Ignazio Silone: differenze tra le versioni
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===Citazioni===
*Ah, com'è miserabile un'intelligenza che non serve che a fabbricare alibi per far tacere la coscienza. (cap. III)
*«Si vive nel provvisorio» disse. «Si pensa che per ora la [[vita]] va male, per ora bisogna arrangiarsi, per ora bisogna anche umiliarsi, ma che tutto ciò è provvisorio. La vera vita comincerà un giorno. Ci prepariamo a morire col rimpianto di non aver vissuto. A volte quest'idea mi ossessiona: si vive una sola volta e quest'unica volta si vive nel provvisorio, nella vana attesa del giorno in cui dovrebbe cominciare la vera vita. Così passa l'esistenza. (cap. III, p. 66)
*«La [[libertà]] non è una cosa che si possa ricevere in regalo
*Abbandonò la [[Chiesa]] non perché si fosse ricreduto sulla validità dei suoi dogmi e l'efficacia dei sacramenti, ma perché gli parve che essa s'identificasse con la società corrotta, meschina e crudele che avrebbe dovuto invece combattere.▼
*«L'asino è ancora fortunato» disse Magascià. «Un asino di solito lavora fino a ventiquattro anni, un mulo fino a ventidue, un cavallo fino a quindici. Ma l'uomo disgraziato lavora fino a settanta e più. Perché Dio ha avuto pietà degli animali e non dell'uomo? D'altronde, Lui ha il diritto di fare quello che gli pare.» (cap. VI)
*«L'invidia qui è nell'aria» disse Magascià. (cap. VI)
* «Arriva sempre un'età» egli disse «in cui i giovani trovano insipido il pane e il vino della propria casa. Essi cercano altrove il loro nutrimento. Il pane e il vino delle osterie che si trovano nei crocicchi delle grandi strade, possono solo calmare la loro fame e la loro sete. Ma l'uomo non può vivere tutta la sua vita nelle osterie» (p. 223)▼
▲*Abbandonò la [[Chiesa]] non perché si fosse ricreduto sulla validità dei suoi dogmi e l'efficacia dei sacramenti, ma perché gli parve che essa s'identificasse con la società corrotta, meschina e crudele che avrebbe dovuto invece combattere. (cap. IX)
*«[...] Carne avvezza a [[sofferenza|soffrire]], dolore non sente.»<br />«Ho l'impressione» disse don Paolo «che i tempi diventeranno sempre più duri e che solo uomini di quella sorta sopravviveranno. Per la ragione detta ora da lei: è carne avvezza a soffrire.» (cap. X, p. 161)
*«[[Brindisi dai libri|Alla salute]]» disse don Paolo ridendo. «Bevi, frate, sta' allegro. Faremo una rivoluzione che fregherà il [[demonio]], quel vecchio sporcaccione.» (cap. XI)
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*In ogni dittatura un solo uomo, anche un piccolo uomo qualsiasi, il quale continui a pensare con la propria testa, mette in pericolo l'ordine pubblico. Tonnellate di carta stampata propagano le parole d'ordine del regime; migliaia di altoparlanti, centinaia di migliaia di manifesti e di fogli volanti distribuiti gratuitamente, schiere di oratori su tutte le piazze e i crocicchi, migliaia di preti dal pergamo ripetono fino all'ossessione fino all'istupidimento collettivo, quelle parole d'ordine. Ma basta che un piccolo uomo, un solo piccolo uomo dica NO, e quel formidabile ordine granitico è in pericolo. (p. 228)
*La forza della [[dittatura]] è nei muscoli, non nel cuore. (p. 253)
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*In ogni tempo e in qualunque società l'atto supremo dell'anima è di [[dare|darsi]], di perdersi per trovarsi. Si ha solo quello che si dona. (p. 372)
*''Cristina'' egli scrisse ''è vero che si ha quello che si dà; ma a chi dare e come dare?<br>''Il nostro amore, la nostra disposizione al sacrificio e all'abnegazione di noi stessi fruttificano solo se portati nei rapporti con i nostri simili. La moralità non può vivere e fiorire che nella vita pratica. Noi siamo [[responsabilità|responsabili]] anche per gli altri.<br>Se applichiamo il nostro sentimento al male che regna intorno a noi, non potremo rimanere inattivi e consolarci con l'attesa di un mondo ultraterreno. Il [[male]] da combattere non è quella triste astrazione che si chiama il Diavolo; il male è tutto ciò che impedisce a milioni di uomini di umanizzarsi. Anche noi ne siamo direttamente responsabili...<br>''Non credo che ci sia, oggi, un'altra maniera di [[salvezza|salvarsi]] l'anima. Si salva l'uomo che supera il proprio egoismo d'individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima dall'idea di rassegnazione alla malvagità esistente''.<br>''Cara Cristina, non bisogna essere ossessionati dall'idea di sicurezza, neppure della sicurezza delle proprie virtù: Vita spirituale e vita sicura, non stanno assieme. Per salvarsi bisogna rischiare.'' (p. 373)
*Ogni [[idea]] nuova
*Per fare bene il [[socialismo|socialista]] bisogna essere milionario.
