Muriel Barbery: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Muriel Barbery==
*L'opera di [[Jirō Taniguchi|Taniguchi]] è tutta un invito a vivere col cuore puro, ed è per questo che i lettori la amano: perché li mette in contatto con il piccolo principe che è dentro di loro. Le emozioni fortissime trasmesse dalle sue storie restituiscono fiducia in un'umanità tenera, e ci avvolgono il cuore come una coperta calda e rassicurante.<ref>Citato in [[Jirō Taniguchi]], ''La montagna magica'', Rizzoli Lizard, Milano, 2009, quarta di copertina. ISBN 978-88-17-03131-8</ref>
 
==''Estasi culinarie''==
*{{NDR|[[Incipit]]}} Quando prendevo possesso della tavola lo facevo da monarca. Eravamo i re, gli astri splendenti in quelle poche ore di banchetto che avrebbero deciso il loro futuro, che avrebbero segnato l'orizzonte tragicamente vicino o deliziosamente lontano e radioso delle loro speranze di chef. Facevo il mio ingresso in sala come il console che entra nell'arena a ricevere le acclamazioni, e ordinavo che la festa avesse inizio. Chi non ha mai assaporato il profumo inebriante del [[potere]] non può immaginare l'improvvisa scarica di adrenalina che irradia il corpo da capo a piedi, che scatena l'armonia dei gesti, che cancella ogni fatica e ogni realtà contraria al vostro piacere, l'estasi della sfrenata potenza di chi ormai non deve più lottare, ma soltanto godere di ciò che ha conquistato, gustandosi all'infinito l'ebbrezza di incutere timore.
*[[Tangeri]]. Forse la città più forte al mondo. Forte del suo porto, del suo statuto di città di confine, di imbarchi e sbarchi, a metà strada tra Madrid e Casablanca, forte di non essere comunque una città portuale, al contrario di Algeciras, dall'altra parte dello stretto. Nonostante le enormi banchine spalancate sull'altrove, Tangeri è salda, è sé stessa senza mediazioni e in sé stessa si racchiude, animata di vita propria, enclave di sensi al crocevia delle rotte [...] (p. 23)
*Nessuno di noi aveva più fame, ma è proprio questo il bello del momento dei [[dolce (cucina)|dolci]]: tutta la loro raffinatezza si coglie solo quando non li mangiamo per placare la fame, solo quando l'orgia di dolcezza zuccherina non soddisfa un bisogno primario, ma ci ricopre il palato di tutta la benevolenza del mondo. (p. 25)
*[...] I [[Figlio|figli]] cosa sono se non mostruose escrescenze di noi stessi, mediocri succedanei dei nostri desideri inappagati? (p. 35)
*Nella carne del pesce alla griglia, dallo sgombro più umile al salmone più raffinato, c'è qualcosa che sfugge alla cultura. È così che gli uomini devono aver preso coscienza per la prima volta della loro umanità, imparando a cuocere il pesce, confrontandosi con quella materia che a contatto con il fuoco rivelava al contempo una purezza e una selvatichezza intrinseche. (p. 38)
*La carne è virile, vigorosa, il pesce è strano e crudele. Viene da un altro mondo, da un mare misterioso che non si svelerà mai; dimostra l'assoluta relatività della nostra esistenza, eppure si concede a noi nell'effimera rivelazione di territori sconosciuti. (p. 39)
*Il calvario non è lasciare quelli che ti amano, ma staccarsi da quelli che non ti amano. (p. 42)
*Un cuoco per essere pienamente tale deve mobilitare tutti e cinque i sensi. Una pietanza deve essere una gioia per la vista, per l'olfatto, per il gusto, certo, ma anche per il tatto, che così spesso orienta le scelte dello chef e ha il suo ruolo nella festa gastronomica. (p. 44)
*Una foglia leggermente acidula, acuta quanto basta nell'insolente sentore di aceto ma non tanto da coprire la delicata nota amarognola del limone candito e il lieve odore aspro delle foglie di pomodoro, con cui condivide la sfrontatezza e l’aroma fruttato: questo sprigionano le foglie di geranio [...] (pp. 45-46)
*Il profumo intenso del tiglio sul far della sera è un rapimento estatico che si imprime in noi in modo indelebile e, nel cuore della gioia di vivere, traccia un solco di felicità che nemmeno tutta la dolcezza di una sera di luglio potrebbe spiegare. (p. 46)
