Dino Buzzati: differenze tra le versioni

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*Ho visto correre il tempo, ahimè, quanti anni e mesi e giorni, in mezzo a noi uomini, cambiandoci la faccia a poco a poco; e la sua velocità spaventosa, benché non cronometrata, presumo sia molto più alta di qualsiasi media totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto o in aeroplano-razzo da che mondo è mondo.<ref>Da ''Corriere della sera'', 20 maggio 1949; anche in ''Dino Buzzati al Giro d'Italia'', Mondadori, 1981.</ref>
*Io voglio ricordarmi di essere stato [...]. Divenire un'[[anima]] felice che ignora di essere stato Dino Buzzati, è una fregatura. <ref>Citato in [[Domenico Porzio]], ''Primi Piani'', Mondadori, p. 5.</ref>
*{{NDR|Sulla [[Tragedia di Albenga]].}} Mentre si affollavano di bambini le corsie dell'ospedale di [[Albenga]], sulle acque del Brone cominciavano le ricerche della speranza. Piccoli corpi inanimati venivano tratti uno ad uno dalle placide acque e via via erano trasportati nell'ambulatorio della Croce Bianca. Prima delle 23, il ricupero era finito. Intanto, le mamme si addormentavano tristemente, dopo la preghiera per il loro bambino lontano.<ref>Da ''Sono arrivate le mamme dei 43 fratellini della morte'', ''Corriere d'Informazione'', 17 luglio 1947.</ref>
*Pronte sono le biciclette lustrate come nobili cavalli alla vigilia del torneo. Il cartellino rosa dal numero è fissato al telaio coi sigilli. Il lubrificante le ha abbeverate al punto giusto. I sottili pneumatici lisci e tesi come giovani serpenti.<ref>Da ''Corriere della sera'', 20 maggio 1949.</ref>
*Voglia scusare il malscritto dovuto al fatto che giaccio in letto dopo una operazione (non risolutiva purtroppo) per una subdola, misteriosa e rara [[malattia]] il cui ultimo caso sicuramente accertato risale alla seconda dinastia dei Gorgonidi.<ref>Da una lettera inviata a [[Geno Pampaloni]]; citato in [[Domenico Porzio]], ''Primi Piani'', p. 6.</ref>
 
===''Il deserto dei Tartari''===
====[[Incipit]]====
Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.<br />
Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò allo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.<br />
Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera [[vita]]. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle [[via|vie]] passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la [[pena]] di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai.
 
====Citazioni====
*"Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, il mondo ristagnava in una orizzontale apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme. […] Gli occhi di Drogo fissavano come non mai le giallastre pareti della fortezza. Lacrime lente e amarissime calavano giù per la pelle raggrinzita, tutto finiva miseramente e non restava più nulla da dire." (p.186)
*L'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita.
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*Nel [[sogno]] c'è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch'è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.
 
====[[Explicit]]====
La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco dovrebbe levarsi la luna.<br>Farà in tempo, Drogo, a vederla, o dovrà andarsene prima? La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d'aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.
 
===''Il colombre e altri cinquanta racconti''===
*Puo darsi che per colpa del mio dannato carattere, io muoia solo come un cane in fondo ad un vecchio e deserto corridoio. Eppure una persona quella sera inciamperà nella gobbetta cresciuta nel suo giardino e inciamperà anche la notte successiva e ogni volta penserà, perdonate la mia speranza, con un filo di rimpianto, penserà ad un certo tipo che si chiamava Dino Buzzati. (''Le gobbe nel giardino'')
*Un frate di nome Celestino si era fatto eremita ed era andato a vivere nel cuore della metropoli dove massima è la solitudine dei cuori e più forte è la tentazione di Dio. [...] ancora più potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote, di asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna. (''L'umiltà'')
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*Niente? Proprio niente rimane. Di mia mamma non esiste più nulla? Chissà. Di quando in quando, specialmente nel pomeriggio, se mi trovo solo, provo una sensazione strana. Come se qualcosa entrasse in me che pochi istanti prima non c'era, come se mi abitasse un'esistenza indefinibile, non mia eppure immensamente mia, e io non fossi più solo, ed ogni mio gesto, ogni parola avesse come testimone un misterioso spirito. Lei! (''I due autisti'')
 
