Georges Bataille: differenze tra le versioni

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*L'essenza delle sue opere [di De Sade] è la distruzione: non solamente la distruzione degli oggetti, delle vittime messe in scena [...] ma anche dell'autore e della sua stessa opera. (p. 100)
*È vero che i suoi libri differiscono da ciò che abitualmente è considerato letteratura come una distesa di rocce deserte, priva di sorprese, incolore, differisce dagli ameni paesaggi, dai ruscelli, dai laghi e dai campi di cui ci dilettiamo. Ma quando potremo dire di essere riusciti a misurare tutta la grandezza di quella distesa rocciosa? [...] La mostruosità dell'opera di [[Donatien Alphonse François de Sade|Sade]] annoia, ma questa noia stessa ne è il senso. (pp. 106-107)
*[[Marcel Proust|Proust]], facendoci conoscere la sua esperienza della vita erotica, ci ha offerto un aspetto intellegibile di un tale avvincente gioco di opposizioni. [...] Sembra che si possa cogliere il [[Bene e male|male]], ma solo nella misura in cui il [[Bene e male|bene]] può esserne la chiave. Se l'intensità luminosa del Bene non concedesse la sua tenebra alla notte del Male, il male non avrebbe più la sua attrattiva. È una verità difficile: colui che la intende sente rivoltarsi qualcosa in sé. Sappiamo tuttavia che gli oltraggi più forti alla sensibilità provengono da contrasti [...] La felicità senza la sventura che si lega ad essa come l'ombra alla luce sarebbe oggetto di una immediata indifferenza. Questo è tanto vero, che i romanzi descrivono senza posa la sofferenza e quasi mai la soddisfazione. Insomma, il pregio della [[felicità]] consiste nel non essere frequente: se fosse facile, verrebbe sdegnata, e associata alla noia [...] la verità non sarebbe quella che è, se non si ponesse generosamente contro il falso. (pp. 127-131)
*[[Franz Kafka|Kafka]]... Capì che la letteratura gli rifiutava la soddisfazione attesa, e ''questo egli voleva'': ma non cessò di scrivere. Sarebbe anzi impossibile dire che la letteratura lo deluse. (p. 138)
*La forza silenziosa e disperata di Kafka fu questo non voler contestare l'autorità che gli negava la possibilità di vivere, fu l'allontanarsi dall'errore comune che, di fronte all'autorità, implica il gioco della rivalità. Se colui che rifiutava la costrizione alla fine è vincitore, diviene a sua volta, per se stesso e per gli altri, simile a coloro che ha combattuto, a coloro che si incaricano di esercitare la costrizione. (p. 145)