Gustaw Herling-Grudziński: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Automa: Sostituzioni normali automatiche di errori "tipografici". |
m +wikilink |
||
Riga 29:
===[[Explicit]]===
"[...] Mio Dio, certamente uno degli incubi maggiori di tutto il sistema sovietico è questa mania di voler liquidare le loro vittime con tutte le formalità legali... Non basta conficcare una pallottola nella testa di un uomo, deve egli stesso chiederla cortesemente al processo. Non si contentano di costringere un uomo a una feroce finzione, ma devono avere testimonianze per provarla. La Nkvd non mi nascose che sarei stato rimandato alla foresta se rifiutavo... dovevo scegliere fra la mia stessa morte e quella di quei quattro..."<br>Si versò ancora vino e con mano tremante portò il bicchiere alle labbra. Attraverso le palpebre abbassate vedevo il suo viso sudato e terrorizzato.<br>"Scelsi. Non ne potevo più della foresta e di quella terribile lotta quotidiana con la morte. Volevo vivere. Testimoniai. Quattro giorni dopo essi furono fucilati fuori del recinto."<br>Stavamo tutti e due in silenzio. Egli mise il bicchiere vuoto sul tavolo e si rannicchiò sul letto, come aspettando un colpo. Dall'altra parte del muro una stridula voce di soprano cantava una strofa di una canzone italiana e si fermò d'un tratto, interrotta da un'imprecazione. Faceva un po' più fresco, ma io riuscivo quasi a sentire i pneumatici surriscaldati delle macchine che si staccavano dall'asfalto attaccaticcio con un leggero cigolio.<br>"Se raccontassi questa storia a qualcuna delle persone in mezzo a cui adesso vivo non mi crederebbe, oppure, se mi credesse, si rifiuterebbe di stringermi la mano. Ma tu devi sapere a che punto ci hanno trascinati, quanto ci hanno avvilito. Di' solo che capisci..."<br>Sentii il sangue affluirmi alla testa. Immagini e ricordi si affollarono davanti ai miei occhi. A quel tempo, tre anni dopo aver lasciato la Russia, quando cercavo di scacciarle dalla mia mente per poter conservare la fede nella dignità umana, quelle immagini erano confuse e indistinte, mentre ora che ho finalmente riconquistato un po' di pace, le considero con distacco ed esse sono chiare ma completamente lontane. Avrei potuto pronunziare la parola che egli mi chiedeva, il giorno dopo la mia liberazione dal campo. Forse avrei potuto. Ma nel 1945 avevo già tre anni di libertà dietro di me, tre anni di vagabondaggi militari e battaglie, tre anni di sentimenti normali, amore, amicizia, simpatia... I nostri giorni di [[vita e morte|vita]] non sono come i nostri giorni di [[vita e morte|morte]], e le nostre leggi di vita, non sono le nostre leggi di morte. Ero tornato in mezzo alla gente, con criteri e concetti umani, e dovevo adesso fuggirne via, abbandonarli, tradirli volontariamente? La scelta era la stessa: allora era stata fra la sua vita e quella dei quattro tedeschi, adesso era fra la sua pace e la mia pace. No, non potevo dirlo.<br>"Allora?" chiese piano.<br>Mi alzai dal letto e senza guardarlo negli occhi andai verso la finestra. Voltando le spalle alla stanza, lo sentii uscire e chiudere adagio la porta. Tirai su la tenda. Su piazza Colonna una fresca brezza leggera nell'aria pomeridiana aveva raddrizzato i passanti, come avrebbe fatto su un campo di grano piegato a terra dalla siccità. Americani e inglesi ubriachi camminavano lungo i marciapiedi, spingendo via gli italiani, raccogliendo ragazze, cercando ombra sotto le tende a strisce dei negozi. Sotto le colonne del fabbricato d'angolo il mercato nero era in piena attività. I "lazzaroni" romani, piccoli laceri figli della guerra, scomparivano e ricomparivano tra le gambe di negri enormi in uniforme americana. La guerra era finita un mese prima. Roma era libera, Bruxelles era libera, Oslo era libera, Parigi era libera. Parigi, Parigi, Parigi...<br>Lo seguii con lo sguardo mentre usciva dall'albergo: saltellava attraversando la strada come un uccello con un'ala spezzata, e scomparve nella folla senza guardarsi indietro.
==Bibliografia==
|