*Zucchero, acqua, frutto, polpa, liquido o solido? Il pomodoro crudo, divorato appena colto in giardino, è la cornucopia delle sensazioni semplici, una cascata che sciama in bocca riunendo ogni piacere. La resistenza della buccia tesa quel poco quanto basta, i tessuti che si sciolgono in bocca, il liquore ricco di semi che ci cola agli angoli delle labbra e che asciughiamo senza paura di sporcarci le dita, quella piccola sfera carnosa che riversa in noi fiumi di natura: ecco il pomodoro, ecco l'avventura. (p. 49)
*Un uomo che scoreggia a letto è un uomo che ama la vita [...] (p. 53)
*Un bravo marmista conosce la materia. Sente dove cederà al suo assalto perché l'incisione è già presente nel blocco e aspetta solo di essere rivelata; lo scultore, con precisione quasi millimetrica, ha intuito quali sembianze assumerà l'opera che solo gli ignoranti credono sia frutto della sua volontà. E invece lui non fa altro che svelare: il suo talento, infatti, non consiste nell'inventare forme, bensì nel rendere manifeste quelle che erano invisibili. (p. 55)
*Solo la forsennata volontà di far perdurare un mondo scomparso a dispetto dello scorrere del tempo può spiegare come sia possibile credere nell'esistenza di un "territorio": è tutta una vita scomparsa, un aggregato di sapori, odori e profumi disparati che si sedimenta nei riti ancestrali, nelle pietanze locali, crogioli di una memoria illusoria che vuole trasformare la sabbia in oro e il tempo in eternità. (p. 57)
*[...] La grande cucina non esiste senza evoluzione, erosione e oblio. La cucina è diventata arte grazie a una continua elaborazione, alla mescolanza di passato e futuro, qui e altrove, crudo e cotto, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall'ossessione di chi non vuole morire. (p. 57)
*Il vero sashimi è croccante, eppure si scioglie sulla lingua. Invita a una masticazione lenta e flessuosa che non ha lo scopo di far cambiare natura all'alimento, ma soltanto quello di assaporarne l'aerea "morbilezza". (p. 59)
*Il sashimi è questo: un frammento cosmico alla portata del cuore [...] (p. 60)
*Degustare è un atto di piacere, raccontare questo piacere è un fatto artistico, ma l'unica vera opera d’arte, in definitiva, è il banchetto dell'altro. [...] Proprio come una stanza contemplata nel riflesso di uno specchio magico diventa un quadro perché non è più aperta all'esterno, ma evoca tutto un mondo senza sbocchi, inscritto rigorosamente entro i bordi dello specchio e isolato dalla vita circostante, così il pasto dell'altro è racchiuso nella cornice della nostra contemplazione ed è protetto dalla linea di fuga infinita dei nostri ricordi o dei nostri progetti. (pp. 67-68)
*Esaltazione dell'infanzia: quanti anni impieghiamo a dimenticare la passione che profondevamo in ogni attività che ci assicurava piacere? Di quale impegno totale non siamo più capaci, di quale gioia, di quali slanci di affascinante lirismo? (p. 73)
*Sbagliamo a credere che la nobiltà del pane risieda nel fatto che basta a sé stesso e al contempo accompagna qualsiasi pietanza. Se il pane "basta a sé stesso" è perché è molteplice, non nel senso delle sue tante tipologie, ma per la sua essenza stessa giacché il pane è ricco, è vario, il pane è un microcosmo. (pp. 75-76)
*Provincia, campagna, gioia di vivere ed elasticità intrinseca: nel pane c'è tutto questo, oggi come allora. Ecco perché il pane è il mezzo privilegiato grazie al quale perderci in noi stessi, alla ricerca di noi stessi. (p. 77)
*Le parole: scrigni che raccolgono una realtà isolata e la trasformano in un momento da antologia; maghi che mutano la faccia della realtà, la impreziosiscono al punto da renderla memorabile e le offrono un posto nella biblioteca dei ricordi. Ogni esistenza è tale grazie al rapporto osmotico fra parola ed evento, in cui la prima riveste il secondo con l'abito di gala. (p. 85)
*Avevo un cane. O meglio, un muso a quattro zampe. Un piccolo ricettacolo di proiezioni antropomorfiche. Un compagno fedele. Una coda che batteva il tempo al ritmo delle sue emozioni. Un canguro sovreccitato nei momenti piacevoli della giornata. Un cane, insomma. (p. 89)
