Amleto: differenze tra le versioni

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*{{NDR|A Ofelia}} Mentre passeggi, leggi questo libro. | L'ostentazione d'un tale esercizio | può dar colore alla tua solitudine... | Troppo spesso noi siamo biasimati | in questo, ma è provato, arciprovato: | viso compunto e atteggiamento pio | riescono ad addolcire il diavolo.<ref name=v>Citato in ''[[V per Vendetta]]''.</ref> (Polonio: atto III, scena I; traduzione di Goffredo Raponi, LiberLiber)
*''To be, or not to be, that is the question: | Whether 'tis nobler in the mind to suffer | The slings and arrows of outrageous fortune, | Or to take arms against a sea of troubles, | And, by opposing, end them. To die, to sleep… | No more, and by a sleep to say we end | The heartache and the thousand natural shocks | That flesh is heir to: 'tis a consummation | Devoutly to be wished. To die, to sleep. | To sleep, perchance to dream. Ay, there's the rub, | For in that sleep of death what dreams may come | When we have shuffled off this mortal coil | Must give us pause. There's the respect | That makes calamity of so long life, | For who would bear the whips and scorns of time, | Th'oppressor's wrong, the proud man's contumely, | The pangs of despis'd love, the law's delay, | The insolence of office, and the spurns | That patient merit of th'unworthy takes, | When he himself might his quietus make | With a bare bodkin? Who would fardels bear, | To grunt and sweat under a weary life, | But that the dread of something after death, | The undiscovered country from whose bourn | No traveller returns, puzzles the will, | And makes us rather bear those ills we have | Than fly to others that we know not of? | Thus conscience does make cowards of us all, | And thus the native hue of resolution | Is sicklied o'er with the pale cast of thought, | And enterprises of great pitch and moment | With this regard their currents turn awry, | And lose the name of action.'' (Amleto: atto III, scena 1)
**[[Essere]], o non essere, ecco la questione: | se sia più nobile nella mente soffrire | i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa fortuna | o prendere le armi contro un mare di affanni | e, contrastandoli, porre loro fine. Morire, dormire… | nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine | al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali | di cui è erede la carne: è una conclusione | da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. | Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo, | perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire | dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale | deve farci esitare. È questo lo scrupolo | che dà alla sventura una vita così lunga. | Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, | il torto dell'oppressore, la contumelia dell'uomo superbo, | gli spasimi dell'amore disprezzato, il ritardo della legge, | l'insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo | che il merito paziente riceve dagli indegni, | quando egli stesso potrebbe darsi quietanza | con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli, | grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, | se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, | il paese inesplorato dalla cui frontiera | nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà | e ci fa sopportare i mali che abbiamo | piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? | Così la coscienza ci rende tutti [[viltà|codardi]], | e così il colore naturale della risolutezza | è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, | e imprese di grande altezza e momento | per questa ragione deviano dal loro corso | e perdono il nome di azione.
**Essere o non essere, questo è il problema. È forse più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna, o imbracciar l'armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire per dormire. Nient'altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest'è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare. È proprio qui l'ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci siamo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga! Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell'oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell'amore non corrisposto, gli indugi della legge, l'insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale? chi s'adatterebbe a portar cariche, a gèmere e sudare sotto il peso d'una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte – quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore – confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla. A questo modo, tutti ci rende vili la coscienza, e l'incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza, devìano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d'azione. (traduzione di Gabriele Baldini)
*Pur se tu sia casta come il ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia. Vattene in convento. (Amleto: atto III, scena I)