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*Per quanto sia tortuoso, il processo di trauma mette le collettività in grado di definire nuove forme di responsabilità morale e di indirizzare il corso dell'azione politica. Questo processo di creazione del trauma, contingente e illimitato, e l'assegnazione di responsabilità collettive ad esso collegata, è rilevante per le società occidentali così come lo è per quelle non-occidentali.<br>I traumi collettivi non hanno limitazioni geografiche o culturali. La teoria del trauma culturale si applica, senza pregiudizio, a qualsiasi situazione in cui le società hanno, o non hanno, costruito e vissuto eventi culturali traumatici, e ai loro sforzi di descrivere le lezioni morali che si può dire scaturiscano da essi. (cap. II, p. 162)
*Da un punto di vista empirico, vorrei suggerire che la questione non riguarda tanto l'opposizione tra valori e interessi o la comparazione tra l'avere e il non avere valori. Ci sono sempre valori «buoni» e «cattivi». In termini sociologici, i valori buoni possono venire cristallizzati solo in relazione ai valori di cui si ha paura o rifiuto. Questo non significa suggerire che i valori debbano essere relativizzati in senso morale, cioè che essi possano o debbano essere, nei termini di Nietzsche, transvalorizzati o invertiti. Significa, in altre parole, insistere che gli scienziati sociali riconoscano che la costruzione sociale del male è stata, e rimane, empiricamente e simbolicamente necessaria per la costruzione sociale del bene. (cap. III, p. 173)
*Il [[Bene e male|male]], da semplicemente disgustoso ad assolutamente brutale, è profondamente coinvolto nella costruzione simbolica e nella conservazione istituzionale del [[Bene e male|bene]]. Per questo lo status istituzionale e culturale del male deve essere continuamente rivitalizzato. La linea che distingue il sacro dal profano deve essere tracciata e ritracciata ripetutamente; questa demarcazione deve mantenere la sua vitalità, o tutto sarà perduto. [...] Attraverso fenomeni come gli scandali, il panico morale, le punizioni pubbliche e le guerre, le società forniscono le occasioni per avere di nuovo esperienza e quindi ricristallizzare i nemici del bene. Esperienze violente di orrore, repulsione e paura creano le opportunità per la purificazione che mantiene viva quella che Platone chiamava «la memoria della giustizia». (cap. III, p. 179)
*Nella mia impostazione, la punizione è il mezzo sociale attraverso cui le pratiche degli attori, dei gruppi e delle istituzioni sono messe in una relazione significativa ed effettiva con la categoria di male. È attraverso la punizione che il male viene naturalizzato. La punizione «essenzialízza» il male, facendolo apparire come se emergesse dal comportamento e dalle identità effettive piuttosto che come se fosse culturalmente e socialmente imposto ad esse. (cap. III, p. 180)
*Le società moderne e postmoderne sono sempre state assediate da un fondamentalismo, sia religioso che secolare, socialmente fondato. Questi moralisti vorrebbero ripulire l'immaginazione culturale dall'eros e dalla violenza; condannano l'aperta discussione di azioni e desideri trasgressivi nelle scuole e in altri luoghi pubblici; cercano di punire e a volte perfino incarcerare coloro che compiono crimini «senza vittime» sulla base del ragionamento che essi violano la coscienza morale collettiva.<br>L'ironia è che, senza l'immaginazione e l'identificazione sociale del male, non ci sarebbe possibilità di legame con il bene che questi moralisti sostengono così fortemente. Più che mettere a repentaglio la moralità convenzionale, la trasgressione la sottolinea e la rivitalizza. [[Georges Bataille|Bataille]], che James Miller chiamò il «filosofo maledetto» (''philosophe maudit'') della vita intellettuale francese, non cessò mai di insistere su questo punto. (cap. III, p. 184)