Silvio D'Arzo: differenze tra le versioni

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*Non so se sia eccesso o mancanza di [[sensibilità]], ma è un fatto che le grandi tragedie mi lasciano quasi indifferente. Ci sono sottili dolori, certe situazioni e rapporti, che mi commuovono assai di piú di una città distrutta dal [[fuoco]]. <ref>daDa ''Due vecchi'', p. 67.</ref>
*Ma noi, il mio povero Enrico, abbiamo piú di sessant'anni e siam soli: oggi ho dovuto convincermi che l'essere o il considerarsi felici è un lusso che ormai non ci possiamo permettere piú: cosí come la dignità di una volta, la fierezza e tante altre cose di quel tempo. Noi abbiamo tre, quattro anni da vivere ancora: forse — Dio non voglia — anche cinque: e ho pensato che per noi non c'era altro dovere che questo: di potere aspettare, giorno per giorno, la fine. [...] <br>Tutto ciò è triste, povero Enrico: tutto ciò è cosí triste ch'io non riesco a trovare nessuna parola di speranza o di scusa. Sono le due e dormi ancora. Hai il respiro piuttosto pesante. E non sai ancora niente.<ref>daDa ''Due vecchi'', p. 78.</ref>
*A sinistra, lontano, s'alzava un'alba color neve sporca: l'ora in cui agli angoli delle vie e contro i vetri, assieme agli insetti morti e alle bestiole distrattamente uccise nel buio e alle spazzature e ai rifiuti, si va raccogliendo tutto il [[grigio]] carico d'infamie, d'indifferenze, di stanchezza, di disperazione, di compromessi ed oblii di un'intera giornata nel mondo.<ref>daDa ''Un minuto così'', p. 92.</ref>
*Non ci andai. E tre giorni piú tardi, quando lo rividi a un trenta passi da me con quella sua aria un po' oscena, non desiderai che sparirgli davanti, e imbucai il primo viottolo. E cosí il giorno dopo. E cosí anche oggi, che c'è passato di mezzo qualcosa come un tre anni e anche piú. E cosí prevedo che dovrà essere sempre, fino a quando non verremo ancora a trovarci, in un'alba color di neve sporca, dopo una festa paesana, amici testimoni di un mondo privo di pietà, di memoria e speranza.<br>Tutto questo è piuttosto ridicolo, no?<ref>daDa ''Un minuto così'', p. 93.</ref>
*Se ci fu mai poema che ricostruì, che 'fermò' – non rimpianse, o ricordò, o commentò, o tentò idealizzare secondo il vezzo lunare di ieri – quei nostri giorni, e sensazioni, e colori, e proporzioni, e desideri e maschi rilievi e ingenuo amore di stragi e innocenti ferocie e ogni altro aspetto di quei nostri giorni, è appunto il libro di [[Robert Louis Stevenson|Stevenson]]. {{NDR|''[[Robert Louis Stevenson#L'isola del tesoro|L'isola del tesoro]]''}}<ref>Citato in Domenico Scarpa, ''L'arcipelago'', prefazione a Robert Louis Stevenson, ''L'isola del tesoro'', traduzione di Lilla Maione, Universale Economica Feltrinelli, X ed., Milano, 2014, p. 16.</ref>
 
==''Casa d'altri''==
===[[Incipit]]===
::::::::::::::::::<small>– CosíCosì in treno non ci si arriva, lassúlassù... <br/>– No. E neanche in corriera.<br>– ... <br>–Vi ci vogliono tre ore di mulo. E poi non d'inverno, s'intende. E neanche quando le nevi si sciolgono. Allora, non ce la fareste nemmeno con cinque.<br>– Beh... e suppongo che avrà pure un nome.<br>– , mi pare di . Dev'essere l'unica cosa che abbia.</small>
 
All'improvviso dal sentiero dei pascoli, ma ancora molto lontano, arrivò l'abbaiare di un cane.<br>Tutti alzammo la testa.<br>E poi di due o di tre cani. E poi il rumore dei campanacci di bronzo.<br>Chini attorno al saccone di foglie, al lume della candela, c'eravamo io, due o tre donne di casa, e piú in là qualche vecchia del borgo. Mai assistito a una lezione di anatomia? Bene. La stessa cosa per noi in certo senso. Dentro il cerchio rossastro del moccolo, tutto quel che si poteva vedere erano le nostre sei facce, attaccate una all'altra come davanti a un presepio, e quel saccone di foglie nel mezzo, e un pezzo di muro annerito dal fumo e una trave annerita anche piú. Tutto il resto era buio.