===''Sessanta racconti''===
*Era stato l'uomo a cancellare quella residua macchia del mondo, l'uomo astuto e potente che dovunque stabilisce sapienti leggi per l'ordine, l'uomo incensurabile che si affatica per il progresso e non può ammettere in alcun modo la sopravvivenza dei draghi, sia pure nelle sperdute montagne. Era stato l'uomo ad uccidere e sarebbe stato stolto recriminare. (''L'uccisione del drago''; 1994, p. 93)
*Che peso, la presenza di Dio per chi non la desidera. (''Il cane che ha visto Dio'', XIX; 1994, p. 243)
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*E come nella vita l'attesa di un bene certo ci dà piú gioia che il raggiungerlo (ed è saggio non approfittarne subito, ma conviene assaporare quella meravigliosa specie di desiderio che è il desiderio sicuro di essere appagato ma non ancora praticamente soddisfatto, l'attesa insomma che non ha piú timori e dubbi e che rappresenta probabilmente l'unica forma di felicità concessa all'uomo), come la primavera, che è una promessa, rallegra gli uomini piú dell'estate che ne è il compimento sospirato, cosí il pregustare con la fantasia lo splendore del poema ignoto, equivale, anzi supera il godimento artistico della diretta e profonda conoscenza. Si dirà che questo è un gioco della immaginazione un po' troppo disinvolto, che cosí si apre la porta alle mistificazioni e ai ''bluffs''. Eppure, se ci si guarda indietro, constatiamo che le piú dolci e acute gioie non hanno mai avuto un piú solido costrutto. (''Una pallottola di carta''; 1994, pp. 514-515)
 
===''Un amore''===
====[[Incipit]]====
Una mattina del febbraio 1960, a Milano, l'architetto Antonio Dorigo, di 49 anni, telefonò alla signora Ermelina.<br />
"Sono Tonino, buongiorno sign..."<br />
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"L'ultima volta, si ricorda?... insomma quella stoffa per essere sincero non mi finiva di piacere, vorrei..."
 
==== Citazioni ====
*La consolazione, la felicità era tale che il modo di raggiungerla non aveva più alcuna importanza.
*La donna, forse a motivo dell'educazione familiare, gli era parsa sempre una creatura straniera, con una donna non era mai riuscito ad avere la confidenza che aveva con gli amici. La donna era sempre per lui la creatura di un altro mondo, vagamente superiore e indecifrabile.
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*Eppure, in quella svergognata e puntigliosa ragazzina una [[bellezza]] risplendeva ch'egli non riusciva a definire per cui era diversa da tutte le altre ragazze come lei, pronte a rispondere al telefono. Le altre, al paragone, erano [[morte]]. In lei, Laide, viveva meravigliosamente la [[città]], dura, decisa, presuntuosa, sfacciata, orgogliosa, insolente. Nella degradazione degli animi e delle cose, fra suoni e [[luce|luci]] equivoci, all'[[ombra]] tetra dei condomini, fra le muraglie di cemento e di gesso, nella frenetica desolazione, una specie di fiore.
 
=== ''Cronache nere'' ===
* Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue.
* La gente comincia ad avere paura. Non è più una faccenda altrui, buona per quattro chiacchiere fra comari, e dopo dieci minuti non ci si pensa più; nessuno può dirsene estraneo, l'ombra del male scivola intorno a ciascuno di noi e ci potrebbe toccare.
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* Dalla portina, alle 9.30, una donna entra nella gabbia. Ha un paltò nero, un poco infagottato. Una sciarpa di lana giallo chiaro, gettata sulla spalla, le copre metà faccia. Tiene la testa china e si nasconde gli occhi con le mani, nere anch'esse per i guanti di filo. Pure i capelli, spartiti lateralmente con cura e raccolti sulla nuca, sono neri. Sembra una di quelle penitenti che si vedono inginocchiate nell'angolo più buio della chiesa dalle cinque del mattino. Invece è Rina Fort, la "belva".
 
===[[Incipit]] di alcune opere===
====''Bàrnabo delle montagne''====
Nessuno si ricorda quando fu costruita la casa dei guardiaboschi del paese di San Nicola, nella valle delle Greve, detta anche la casa dei Marden. Da quel punto partivano cinque sentieri che si addentravano nella foresta. Il primo scendeva giù per la valle verso San Nicola e a poco a poco diventava una vera strada. Gli altri quattro salivano fra i tronchi, sempre più incerti e sottili, fino a che non rimaneva più che il bosco, con gli [[albero|alberi]] secchi e rovesciati per [[terra]] e tutte le sue vecchissime cose. E sopra, a Nord, c'erano le bianche ghiaie che fasciano le montagne.<br />
Il [[sole]] si leva dalle grandi cime, gira sopra la Casa dei Marden e tramonta dietro al Col Verde. Soffia il [[vento]] alla [[sera]], portando via un'altra giornata. Del Colle, il capo dei guardiani, quest'oggi è in vena e ha lunghe storie da raccontare. Solo lui se le ricorda, ma a dirle tutte si farebbe [[notte]] e poi ancora [[mattino]] e non sarebbe finita.
 
====''Il Babau''====
Era molto più delicato e tenero di quanto si credesse. Era fatto di quell'impalpabile sostanza che volgarmente si chiama favola o [[illusione]]: anche se vero. Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace.
 
====''La famosa invasione degli orsi in Sicilia''====
<poem>Dunque ascoltiamo senza batter ciglia
la famosa invasione degli orsi in Sicilia.
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*La "visione" dell' attesa di cui è capace Dino Buzzati mi è rimasta dentro da quando, a tredici anni, lessi ''Il deserto dei Tartari''. ([[Antonio Spadaro]])
 
== Note ==
<references />