Vincenzo Cardarelli: differenze tra le versioni

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==Citazioni su Vincenzo Cardarelli==
*Ai tavolini di via Veneto i letterati chiamavano [[Alberto Lattuada|Lattuada]] la «piccola vendetta lombarda», [[Alberto Moravia]] era l'Amaro Gambarotta. Vincenzo Cardarelli, che in piena estate indossava tre cappotti uno sopra l'altro, «il più grande poeta italiano morente». ([[Dino Risi]])
*Da Babington, a piazza di Spagna, fra le undici e mezzogiorno [...] molti giovani venivano a trovarlo. Non si può nemmeno dire per quanto mi ricordi, che parlavano a lui; parlavano piuttosto fra loro, in presenza di lui, che ogni tanto interveniva con una parola risentita e pungente. Ma non era di malumore. L’ascoltavoL'ascoltavo rispettosamente, senza mai osare di rivolgergli direttamente la parola se non per salutarlo quando arrivavo e quando andavo via. Non soltanto sapevo, ma sentivo di trovarmi vicino a un poeta, e questo era tanto. La sua ritrosia, la sua povertà, la sua feroce schiettezza coincidevano perfettamente con l’ideal'idea che mi facevo del poeta italiano. ([[Orsola Nemi]])
*Era uno zingaro abbandonato che scopriva dentro di sé i ritmi classici, e d'intorno gli echi dissolti degli antichi imperi. ([[Piero Buscaroli]])
*Poter ancora essere “intontiti”"intontiti" da Cardarelli sarebbe una rara e impossibile felicità. Quelli che ci intontiscono oggi, sono peggio dei cani. Latrati, che crediamo canti gregoriani. ([[Orsola Nemi]])
*''Scendo nelle ore d’afad'afa | sulla stretta cornice d’ombra | dei palazzi di Porta Pinciana. | Balzo nel sole dentro la sua tana. | Poggiavi le braccia stecchite | sulla lastra di marmo, seduto | davanti a un bicchiere, | l'ultimo che hai bevuto. | Immobile, muto | guardavi contro l'intonaco della via | le rapide ombre, i lampi | della grazia fugace, | la liquida danza. | Avvolto nelle penne spiavi | il giorno senza speme, udivi | il riso, i patti osceni dei vivi. | Qui, in questa grotta, | parlasti serio agli amici | come si parla ai morti.'' ([[Leonardo Sinisgalli]])
*Da Babington, a piazza di Spagna, fra le undici e mezzogiorno [...] molti giovani venivano a trovarlo. Non si può nemmeno dire per quanto mi ricordi, che parlavano a lui; parlavano piuttosto fra loro, in presenza di lui, che ogni tanto interveniva con una parola risentita e pungente. Ma non era di malumore. L’ascoltavo rispettosamente, senza mai osare di rivolgergli direttamente la parola se non per salutarlo quando arrivavo e quando andavo via. Non soltanto sapevo, ma sentivo di trovarmi vicino a un poeta, e questo era tanto. La sua ritrosia, la sua povertà, la sua feroce schiettezza coincidevano perfettamente con l’idea che mi facevo del poeta italiano. ([[Orsola Nemi]])
 
 
==Bibliografia==