Caterina da Siena: differenze tra le versioni

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*Solo colui che è fondato in carità, è quello che si dispone a morire per amore di Dio e salute dell'anime, perocché è privato dell'amore proprio non si dispone a dare la vita. (dalla ''Lettera a [[Papa Urbano VI|Urbano VI]])
*{{NDR|Le [[ultime parole]]}} Sangue, sangue, sangue. (citata in Lodovico Ferretti, ''Vita di S. Caterina da Siena'', Ferrari)
* A maestro Andrea di Vanni depintore, essendo Capitaneo di popolo di Siena.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi giusto e buono rettore, acciò che si compia in voi l'onore di Dio e il desiderio vostro, el quale so che Dio v'à dato buono, per la sua misericordia.
Ma non veggo il modo che noi potessimo bene reggere altrui, se prima non reggiamo bene noi medesimi.
Quando l'anima regge sé, regge altrui con quello medesimo modo: però che ama il prossimo suo di quello amore che ama sé medesimo (Mt 22,39); sì come la carità perfetta di Dio genera perfetta la carità del prossimo, così con quella perfezione che l'uomo regge sé, regge i sudditi suoi. In che modo regge sé medesimo colui che teme Dio? E con che giustizia? Il modo suo è questo, che con lume di ragione egli ordina le tre potenzie de l'anima, e con quello ordine regola tutta la vita sua spiritualmente e corporalmente, in ogni luogo tempo e stato che egli è, giustamente.Ordina la memoria a ritenere e' benefici di Dio, e l'offese che à fatto al sommo bene; ordina l'intelletto a vedere l'amore con che Dio à date le grazie, e a cognoscere la dottrina de la sua verità. Così ordina la volontà ad amare la infinita bontà di Dio, la quale à veduta e cognosciuta col lume de l'intelletto.
E perché egli à cognosciuto che Dio debba essere amato da le sue creature con tutto il cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze nostre, però salie sopra la sedia de la conscienzia per tenersi ragione, quando vede che la sensualità volesse guastare questo dolce e glorioso ordine. E se per illusione del dimonio o per la fragilità fusse guasta o impedita la perfezione che dà questo santo ordine, egli ne fa giustizia perché la virtù d'essa giustizia riluce nel petto suo; e fa questa giustizia come alluminato che a ciascuno dà il debito suo. Unde, se la sensualità gitta il colpo mortale, morte ne riceve, tagliando el capo a la propria perversa volontà col coltello de l'odio del vizio e amore della virtù. Poi la giustizia, secondo la gravezza de la colpa, disciplina il disordinato affetto de l'anima, facendole pagare quella condannagione che gli è posto per la divina giustizia.
Che condannagione è questa, e per che modo è data? Dicolo: che l'appetito sensitivo, il quale cerca lo stato, le dignità e ricchezze del mondo, la ragione giusta vuole che desideri e abracci la vergogna, spregi la dignità, e cerchi la vilità; abandoni la ricchezza volontariamente, e sposi a la povertà; fidisi di Dio, e non di sé né degli stati del mondo, e' quali non ànno fermezza né stabilità veruna. E se questo perverso appetito cerca la puzza de la immondizia, e la giustizia l'à obligata e constrigne a cercare e dilettarsi de la purità. Se vuole superbia, ella gli dà l'umilità, e per la infedelità la fede; per l'avarizia la larghezza de la carità; per l'odio e dispiacere del prossimo, la benivolenzia; a lo imprudente, la prudenzia. E così tutte le virtù sonno quelli bandi e condannagioni che 'l giudice in su la sedia de la conscienzia giudica che si dieno a l'affetto de l'anima per punire l'appetito sensitivo, e distrugere l'affetto del vizio, dicapitando la propria volontà, come detto è. Or così tiene ragione a l'anima, rendendole il debito de la virtù. Àlla posta in signoria come donna, e la sensualità tiene come serva: per questo modo rende il debito de l'onore a Dio, e la dilezione de la carità al prossimo.
