Galileo Galilei: differenze tra le versioni

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*Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità. Ma io, non vi domando del nome, ma dell'essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto piú di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro, eccetuatone il nome, che a questa è stato posto e fatto familiare e domestico per la frequente esperienza che mille volte il giorno ne veggiamo; ma non è che realmente noi intendiamo piú, che principio o che virtú sia quella che muove la pietra in giú, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettoché (come ho detto) il nome, che piú singulare e proprio gli abbiamo assegnato di ''gravità'', doveché a quello con termine piú generico assegnano ''virtú impressa'', a quello diamo ''intelligenza'', o ''assistente'', o ''informante'', ed a infiniti altri moti diamo loro per cagione la ''natura''. (giornata prima, p. 58; citato in Koyré 1979, p. 248-9)
*Nelle prove naturali non si deve ricercare l'esattezza geometrica. (giornata prima, p. 38; citato in Koyré 1979, p. 287)
*Che i {{sic|Pittagorici}} avessero in somma stima la scienza de i numeri, e che Platone stesso ammirasse l'intelletto umano e lo stimasse partecipe di divinità solo per l'intender egli la natura de' numeri, io benissimo lo so, né sarei lontano dal farne l'istesso giudizio.<ref>In margine: ''Misteri de numeri Pitagorici, favolosi''.</ref> (giornata prima, p. 35; citato in Koyré 1979, p. 292)
*''Extensive'', cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, l'intender umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perché [[mille]] rispetto alla infinità è come un zero; ma pigliando l'intendere ''intensive'', in quanto cotal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, dico che l'intelletto umano ne intende alcune cosí perfettamente, e ne ha cosí assoluta certezza, quanto se n'abbia l'istessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l'aritmetica, delle quali l'intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di piú, perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall'intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore. (giornata seconda, p. 129; citato in Koyré 1979, p. 292)
*Io vi dico che quando uno non sa la verità da per sé, è impossibile che altri gliene faccia sapere; posso bene insegnarvi delle cose che non son né vere né false, ma le vere, cioè le necessarie, cioè quelle che è impossibile ad esser altrimenti, ogni mediocre discorso o le sa da sé o è impossibile che ei le sappia mai: e cosí so che crede anco il signor Salviati. (giornata seconda, p. 183; citato in Koyré 1979, p. 294)