*[[Poeta]] si diventa, ma vedova di guerra si nasce.
*Se ne vede tanta di carta e di carta gratuita e piena di bugie, che fa perfino ribrezzo di doversene servire per la propria pulizia.
*Il giovane parlava a fatica, quasi ansimava. Don Paolo evitava di guardarlo in faccia.<br />«No, non voglio ora farmi meno brutto di quello che fossi» egli continuò. «Non voglio rendere il mio caso più pietoso. Quest'è una [[Confessioni dai libri|confessione]] nella quale voglio presentarmi in tutta la mia ripugnante nudità. Ebbene, la verità era questa: la paura di essere scoperto era in me allora più forte del rimorso. "Che cosa dirà la mia amica se dovesse scoprire che l'inganno? Che cosa diranno i miei amici?" Ecco l'idea che mi ossessionava. Tremavo per la mia reputazione in pericolo, non per il male che facevo. Attorno a me vedevo dappertutto l'immagine della mia stessa paura.» (cap. XXV)
*«Infine andai da don Benedetto» il giovane riprese a raccontare. «Andai da lui non perché fosse un prete, ma perché, ai miei occhi, egli era sempre stato il simbolo dell'uomo giusto. [...] Feci uno sforzo atroce su di me stesso e gli raccontai tutto, in una confessione che durò cinque ore e alla fine della quale giacevo quasi sfinito per terra. [...] Ieri mi ha fatto chiamare e mi ha detto: "Vorrei risparmiarti la ripetizione di una sofferenza, ma c'è un uomo nelle vicinanze di Rocca al quale ti prego di ripetere la tua confessione. È un uomo nel quale puoi avere completa fiducia". [...]<br />«Luigi Murica» disse allora l'altro sottovoce «voglio dirti una cosa che ti prova fino a che punto io abbia ora fiducia in te. Io non sono un prete. Don Paolo Spada non è il mio vero nome. Il mio vero nome è Pietro Spina.»<br />Gli occhi di Murica si riempirono di lagrime. (cap. XXV)
*La moglie di Magascià aveva saputo da Matalena, in grande confidenza, che don Paolo aveva confessato un giovanotto venuto dal piano. [...] La donna venne perciò a implorarlo perché confessasse suo marito, che da venticinque anni non si era riconciliato con Dio. [...] Il prete era ricaduto in uno stato di estrema debolezza. [...] Rispose perciò alla donna con un no distratto. Non ci pensava più, quando gli arrivò in camera il vecchio Magascià. [...] il vecchio s'inginocchiò ai suoi piedi, si fece il segno della croce, baciò il pavimento e tenendo la faccia a terra si batté il petto tre volte:<br />«''Mea culpa, mea culpa, mea culpa''» egli mormorò.<br />Senza levare la testa, abbassando ancora di più la voce, egli continuò a borbottare per alcuni minuti parole incomprensibili, di cui si percepiva solo un sommesso sibilare accompagnato da brevi sospiri. (cap. XXVI)
*Magascià si alzò e baciò la mano.<br />«A proposito» egli disse sottovoce prima d'andarsene «avrei bisogno di un consiglio che non oso chiedere ad altri. Per un omicidio, dopo venticinque anni, non c'è perdono? Se uno è scoperto, deve andare ugualmente alla corte d'assise?»<br />«Quale omicidio?»<br />Magascià non capì perché il prete facesse ora l'ignorante, ma siccome l'informazione gli premeva, gli ripeté all'orecchio:<br />«L'omicidio di don Giulio, il notaio di Lama.»<br />«Ah» fece il prete «capisco, è vero; l'avevo già dimenticato. Ma io non sono avvocato, non saprei che cosa risponderti.»<br />La voce che don Paolo aveva ricevuto il permesso di confessare si sparse in un baleno. «Capisce tutto e perdona tutto» si era limitato a dire Magascià. (cap. XXVI)
==''Uscita di sicurezza''==
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