El luogo dove debba stare, è la casa del cognoscimento di sé, e de la bontà di Dio in sé, misurando con quella misura altrui, con la quale vuole essere misurato egli; lavando spesso la faccia de l'anima d'ogni macula di peccato nel sangue di Cristo, col mezzo de la pura e santa confessione; notricandola del cibo degli angeli, cioè del sacramento dolce del corpo e del sangue di Gesù Cristo, tutto Dio e tutto uomo, el quale ogni fedele cristiano è tenuto di prendere almeno una volta l'anno. Chi vuole più, più el pigli, ma non meno; e per neuna cosa l'uomo el debba lassare, né giusto né peccatore: però che, se 'l peccatore non è disposto, egli si debba disponere; se egli è giusto, per umilità non debba lassare dicendo: «Io non so' degno di tanto misterio; quando io me ne sentirò più degno, io mi comunicarò». Non debba fare così, ma debba pensare che mai per sue giustizie non ne sarebbe degno; e quando se ne facesse degno, sarebbe bene indegno: amantellarebbe la superbia col mantello de l'umilità. Ma Dio è degno e potente di fare noi degni, e però ne la dignità sua el doviamo ricevere.
E conviencelo ricevere in due modi, cioè attualmente e mentalmente: cioè col santo vero e affocato desiderio. E questo desiderio non vuole essere solamente a l'atto de la comunione, ma in ogni tempo e in ogni luogo, sì come cibo che si prende per dare vita di grazia a l'anima. Tutto questo, e la santa giustizia detta, procedono da l'ordine che con giusta ragione dié e osservò ne le tre potenzie de l'anima sua: poi che l'à in sé, la ministra al prossimo suo con l'orazione e con la parola e con la buona e santa vita.
E se egli è uomo che abbi a regere, sì come egli è osservatore de la legge in sé così vuole che sia osservata per li sudditi; e acciò che ella si osservi con zelo di giustizia, punisce quelli che la trapassano. Unde, sì come egli à punita in sé la propria sensualità, che ribellava a la legge divina, così, avendo a reggere i corpi de' sudditi, gli vuole punire quando non osservano la legge civile e gli altri statuti, e ordinazioni buone, fatti per quelli che ànno avuto a regere e governare. E secondo che vuole l'ordine de la giustizia, così dà poco e assai secondo che richiede la ragione. Questa giustizia non vuole essere contaminata né diminuita per timore di pena né di morte corporale, non per timore né per lusinghe, non per piacere de le creature, o per substanzia temporale; né rivendere l'onore, né le carni degli uomini per denari, sì come fanno quelli che ingiustamente vivono senza veruno ordine e lume di ragione. Ma il giusto per neuna cosa lassa, anco, giusta el suo potere l'osserva cercando, in ciò che egli à a fare, l'onore di Dio, la salute de l'anima sua e il bene universale d'ogni persona; consigliando schiettamente e mostrando la verità quanto gli è possibile.
Così debba fare, a voler mantenere sé e la città in pace, e conservare la santa giustizia, ché solo per la giustizia, la quale è mancata, sonno venuti e vengono tanti mali.
E però io, con desiderio di vederla in voi e mantenerla ne la città nostra, regerla e governarla con ordine, dissi ch'io desideravo di vedervi giusto e vero governatore: la quale giustizia se prima non si comincia da sé, come detto è, già mai nel prossimo non la poterebbe osservare in veruno stato che fusse. Adunque v'invito e voglio che con ogni solicitudine ordiniate sempre voi medesimo, come detto è, acciò che facciate compitamente quello per che la divina bontà ora v'à posto. Ponetevi sempre Dio dinanzi agli occhi vostri in tutte le cose che avete a fare, con vera umilità, acciò che Dio sia gloriato in voi, etc.
Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.
(dalla lettera a Andrea di Vanni, "Le Lettere di S.Caterina da Siena- ridotte a miglior lezione e in ordine nuovo disposte con proemio e note" di Niccolò Tommaseo (G.Barbera, editore- 1860), lettera numero 358)
 
==''Libro della divina dottrina volgarmente detto Dialogo della divina provvidenza''==
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==Bibliografia==
*Caterina da Siena, ''[http://www.liberliber.it/libri/c/caterina_da_siena/index.htm Libro della divina dottrina volgarmente detto Dialogo della divina provvidenza]'', a cura di Matilde Fiorilli, Bari, Gius. Laterza, 1912.
*Le Lettere di S.Caterina da Siena- ridotte a miglior lezione e in ordine nuovo disposte con proemio e note di Niccolò Tommaseo (G.Barbera, editore- 1860).
 
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