Corrado Augias: differenze tra le versioni

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*L'ingresso, al nono chilometro della Tuscolana, è ancora quello d'una volta, caratterizzato (e datato) dalle tondeggianti linee architettoniche del ventennio fascista. Parlo di un luogo mitico, Cinecittà, felice invenzione fin dal nome, uno dei pochi neologismi veramente indovinati in una lingua come la nostra che non si presta molto alle novità lessicali. (2007, p. 182)
*Si racconta che, nei giorni di riprese, il grande [[Totò]] arrivasse a Cinecittà molto per tempo. Una mattina giunse così presto da trovare la porta dello studio ancora chiusa. Il guardiano, vedendolo aggirarsi inquieto, si precipitò gridando: «Arrivo, Totò!». La cosa non piacque per niente all'attore, che ribatté: «Mi chiami principe, lo esigo». Antonio de Curtis, in arte Totò, ha avuto per tutta la vita l'ingenua pretesa di godere del diritto al titolo di «Altezza imperiale» in quanto discendente del trono di Bisanzio. Fra i suoi nomi figuravano Gagliardi, Griffo, Focas, Comneno. In quel caso però l'ultima parola l'ebbe proprio il guardiano, che prontamente rispose: «Principi ce ne sono tanti, Totò uno solo». La risposta piacque e da quel momento fu consentito all'astuto guardiano di rivolgersi a lui chiamandolo Totò. (2007, p. 183)
*Al cameriere che gli aveva servito un caffè in camerino, Totò un giorno diede 1000 lire, lasciando il resto come [[mancia]]. La voce si diffuse e appena Totò ordinava un caffè, tre o quattro camerieri si precipitavano. Uno di loro, il più anziano, non riusciva però mai ad arrivare primo. Saputo il fatto, l'attore ordinò che gli si dessero 200 metri di vantaggio sugli altri, così anche lui riuscì per due volte a guadagnarsi le 1000 lire. (2007, p. 183)
*Si può dire che tra Roma e il cinematografo ci sia stata attrazione e influenza reciproca: il cinema ha modificato la città, e viceversa. La capitale ha infatti potenziato la capacità del cinema italiano di farsi specchio realistico dei tempi sia nel senso più ovvio (film di guerra in tempo di guerra, film fascisti in epoca fascista) sia in un senso più profondo: per esempio, ha saputo cogliere e trasferire sullo schermo, facendoli diventare racconto, certi aspetti, umori o bisogni che sono stati così elevati a caratteristiche nazionali. (2007, p. 184)
*Lo scrittore [[Alessandro Manzoni]], esponente insigne del cattolicesimo liberale, manifestò la sua soddisfazione quando i piemontesi, nel 1860, occuparono lo [[Stato Pontificio|Stato pontificio]]. Sua figlia Vittoria ha lasciato questa testimonianza: «Quando in settembre arrivarono le notizie della spedizione di Romagna, papà non stava più in sé dalla contentezza: piangeva, rideva, batteva le mani gridando Viva Garibaldi! ... Papà era convinto che la perdita del potere temporale dovesse essere una misura provvidenziale per la Chiesa, la quale, liberata da ogni cura terrena, avrebbe potuto meglio esercitare il suo dominio spirituale». Manzoni, e anche il filosofo cattolico [[Antonio Rosmini]], avevano ovviamente ragione. All'inizio del XXI secolo perfino un difensore della «dottrina della fede» come il cardinale Ratzinger, oggi [[papa Benedetto XVI]], era disposto ad ammettere l'enorme vantaggio che aveva rappresentato per la Chiesa la perdita del dominio su alcuni territori. Lo dimostra la vitalità del cattolicesimo che, in mondi lontani dall'ambiente della curia romana, dimentico di ogni retaggio temporale, fonda la sua autorevolezza sulla spiritualità e sul sollievo portato ai più umili. (2007, p. 225)