in ''Werke'', a cura di N. Miller e G. Lohmann, 6 voll., München, 1959-1963, II, pp. 266-271]. {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota a p. 172.</ref> che in Nietzsche, la follia centrifuga in cui si disgrega l'edificio cosmico, la polverizzazione ontologica, la rottura di tutte le coordinate discendono dall'assenza di un centro di gravità costituito appunto da un ''Summum Ens''. (da ''Parte seconda, cap. quinto, L'autodafè del nichilismo'', p. 171)
*[...] In questo istante di estatica sospensione («Affocato meriggio dorme sui campi. Non cantare! Taci!»), sacro al sonno del dio [[Pan]] che si riposa dalla caccia, la natura stessa sembra sepolta in un misterioso, impenetrabile sopore: i venti sono caduti e il sole, a perpendicolo sull'orizzonte, è come un'alta fiamma pietrificata. A questo punto si tronca repentinamente lo scorrere del tempo («Non se n'è volato via il tempo?») e Zarathustra sprofonda nel pozzo dell'eternità («Fiel ich nicht – horch! in den Brunnen der Ewigkeit?») ed ecco che emerge silenziosamente il mondo dalla sua perfezione, o meglio quella eternità, calata nella profondità del mondo, che costituisce la sua perfezione («Die Welt ist vollkommen»)<ref>Da da[[Friedrich Nietzsche]], ''Also sprach Zarathustra''; ''Schlechta, Werke in drei Bänden'', II, p. 514 (''Mittags'') {{Cfr}} ''Lo scriba del caos'', nota a p. 200. </ref>. Gli stessi attributi di questa perfezione, «maturo» e «rotondo» («Non era infatti il mondo perfetto, rotondo e maturo?», rimandano alla perfezione del circolo, in cui il movimento è conchiuso in se stesso e non si dispiega più in una progressione indefinita. L'anima e il mondo sono ora immersi in una trasognata mescolanza che ha lo stupore del possesso. (da ''Parte seconda, cap. settimo, Il '"mezzodì'" come metafora cosmico-estatica della eternità'', pp. 200-201)
*[...] E tuttavia è nella disciplina ritmico-musicale della danza – questo incatenamento del demone – che sembra riflettersi l'immagine stessa del «ritorno» come quella di un fluido dominio del movimento che incatena il divenire senza distruggerlo. La danza come armonia sensibile, in cui il mondo ritorna a sé con tutti i suoi esseri viventi gioiosamente restituiti al labirinto del caso, diventa in Nietzsche la prefigurazione di una esistenza nuovamente divinizzata, di una φύσις ancora piena di dèi [...] (da ''Parte terza, Cap. primo, L'uomo che diviene'', p. 246)
*[...] {{NDR|In Nietzsche}} La malattia '"apre'" le antinomie radicalizzandole, ma al tempo stesso '"dischiude'" la possibilità di quel trascendimento estatico che rovescia gli opposti, l'estremo nell'estremo, l'assoluta afflizione-costrizione, la terribile ''Not'' dell'«uomo più brutto» nella ''Wende der Not'', la malattia mortale nella «superiore salute». [...] Mentre la trasfigurazione classica (si pensi al [[Lessing]] del ''Laocoonte'') svuota il tormento tragico nella compostezza del bello, in Nietzsche il volto di Dioniso «signore delle antitesi» (''Herr der Gegensätze''), irradia la sua insondabile gioia attraverso la maschera atroce di una sofferenza indicibile. (da ''Parte quarta , cap. primo, Saggiare, tentare, provocare. Nietzsche e Th. Mann'', pp. 305-306)
*La conversione, sia pure mitica, delle contraddizioni non mira, in realtà, ad eliminarle o a mascherarle: la regressione può essere una fuga dal sociale, ma può anche costituire il sintomo di una radicalizzazione delle contraddizioni che non possono essere più in alcun modo dissimulate o esorcizzate. Il rifiuto dell'umanesimo come cardine di un mondo di valori consacrato dal potere borghese ha nella sua intima sostanza, questo significato. «Il caos non si lascia truccare» ed è proprio il motivo dell'inesorabilità del caos a legare strettamente Nietzsche all'[[Espressionismo]]. (da ''Parte quarta, cap. II, L'uomo senza contenuto. Nietzsche e l'espressionismo''. p. 319)