*Lui a Irancy era nato, a Irancy viveva e a Irancy sarebbe morto. In quel paesino della Yonne, annidato in una girandola di colline e dedito interamente all'uva che cresce abbondante sul suolo generoso, nessuno è geloso dei "lontani vicini" perché il nettare che si produce con amore da quelle parti rifiuta la competizione. È consapevole della sua forza e ha carattere: tanto gli basta per mantenersi in vita. (pp. 109-110)
*In un certo senso tutti gli uomini sono padroni a casa propria. Anche il più rozzo dei contadini, il più ignorante dei vignaioli, il più misero degli impiegati, il più pezzente dei commercianti, il più reietto dei reietti che da sempre non godono di nessuna considerazione sociale, il più umile degli uomini, insomma, si porta dentro un talento che prima o poi gli darà il suo momento di gloria. (pp. 111-112)
*È il primo modo di bere il whisky: assaporarlo con ferocia, per fiutarne il gusto aspro e inoppugnabile. [...] Il secondo modo di bere il whisky consiste proprio nel gesto stereotipato del bevitore di acquaviti forti, che manda giù tutto d'un fiato l'oggetto del desiderio, aspetta un attimo, poi chiude gli occhi scioccato ed esala un sospiro soddisfatto e commosso insieme. (p. 115)
*Il vino è un raffinato gioiello che solo le donne mature preferiscono unanimemente agli Strass scintillanti ammirati dalle ragazzine. (p. 115)
*Adoro i gelati: crema gelida satura di latte, grasso, aromi artificiali, pezzi di frutta, chicchi di caffè, rum; gelati italiani di consistenza vellutata che formano monumentali scale di vaniglia, fragola o cioccolato; coppe gelato che crollano sotto il peso della panna, della pesca, delle mandorle e di ogni sorta di sciroppo; semplici stecchi dal rivestimento croccante, delicati e tenaci insieme, che si gustano per strada tra un appuntamento e l'altro, o le sere d'estate, davanti alla televisione, quando siamo sicuri che solo così avremo un po' meno caldo, un po’ meno sete; e infine i sorbetti, sintesi riuscita di ghiaccio e frutta, che rinfrescano con vigore e si sciolgono in bocca come una colata gelida. (p. 122)
*Nella semplice parola "sorbetto" si incarna un mondo intero [...] Proporre dei "sorbetti" quando gli altri pensano solo ai "gelati" (fra i quali il profano molto spesso annovera sia i preparati a base di latte che a base d'acqua) vuol dire scegliere fin da subito la levità, sposare la via della raffinatezza, proporre una dimensione aerea rifiutando la pesante camminata terragna e senza prospettive. Già, aerea: il sorbetto è aereo, quasi immateriale, fa appena un po' di schiuma a contatto con il nostro calore, poi, vinto, schiacciato, liquefatto, evapora in gola, lasciando alla lingua solo l'affascinante reminiscenza del frutto e dell'acqua che sono scivolati via. (pp. 122-123)
*Niente è così piacevole come vedere l'ordine del mondo che si piega di fronte ai nostri desideri. (p. 127)
*[...] Anche il più turbolento, il più violento, il più ribelle dei figli è tale solo con l'espressa autorizzazione del padre, ed è il padre che, per una ragione a lui ignota, ''ha bisogno'' di quel sobillatore, di quella spina piantata nel cuore della famiglia, e cioè di quel focolaio di opposizione grazie a cui vengono smentite tutte le categorie semplicistiche della volontà e del carattere. (p. 134)
*Per un'ottima bignolina ricoperta di granella vale lo stesso criterio di ogni pasta da bignè che si rispetti. Non deve essere troppo molle né troppo dura. Il bignè non deve essere elastico né flaccido né friabile o aggressivamente asciutto. Il suo successo risiede proprio nell'essere morbido ma non fiacco, consistente ma non secco. (p. 139)
 
==''L'eleganza del riccio''==
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==Bibliografia==
*Muriel Barbery, ''Estasi culinarie'', traduzione di Emanuelle Caillat e Cinzia Poli, Edizioni e/o, 2008. ISBN 9788876418396
*Muriel Barbery, ''L'eleganza del riccio'', traduzione di Emanuelle Caillat, Cinzia Poli, Edizioni e/o, 2007. ISBN 9788876417962
 
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===Opere===
{{Pedia|Estasi culinarie||(2000)}}
{{Pedia|L'eleganza del riccio||(2007)}}